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2014/02/09

What a dangerous world


Gran parte della popolazione mondiale è abituata a vivere nelle città, circondata da comodità e al sicuro da molte insidie naturali. 
Esistono però luoghi così pericolosi che è difficile credere che qualcuno sia disposto a viverci. Coraggio, intraprendenza e spirito di adattamento, queste sono le capacità necessarie per vivere in questi luoghi: ecco gli otto luoghi più pericolosi dove vivere sulla terra.

Il polo del freddo (Verkhoyansk, Russia)

Nel cuore della Siberia, tra la tundra ghiacciata, Verkhoyansk è la più antica città al di sopra del circolo polare artico. Da oltre tre secoli i Russi hanno colonizzato questo luogo, vivendo in un continuo inverno per oltre nove mesi l’anno.
Verkhoyansk è definita la città più fredda al mondo (il record è di -67 gradi centigradi), senza dimenticare che da settembre a marzo le ore di luce sono meno di cinque al giorno. Oggi questa città attrae molti “turisti estremi”, attratti soprattutto dal freddo indescrivibile di questa città fuori dal comune.

La montagna di fuoco (Mount Merapi, Indonesia)

Questo vulcano, sull’isola di Java, ha eruttato oltre 60 volte negli ultimi cinque secoli, causando migliaia di morti tra le popolazioni locali. Ma questo non ha scoraggiato gli oltre 200.000 abitanti che vivono nei villaggi intorno al vulcano.




La tempesta perfetta (Gonaives, Haiti)

Questa città, che è la più grande di Haiti, si trova nel golfo di Gonave, lungo il percorso naturale che molti cicloni seguono nel Mar dei Caraibi. Gonaives negli ultimi anni è stata flagellata dalle tempeste tropicali, ma nonostante questo continua a essere uno dei centri più vivaci e ferventi dell’isola di Haiti.



Il lago della morte (Lake Kivu, Repubblica Democratica del Congo/Rwanda)

Il Kivu è uno dei più grandi laghi africani, situato lungo i confini del Congo e il Rwanda. Al di sotto della sua superficie, ci sono oltre due trilioni di metri cubi di gas metano e biossido di carbonio. Se rilasciati dalle sue profondità, questi gas potrebbero uccidere oltre due milioni di persone che vivono sulle sponde del lago.


Le isole effimere (Maldive)

Le Maldive sono tra i paradisi tropicali più in pericolo nel mondo: il loro nemico è l’innalzamento dei mari. Le 1190 isole e atolli che compongono le Maldive hanno un’altezza massima di circa due metri sul livello del mare. Negli ultima anni il presidente della Confededazione sta investendo molti dei soldi incassato con il turismo per programmi di rilocazione per le popolazioni locali. Negli ultimi anni infatti oltre il 30% della popolazione ha perso la casa, buona parte a causa dello tsunami del 2004.

La capitale degli uragani (Grand Cayman)

Le Isole Cayman, territorio inglese situato a circa 180 chilometri a sud di Cuba, sono conosciute per le immersioni e per gli alberghi di lusso. La più grande delle tre isole, Grand Cayman è la capitale mondiale degli uragani. Negli ultimi 150 anni quest’isola è stata colpita da oltre 60 tempeste, spesso con risultati catastrofici. L’ultimo, l’uragano Ivan, è stato nel 2004, una tempesta di categoria 5 che ha squassato l’isola per giorni.

Il corridoio dei tornado (Oklahoma City/Tulsa, Oklahoma)

Lungo la statale 44 si trovano le città di Oklahoma e Tusla, due delle città più popolate dello stato di Oklahoma. Ogni primavera l’aria fredda e secca delle Montagne Rocciose scende lungo le pianure e l’aria calda e umida del Golfo del Messico sale verso nord, le due correnti si ritrovano lungo quella che è chiamata la Tornado Alley, il “corridoio dei tornado”, giusto in tempo per la stagione delle grandi trombe d’aria. 
Dal 1890, oltre 120 tornado hanno colpito Oklahoma City e le aree circostanti, uccidendo centinaia di persone e distruggendo migliaia di case.

