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2014/02/02

Italia dimenticata, affonda miseramente

Bagarre alla Camera dopo che la Presidente Boldrini ha messo in atto la Ghigliottina

Quale grado di completezza e libertà di informazione abbiamo oggi in Italia? Urlano in tanti, passano in TV le immagini più eclatanti delle proteste in Parlamento o sulle piazze, ma raramente c’è la volontà di informare correttamente sui fatti.

Due episodi di questi giorni ne sono un esempio: legge elettorale e decreto Banca D’italia. Sulla prima questione si è discusso a lungo di sbarramenti e percentuali di coalizione, ma si sta tacendo sulla bocciatura del voto di preferenza che sarebbe l’unico modo per i cittadini di scegliere il proprio deputato.
Avevamo un parlamento di “nominati” scelti dai partiti con liste bloccate, avremo un nuovo parlamento sempre di nominati, sempre scelti da quegli stessi leader di partito attraverso canditati di collegio bloccati. Ovvero non cambierà assolutamente nulla  nonostante la bocciatura della Corte Costituzionale visto che saranno eletti solo i primi della lista di ogni collegio.

Ecco perché improvvisamente è sbocciato l’amore tra Renzi e Berlusconi: la possibilità di far eleggere deputati affidabili e controllabili, che rispondano direttamente a loro stessi è evidente e palese, è stato solo un interesse comune a legare i due leader ed è su questo aspetto che tutto gira intorno. Quanti italiani l’hanno capito?
Simile è la questione della “privatizzazione” o “ricapitalizzazione” delle banche tramite il loro maggiore controllo della Banca d’Italia decisa con un contorto decreto infilato dal governo dentro il pasticcio dell’IMU . 

Già questa storia di infilare questioni diverse nello stesso provvedimento è una schifezza, anche perché così tutta l’attenzione dei media si è legata alle scadenze IMU “dimenticando” la polpa, ovvero che per una ciocca di latte le banche rivaluteranno le loro posizioni di controllo della Banca d’Italia che di fatto diventerà di più un Istituto privato e sempre meno di controllo pubblico. Ma ci rendiamo conto della importanza strategica data dal controllo dell’istituto di emissione di uno stato sovrano? E cosa può succedere quando quelle stesse banche (controllanti e controllate!) sono “proprietarie” di Banca d’Italia ma  sono in gran parte di proprietà straniera visto  che il loro capitale è quotato in borsa e si può facilmente verificare chi effettivamente le controlla. 

E’ così che l’Italia perde progressivamente sovranità e potere di decisione economica e finanziaria a livello europeo, eppure quanti spiegano nel dettaglio queste cose al grande pubblico? Serve a nulla andare poi a piangere a Bruxelles quando gli interessi stranieri che ci dettano e ci detteranno sempre di più la linea economica li coccoliamo in casa.
Tra l’altro di fatto affidiamo loro anche le 205 tonnellate di oro che sono le nostre riserve auree nazionali, di una “Banca d’Italia” che di fatto non è più degli italiani!.
Invano in Parlamento, Fratelli D’Italia, M5S, Lega Nord e pochi altri hanno protestato, zittiti dalla baraonda generale perché – è incredibile – se un deputato cretino del M5S se la prende in modo volgare con Napolitano va su tutti i giornali, ma di vicende ben più gravi come quelle che ho segnalato non parla quasi mai nessuno. E’ questa vi sembra una corretta informazione? Contano più queste cose o i piccanti retroscena di qualche delitto che occupano pagine e pagine di cronaca?



2014/02/01

Don Carlo Masseroni

Ricevo da un amico il seguente messaggio che pubblico immediatamente.


E’ mancato ieri (il 28 Gennaio 2014 NdR), a 89 anni, Don Carlo Masseroni, per una vita missionario in Burundi, una di quelle tante persone che in silenzio hanno dedicato la vita agli altri, ma che sicuramente lasciano una traccia. Altri lo ricorderanno meglio di me, io non posso dimenticare i giorni e le notti passati insieme sugli altipiani dell’Africa Centrale dove le stelle sono così grandi e la gente così povera. Non posso dimenticare gli orrori della guerra, la rivoluzione che ci ha visti coinvolti nell’aprile del 1994 quando 
per un pelo l’abbiamo scampata o le ore tragiche del luglio del 2000 quando, colpito da un proiettile di kalashinov al volto sparatogli a bruciapelo, riuscì comunque a sopravvivere per una serie di incredibili circostanze e subito, miracolosamente guarito, ritornò in Burundi dove pur sapeva che avrebbe di nuovo rischiato la vita.

