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2015/01/19

Je suis Nigeriano


Gli attentati di Parigi della scorsa settimana hanno portato almeno ad un aspetto positivo: la gente si sta interrogando sul rapporto tra le religioni, la situazione della sicurezza in Europa, l’inaccettabile violenza che scuote il mondo.

Mi trovo in difficoltà perché come cristiano vivo una contraddizione: da una parte giustifico la reazione contro chi ammazza senza motivazione (vale per tutti e non solo contro gli integralisti islamici), troverei giusto bloccare le frontiere e espellere persone, dall’altra credo debba valere la legge del vangelo la cui prima regola è di amare il mio prossimo, perdonare le offese, accogliere e non discriminare.

Ciascuno di noi - se riflette su sé stesso con un minimo di impegno - vive questo dubbio e impegnandosi potrà trovare risposte più o meno coerenti.
Ci sono però alcuni punti che vanno sottolineati, altrimenti saremmo degli sciocchi. 
In primo luogo noi ci indigniamo alcune volte, mentre tanti altri contesti scivolano via nell’indifferenza. 12 morti a Parigi fanno notizia, più di 2,000 morti in Nigeria - quasi tutti cristiani, ma anche musulmani – uccisi in nome della religione meritano poca attenzione e vanno in pagina solo per il raccapricciante particolare di bimbe-kamikaze che si fanno saltare in aria. Quanto siamo vicini a questi fratelli che soffrono?

Allo stesso modo assistiamo ed abbiamo assistito silenti a bombardamenti, atrocità, esecuzioni, danni collaterali e disastri in tutto il mondo senza farci molte domande. Spesso chiudiamo gli occhi davanti alla realtà quando ci disturba. 
Così come nessuno vuol prendere atto che con gli attuali tassi di crescita demografica tra 50 anni (non tra 200!) l’Europa sarà a maggioranza musulmana. 

Rileggere oggi cosa scrivevano solo 10 anni fa Oriana Fallaci, Magdi Allam e lo stesso Terzani non fa che confermare che quanto essi affermavano, ovvero che l’aumento della violenza, del terrorismo ma anche di un Islam sostanzialmente inarrestabile e in ascesa sarebbe stato ineluttabile di fronte al disinteresse europeo e questo è quanto sta puntualmente accadendo. 

Voci che però erano state emarginate e ironizzate, eppure avevano ragione. 
Si parla di cancellare gli accordi di Shenghen: la libertà di un continente intero si piega a due terroristi “fai da te”? Non deve succedere, anche se quei patti vanno cambiati e aggiornati, ma soprattutto i controlli vanno approfonditi alle frontiere europee più ancora che al suo interno. 

Solo poche righe sui giornali di questi giorni per ricordare che nel 2014 di oltre 3.000 minori sbarcati in Sicilia si sono perse le tracce, così come di circa la  metà dei 105,000 profughi e clandestini arrivati per quella stessa via. 
Chi c’era o poteva esserci tra loro? Non lo sappiamo e di loro non abbiamo nomi, foto, impronte: nulla. 

L’Europa vuol bloccare Shenghen e non si cura di questi numeri imponenti, che peraltro sono ancora marginali rispetto agli arrivi attraverso le frontiere bucate dell’Est europeo, anche solo dal Medio Oriente? E’ totalmente assurdo!
Per cominciare è quindi necessaria maggiore consapevolezza, documentazione, interesse degli europei per il loro futuro o la nostra sarà solo una guerra di retroguardia destinata alla sconfitta.

Nulla può giustificare la violenza, gli attentati, gli assassini e va tutelata in modo intransigente la libertà di stampa e di satira.  Questa satira, però, dovrebbe anche meritarsi questa tutela perché una barzelletta su Dio spesso fa ridere, ma una vignetta in cui Nostro Signore viene sodomizzato in modo volgare non mi fa sorridere, mi indigna e - se pur devo tutelare chi le disegna - mi chiedo che uso faccia quel caricaturista della propria libertà. Nessuno deve offendere il prossimo, soprattutto in campo religioso, in modo sguaiato e volgare, nemmeno Charlie Hebdo.

2015/01/17

Condannato a morte


Solo scrivere il titolo mi è costato fatica interiore, aborrisco l'atto anche quando in cuor mio potrei pensare che sia la giusta fine per tremendi crimini commessi anch'essi contro un essere umano. Uccidere chi ha ucciso in effetti non sarebbe la migliore soluzione. Si condanna chi uccide e poi si uccide per eseguire la pena. E se condannassimo chi ha ucciso su mandato delle istituzioni? Il boia non è mai colpevole? Come vive un boia, un uomo che ha nella sua coscienza la morte di centinaia di uomini e donne e a volte anche minori.