Il deserto che cammina (Minquin County, Cina)

Un tempo era un’oasi fertile, poi dopo una decade di siccità questa zona è diventata un vero e proprio deserto di sabbia che dal 1950 ha inghiottito oltre 150 chilometri quadrati di terra. Dal 2004 il deserto cresce al ritmo di 10 metri l’anno ma nonostante questo la popolazione continua a lottare con le pessime condizioni climatiche di questi luoghi.

2014/02/08

Memorie e ricordi...


Lunedì 27 gennaio era “Il giorno della Memoria” e si sono moltiplicate le parole di commozione per l’ignobile e inumano sterminio degli Ebrei nei lager nazisti. Giusto il ricordarli, così come stigmatizzare le provocazioni di alcuni volgari delinquenti che a Roma hanno offeso la comunità ebraica, ma quanti altri genocidi ci sono stati nel XX secolo dimenticati dai media e sconosciuti ai più? 

Sarebbe giusto che ci fosse un po’ di spazio anche per loro, morti e martiri di “serie B” forse perché non dispongono delle amplificazioni mediatiche. 
Chi ricorda più i milioni di esseri umani dimenticati nei Gulag sovietici, gli ebrei ma anche gli ucraini e i russi sterminati da Stalin? Il genocidio del popolo Armeno, dei Curdi, le immani sofferenze dei popoli del sud est asiatico, a cominciare dai cambogiani sterminati a milioni dalle milizie rosse dei Pot Pot? 

E chi ha mai sentito parlare dei milioni di cinesi inermi trucidati dalla sete di conquista giapponese che pure fu giustamente e duramente punita durante la seconda guerra mondiale. Non deve essere assolutamente una contropartita come viene ora considerata, tanti morti, tante vite innocenti immolate dai perfidi sudditi dell'Imperatore in cambio delle oltre trecentomila vittime delle due bombe atomiche? e che dire dell'Africa, dopo le “guerre di liberazione”, o nei conflitti tribali come quello dei tutsi contro gli hutu, ma anche le migliaia e migliaia di cristiani vittime in questi anni di persecuzioni e stragi di frange islamiche? 

Non ne parla nessuno di questi martiri e qualche volta mi viene da pensare che non si voglia ricordarli perché “danno fastidio” alla nostra coscienza e ci ricordano che anche dopo i lager nazisti l’umanità non ha perso occasione per organizzare massacri. 

Non ultima c’è una evidente ipocrisia politica: per qualche motivo i morti per mano dei comunisti hanno meno “audience” degli altri e per loro sembra che la guerra fredda non sia ancora finita. Lo dimostra il silenzio crescente verso quel “Giorno del Ricordo” degli italiani ammazzati e infoibati in Istria e in Dalmazia dimenticati per decenni ma dei quali – dopo una breve parentesi – si torna a parlare sempre di meno, lo vedrete anche il prossimo 10 febbraio che pur dovrebbe essere il “Giorno del Ricordo”…

2014/02/06

Marò, due anni in India! Anzi tre....

Sono scaduti in questi giorni i due anni da quando i nostri due Marò furono coinvolti nelle acque internazionali prospicienti l’India nell’uccisione di due pescatori scambiati per pirati. Passa il tempo, scende la credibilità internazionale dell’Italia senza che si esca dal buco nero in cui ci si è cacciati. Servono a poco le delegazioni parlamentari inviate fino in India (16 componenti, un po’ tantini…) se non c’è la forte volontà politica di dire “basta”, ma per farlo ci vorrebbero le palle cosa che l’Italia sembra aver smarrito da tempo. Traggo da una serie di articoli di Franco Biloslavo una serie di iniziative concrete che l’Italia potrebbe prendere subito  nei confronti dell’India dopo due anni di “empasse” e di prese in giro di quel paese nei confronti della nostra diplomazia.