Don Carlo aveva sempre voluto fare il missionario, ma in Burundi approdò solo a 42 anni nel 1967 e sempre ci rimase salvo qualche fuga precipitosa in occasione dei colpi di stato o delle terribili guerre tribali tra tutsi e hutu. 

Sono tanti i ricordi, intimi, tragici o stupendi che gli hanno permesso di trasmettere a così tante persone un senso della vita tutto speciale. Le sue famose “lettere” (quasi 300!) che prima a ciclostile e poi via internet spediva puntualmente a centinaia di suoi amici sparsi in tutta Italia e che erano un ponte speciale di frammenti di vita, reportage originali e preziosi di un’Africa piena di problemi ma anche di speranze.

Chissà come mai gente come Don Carlo e le migliaia e migliaia di persone che gratuitamente offrono la propria vita per gli altri non sono quasi mai proposti per il Nobel per la Pace. Tra l’altro anche loro sono e sono stati per anni “Italiani all’estero” eppure così pochi hanno considerato quanto hanno fatto per l’immagine e la credibilità del nostro paese in giro per il mondo.

Ricordo un sabato pomeriggio, dopo una Messa in una succursale, avvicinato da una famiglia che gli annunciava la morte imminente di una donna. Entrammo in quella baracca angusta, umida, buia  e puzzolente. Per terra su una stuoia stava contorta una persona agonizzante. Don Carlo le prese una mano e la tenne stretta nella sua mormorando una preghiera. Quel corpo si rilasciò quasi assorbisse serenità e Don Carlo le chiuse gli occhi. Me lo rivedo in cammino sulle coline di Rwarangabo, la sua parrocchia con oltre 60.000 cristiani e le messe oceaniche che non finivano mai, sempre su e giù per le colline di terra rossa, polverose o piene di fango a seconda della stagione. 

Il suo mitico “Maggiolino” grigio che riusciva sempre a sfangarsi e al quale una volta, salendo verso Murehe, sostituii la cinghia di trasmissione con una corda, l’unica riparazione meccanica mai fatta in vita mia, ma che ci permise di arrivare prima di sera nella missione dove ci aspettava Don Giancarlo. Ho una foto di quel giorno, circondati da una turba di ragazzini vocianti e che ci spingevano in salita… chissà quanti di loro sono rimasti vivi dopo l’eccidio di massa che scoppiò pochi giorni dopo.

Rwanda, Uganda, Burundi: terre martoriate e lontane, ai margini dell’attenzione del mondo. L’ultima mia visita a Kiremba fu nel 2012 quando mi ero da poco dimesso da deputato. Come sempre quei giorni d’Africa mi disegnarono altre priorità regalando serenità mentre seguivo Don Carlo a visitare ogni giorno i malati in ospedale. Un ospedale così diverso dai nostri con centinaia di malati ma fatti anche dal vociare di parenti e cucine da campo, sporcizia, mosche, odori, galline che giravano per le corsie, morenti in un angolo e anche spesso con due malati distesi nello stesso letto.

Un ospedale dove ormai tutti i medici bianchi se ne erano andati dopo che pochi mesi prima era stato ucciso un collaboratore e una suora missionaria assaliti proprio lì, a dieci passi dalla canonica. Erano scappati tutti, ma Don Carlo era restato e aveva sempre una parola per tutti, un sorriso, una carezza. Due mesi fa, tornato in Italia, mi raccontò che uno degli ultimi giorni di Burundi prima del rientro – quando già forse aveva capito di stare poco bene – in quello stesso ospedale dove aveva assistito decine di migliaia di persone chiese ad un’infermiera se poteva provargli la pressione. “Non sono pagata per provare la pressione a un bianco come te!” gli fu risposto e, nel raccontarmelo, Don Carlo non si lamentava, ma sorrideva. 