La pena di morte è la menzogna che la società continua a raccontarsi sulla giustizia. Non è una punizione né una riparazione e non serve neppure a rendere il mondo più giusto. Non è utile nemmeno a legittimare atti come il pagamento di un parcheggio o l’isolamento forzato in carcere. Per giustificarla, dobbiamo essere così sicuri del nostro giudizio da rendere legittimo il legare un uomo al letto e avvelenarlo. Nel frattempo, la pena di morte ci fa sentire onesti e infallibili, a tal punto che riusciamo ad accettarla senza sensi di colpa.

A dir la verità, la pena di morte era la menzogna che la società si raccontava. Potevamo incriminare qualcuno, rinchiuderlo, e infine togliergli la vita. Un uomo era colpevole solo perché era stato giudicato tale. Potevamo gridare alla menzogna, ma il sistema poteva ignorarci perché, in fondo, non avevamo altro. Ora innocenza e colpevolezza non sono più così definitive. L’analisi del DNA ha contraddetto la menzogna, dimostrando l’innocenza di molti condannati a morte, e anche di molti giustiziati. Per delitto e castigo tira una brutta aria.

Da parte di molti, vi è il sospetto che la pena di morte svolga una funzione di pulizia sociale, poiché sono numerosi gli alcolizzati, i malati di mente, gli emarginati che vengono uccisi, mentre a coloro che risultano colpevoli degli stessi crimini ma che vivono in condizioni migliori viene riservata una sorte diversa. Si ha l’impressione di essere davanti a quello che è stato definito un "potere giardiniere", un potere che si incarica di estirpare le erbacce.

Tra le vittime di esecuzioni capitali si contano anche molti perseguitati per motivi politici o religiosi, uomini a volte "colpevoli" solamente di reati di opinione, che non hanno mai fatto uso di violenza né istigato all’uso. In questi casi la pena di morte appare non solo come uno strumento di discriminazione e di arbitrio, ma anche di repressione.

Nonostante il gran numero di condanne ingiuste, c’è ancora qualcuno fermamente convinto che la pena di morte sia legittima. Non c’è da stupirsi, in un mondo in cui il rimorso è temporaneo e il potere della scienza di scagionare si sta affermando solo di recente. Forse la statistica può aiutarci a fare un conto del numero delle perdite dovute alla giustizia impazzita. 

Negli Stati Uniti vengono condannati alla pena di morte, in prevalenza, i neri, spesso i minorenni, non di rado i sofferenti di disturbi mentali, oppure persone che appartengono a più di una di queste categorie.

Nonostante la Corte Suprema degli Stati Uniti abbia stabilito, più di venti anni fa, la incostituzionalità della pena di morte in ragione delle discriminazioni razziali che essa in pratica comportava, un esame del caso dei giustiziati a partire dal 1977 evidenzia come la discriminazione razziale continui ad essere presente.

Più del 40% dei condannati a morte degli Stati Uniti sono neri, nonostante il fatto che i neri costituiscano solo il 12% della popolazione, e la percentuale di neri che si trovano nel "braccio della morte" è in alcuni stati ancora più alta. Osservando le vittime degli omicidi, le disparità emergono con ancora più chiarezza: l’85% dei condannati a morte "giustiziati" dal 1977 sono stati riconosciuti colpevoli di omicidi di bianchi, nonostante il fatto che neri e bianchi siano vittime di omicidi in misura simile. La probabilità che un nero accusato dell’omicidio di un bianco venga condannato a morte è assai più elevata di quella che un bianco venga condannato a morte per l’omicidio di un nero.

Solo nove Stati proibiscono di infliggere una condanna a morte nei confronti di chi è insano di mente o mentalmente ritardato e molti di questi fissano come soglia un quoziente di intelligenza estremamente basso. Dal 1982 oltre 50 detenuti affetti da gravi problemi mentali sono stati giustiziati.

Nemmeno la minore età salva dalla pena di morte: può essere condannato anche chi è minorenne al momento del reato. In alcuni casi la giovane età non viene neppure introdotta nel dibattimento in quanto circostanza attenuante. Negli ultimi cinque anni sono stati giustiziati minorenni al momento del reato in USA, Nigeria, Pakistan, Iran, Iraq e Arabia Saudita.

In Cina alcuni reati politici e di opinione sono punibili con la pena di morte. E’ del tutto evidente che qualsiasi punizione inflitta a chi ha espresso pacificamente le proprie opinioni politiche o religiose costituisce la violazione di un diritto fondamentale per ogni uomo.