LE NAVI. Dopo due anni nessun governo è stato capace di ritirare le navi italiane dalla flotta anti pirateria al largo della Somalia. Non solo garantiamo sicurezza ai mercantili di Delhi, ma in almeno due occasioni di sequestri (Enrica Ievoli e Savina Caylin) abbiamo liberato marinai indiani a bordo di navi italiane. Non mettere più a disposizione le nostre unità militari, in nome dei marò trattenuti in India, avrebbe svegliato ben prima l'Unione Europea, che ha dato vita alla missione ed alla quale l’Italia contribuisce con uomini e mezzi.

MISSIONE ONU. In Libano abbiamo 1300 uomini e comandiamo la missione dei caschi blu, compreso un battaglione indiano. L'Onu non si è mai sprecato più di tanto per i marò. Tornarcene a casa per protesta e risparmiando un bel po' di soldi sarebbe un segnale forte al Palazzo di Vetro.

AFGHANISTAN. Per gli indiani l'Afghanistan è una spina nel fianco a causa dei talebani. Se annunciavamo di ritirare in anticipo il nostro contingente la patata bollente della transizione nella zona Ovest finiva nella mani degli americani. Solo ieri, dopo che l'India l'ha preso a pesci in faccia per un recente scontro diplomatico, l'ambasciatore Usa a Delhi ha espresso solidarietà per i nostri marò.

NEGOZIATO UE. Ci sono voluti quasi due anni per minacciare (a parole), il blocco del negoziato di libero scambio India-Unione Europea. E lo ha fatto il vicepresidente della Commissione di Bruxelles, Antonio Tajani, non il governo italiano. Il ministro Bonino ha posto il problema marò all'Europa, ma non si vedono grandi passi ufficiali.

AFFARI. I privati possono fare quello che vogliono, ma per dare l'esempio sarebbe un segnale forte bloccare qualsiasi iniziativa economica o commerciale con l'India sponsorizzata da soldi pubblici o con l'impegno di rappresentanti governativi.

NUCLEARE. L'India tenta da anni di entrare nel Gruppo dei fornitori di know how nucleare (Nsg). L'Italia non ha mai annunciato che per i marò si impegnerà ad ostacolare l'ingresso della potenza nucleare indiana.

CONSIGLIO DI SICUREZZA. Gli indiani puntano da tempo a diventare membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu. L'Italia dovrebbe opporsi con una «guerriglia» diplomatica fino a quando non viene risolto il caso marò, anche perché sarebbe assurdo che una nazione che ipotizza la pena di morte per chi combatte il terrorismo sieda al Consiglio di Sicurezza!.

RIUNIONI INTERNAZIONALI. Militari, diplomatici, funzionari governativi continuano a partecipare a riunioni internazionali a tutti i livelli assieme agli indiani. L'Italia potrebbe condizionare ogni volta la sua presenza chiedendo che all'ordine del giorno sia inserito il caso marò e condannando lo stallo indiano.

BOICOTTAGGIO. In Italia nessun rappresentante istituzionale dovrebbe partecipare più ad iniziative organizzate dall'ambasciata o dai consolati indiani o con la presenza, come ospiti, di rappresentanti di Delhi. Flebile è stata anche la presa di posizione italiana in occasione della recente festa nazionale indiana

PROCESSO. Se la situazione precipitasse e venisse applicata la legge che prevede il patibolo (ipotesi teorica ma non eslcusa a priori) la strada obbligata è l'arbitrato internazionale, che andava percorsa da tempo. Nel braccio di ferro con l'India non sono da escludere neppure ritorsioni come quelle adottate recentemente da Delhi contro l'ambasciata americana sulle multe ai diplomatici e il ritiro dei tesserini delle corsie vip per viaggiare. E come extrema ratio possiamo sempre ritirare il nostro ambasciatore ed espellere quello indiano. Ricordiamoci che all’ambasciatore italiano era stato impedito di lasciare il paese!