In quel sorriso c’era una grande risposta ai problemi e alle rabbie cieche che qualche volta covano in ciascuno di noi quando ci lamentiamo delle cose che non vanno o pensiamo di essere oggetto di una discriminazione o di una ingiustizia. Un modo per far capire a tutti che i “grazie” spesso non sono di questo mondo, ma soprattutto non sono necessari. Il ricordo di Don Carlo è piuttosto un impegno, perché la Sua risposta e il Suo esempio sono una questione che ci turba, e che ci sentiamo forte nel cuore.

(Grazie Marco)

Chi era Don Carlo Masseroni?

Don Carlo Masseroni era decano dei Fidei Donum e Patriarca delle Missioni Novaresi.
Nato il 27 gennaio 1925 a Fontaneto d’Agogna, ultimo di 10 fratelli. Entrato da ragazzo nel Seminario Diocesano con i cugini Giuseppe ed Eugenio, completati gli studi venne ordinato sacerdote da Mons. Leone Ossola nel giugno del 1949.

Dopo l’impegno pastorale come coadiutore del parroco nelle parrocchie di Suno, a Santa Cristina di Borgomanero e Arona, nel 1967 partì come missionario in Burundi, insieme a don Francesco Ciampanelli e più tardi raggiunto dal cugino don Giancarlo Masseroni. Dal 1967 al 1980 svolse la sua attività di promozione umana e di evangelizzazione nella Parrocchia di Rwarangabo dove praticamente, partendo da zero, costruì la Chiesa parrocchiale e numerose Cappelle in diverse succursali, nonché creando dei servizi sociali e sanitari. Nel 1980, a causa della difficile situazione venutasi a creare nel piccolo paese africano tra le etnie Hutu e Tutsi, ritornò in Italia dove per un anno fu amministratore parrocchiale a Cesara e Arola. Ma l’amore per la sua gente, il desiderio di condividere la vita del suo popolo, fece sì che nel 1981 ritornò in Burundi, sempre a Rwarangabo, riprendendo le molteplici attività che aveva lasciato.

La sera del 6 luglio del 2000 un malintenzionato si introdusse nella sua casa con lo scopo di ucciderlo e gli sparò con un fucile d'assalto un colpo in pieno volto. Ferito gravemente, venne trasportato all’Ospedale di Nairobi, in Kenya, dove si riprese, anche se perdette l’uso di un occhio e parzialmente l’udito. Rientrato in Italia vi rimase per un lungo periodo di convalescenza fino a dicembre, ma nel gennaio del 2001 riprendeva l’aereo per il suo amato Burundi. Questa volta venne destinato alla Parrocchia di Murehe dove rimase fino a qualche tempo fa, quando si unì ai Fidei Donum della diocesi di Brescia all’Ospedale di Kiremba dove passò gli ultimi anni consolando e amministrando i sacramenti ai degenti di quell’Ospedale.

«Le avvisaglie del male incurabile che lo avrebbe stroncato, si fecero sentire sempre più forti il che portò don Carlo a prendere la decisione di rientrare in Italia, cosa che avvenne l’estate scorsa quando pose la sua dimora all’amata Frazione La Croce di Fontaneto, circondato dall’affetto dei parenti e in modo particolare dei nipoti, visitato da molti amici che volevano fargli arrivare la loro solidarietà per la malattia che lo stava divorando» dice don Mario Bandera, direttore del Centro Missionario Diocesano.

2014/01/30

Morire di solitudine


Di web si può anche morire. Morire di solitudine, morire chiusi in sé stessi. Morire perché non si è più nulla per cui vale a la pena di vivere. Internet per uscire dalla solitudine, Internet per cercare una via d’uscita alla propria esistenza. Tragica ma pur sempre uscita. Così si può scegliere di navigare in rete per cercare l’informazione più adatta al tipo di morte che s’intende scegliere. 

Un uomo ha deciso di utilizzare la rete per cercare, e drammaticamente trovare, il modo migliore per togliersi la vita. La sera del suicidio, è uscito di casa dicendo di andare ad un concerto. Poi è sparito. I genitori hanno cercato invano di rintracciarlo al cellulare e successivamente hanno deciso di controllare al computer la cronologia dei siti internet consultati dal figlio. Tra gli ultimi siti c’erano proprio quelli che spiegano i modi più veloci e indolori per togliersi la vita. Un sito ha rivelato che con il monossido di carbonio poteva morire, senza soffrire. E lui dopo averlo comprato in un ipermercato, si è chiuso in macchina per imbottirsi di farmaci.



Il padre chiese che tutti quanti quei siti che forniscono il prontuario per il provetto suicida venissero immediatamente chiusi. Evidentemente però il dolore spesso cerca giustificazione anche in inutili misure, inadatte ai propri sensi di colpa. Se invece di Internet ogni suicida trovasse l’ascolto vero e sincero delle persone care, la presenza fisica, materiale, calda, di chi si vuole bene, si lascerebbero da parte modem e tastiera, e si andrebbe volentieri a dare due calci a un pallone e alla noia.
Poichè nessuno è un’isola chiusa in se stesso, così anche noi in certi momenti ci sentiamo diminuiti da una foglia che cade. 

Che posso dire... qual è il miglior metodo di suicidio?

Questa è una domanda che sicuramente hanno fatto molte persone che hanno contemplato il suicidio. Ma è la domanda sbagliata! La domanda giusta è: come faccio a fermare il dolore che ho dentro?

Pensare a un metodo di suicidio è un sintomo, molto probabilmente di depressione.

Il suicidio non è mai la risposta giusta.


Ovviamente, se avete intenzione di suicidarvi e siete capitati in questa pagina a tale scopo, quello che vi voglio dire è: parliamone! Parliamo dei miei e dei vostri problemi e cerchiamo insieme una soluzione. Non sto scherzando! sono mesi che ci penso e capisco che anche voi avete pensato e non da oggi  ma da giorni o da mesi e che siete arrivati alla conclusione che non esistano altre vie d'uscita, siatene certi non è così! Eppure quella del sucidio continua a sembrare la soluzione migliore, per non soccombere sotto il fardello delle responsabilità, delle delusioni, della vita nemica.

E' solo che quando stiamo male e non abbiamo nessuno accanto, non riusciamo a vedere soluzioni! Anche se non le vediamo, le soluzioni ci sono però!



Quindi coraggio, apritevi senza paura. Parliamone a ruota libera. Io e voi, aiutiamoci a vicenda, i vostri motivi non saranno mai banali, sono anche i miei, e per nessuno dovranno esserlo, e nessuno oserà giudicarci, e qualcuno alla fine che vorrà starci vicino lo troveremo. 

Tutti meritano di avere qualcuno accanto, nei momenti disperati della vita. Tutti!!

Il suicida come un vampiro condannato a vivere una maledetta vita eterna. Vivere una non-morte, il senso della esistenza, della non-vita. Nessuno può dare una spiegazione o mostrare una via. Nessuno!
Il suicidio è una disgrazia o una fortuna e la distinzione è data solo da un senso morale che ognuno deve trovare da sé, dal percorso che decide di seguire.

Il più delle volte il suicidio è la conclusione di un vissuto interiore personale, doloroso e dilaniante, in cui frequenti sono i dubbi sul porre in essere o meno il suicidio. In realtà l’occasione è solo un pretesto per trovare delle motivazioni etiche al proprio agire disperato. La morte intesa positivamente. Il suicida è un non-morto. Suggerire delle ragioni impalpabili per vivere in contrapposizione a molte altre reali e concrete per morire, serve solo a provare che il suicida ha ottime ragioni per morire!
Il suicida non è che non conosce le cose belle della vita: le conosce eccome, e le sa apprezzare! Ma non può o non riesce mai a raggiungerle.

Quindi semplicemente riproporre l’esistenza di “motivi validi” per vivere, tutti noti al suicida non fa altro che riprospettare l’esasperazione di un non-vita condannati a non godere di felicità esistenti, ma da sempre irraggiungibili. Neppure spronare il suicida a lottare per ottenere la felicità serve più di tanto: il suicida ha già dato tutto in questo intento ed è quello che è perché ormai è stanco. Un ulteriore sforzo improduttivo, porterebbe comunque a ritornare nei medesimi passi con maggiore decisione.
Una non-vita non può diventare vita solo perché ci si convince che è tale. Come il Male non può essere capovolto in Bene solo preché si è speranzosi che è così.

Una strana e serena gioia, quella del vampiro (suicida) che finalmente si libera di una vita maledetta.

“Allora Sansone invocò l’Eterno e disse: «O Signore, o Eterno ti prego ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, o DIO, perché possa vendicarmi con un sol colpo dei Filistei per la perdita dei miei due occhi».” (Giu 16:28)