L'aspetto spaventoso del problema è che quelli che non sono stati assolti né giustiziati stanno ancora scontando la pena in prigione. In effetti, i condannati innocenti molto spesso finiscono con lo scontare un ergastolo. Cosa capiamo di tutti gli altri casi giudiziari? Direttamente, nulla, i casi capitali sono diversi. Non si può generalizzare. Ma ci danno un’idea della situazione. I detenuti che rischiano la pena di morte sono i più controllati, ma il tasso di condanne ingiuste rimane simile a quello di tutti gli altri casi sarebbe possibile arrivare a una stima abbastanza precisa per un gruppo e mostrare che il tasso degli altri crimini violenti è simile. Non ci sono grandi differenze. 

La pena di morte come deterrente

Un argomento frequentemente usato è quello secondo il quale la pena di morte costituirebbe un deterrente efficace nei confronti di omicidi e di altri gravi reati comuni. Ma è veramente così?

Nessuno degli ormai numerosi studi condotti in materia ha potuto dimostrare la maggiore efficacia della pena di morte rispetto ad altre pene, in ordine a particolari figure di reato, omicidio compreso. E’ del tutto errato ritenere che la maggioranza di coloro che commettono crimini gravi quali l’omicidio calcolino razionalmente le conseguenze delle loro azioni. Gli omicidi sono spesso commessi in momenti di passione, quando forti emozioni prevalgono sulla ragione. Sono a volte commessi sotto l’effetto di droghe o dell’alcool, o in momenti di panico, quando il colpevole è scoperto nell’atto di rubare. Alcuni soggetti colpevoli di omicidio hanno problemi di grave instabilità psichica o sono malati mentali. In nessuno di questi casi è pensabile che il timore di essere condannati a morte possa operare come deterrente efficace.

Vi è un altro grave limite a cui va incontro l’argomento della deterrenza. Anche chi progetta un crimine in maniera calcolata può scegliere di procedere, nonostante la consapevolezza del rischio che corre, nel convincimento che non sarà scoperto. La maggioranza dei criminologi sostiene da tempo che il modo migliore per scoraggiare questo tipo di comportamento criminale non è quello di accrescere la severità della punizione, bensì di aumentare le probabilità di scoprire il delitto e di condannare il colpevole.

Addirittura è possibile che la pena di morte abbia effetti contrari a quelli voluti. Chi sa di rischiare la morte per il reato che sta commettendo può essere, in certi casi, incoraggiato a uccidere i testimoni del suo crimine o chiunque altro possa identificarlo e farlo incriminare.

Infine, i dati sulla diffusione dei crimini negli Stati abolizionisti non dimostrano affatto che la pena di morte abbia provocato il loro incremento. L’insieme dei dati non corrobora in alcun modo la tesi della deterrenza.

La pena di morte viene spesso invocata come strumento utile e necessario per arginare il terrorismo. L'indignazione suscitata da attentati dinamitardi, rapimenti, uccisioni di pubblici ufficiali o esponenti politici, dirottamenti di aerei e altre azioni di violenza a sfondo politico suscitano una comprensibile indignazione; tuttavia, come hanno ripetutamente affermato diversi esperti di lotta al terrorismo, le esecuzioni possono, anziché porre un freno al terrorismo, provocarne l’inasprimento.

I terroristi e gli autori di crimini politici sono motivati ideologicamente e votati al sacrificio per amore della loro causa, e non provano timore per la pena di morte. Inoltre, le attività terroristiche sono pericolose, il terrorista affronta quotidianamente rischi letali e tende a non essere intimorito dalla prospettiva della morte immediata.

Le esecuzioni portate a termine per crimini di natura politica hanno l’effetto di pubblicizzare gli atti terroristici, suscitando l’interesse dell’opinione pubblica e offrendo ai gruppi terroristici l’opportunità di rendere note le proprie posizioni politiche; si rischia anche di creare dei "martiri" la cui memoria deve essere onorata. Inoltre, le esecuzioni vengono utilizzate come giustificazione di ulteriori atti di violenza compiuti per ritorsione: i gruppi armati potrebbero sostenere la legittimità delle proprie azioni dicendo di volersi servire anch’essi della stessa "pena di morte" che i governi sostengono di avere diritto di applicare nei loro confronti.

Il sistema giudiziario è sempre stato minacciato dal fantasma dei detenuti innocenti. Ma non è altro che un sogno irreale. 

A quanto pare, i fantasmi sono qui e ci guardano.

2015/01/11

#FUORIDALL€URO


Uno dei temi che agitano questo inizio d’anno è la necessità di rivedere la posizione dell’Italia sull’Euro. A destra Lega Nord e Fratelli d’Italia da tempo chiedono che l’Italia esca dalla moneta unica,  anche l'ormai mummificato Berlusconi lo afferma a mezza voce, rilanciando un diverso sistema fiscale. Al centro Grillo ha trasformato l'uscita dall'Euro nel suo cavallo di battaglia anche in vista delle prossime - quanto prossime non si sà ma si immagina - elezioni politiche.

Credo  sia ora non solo di fare chiarezza ma anche di stabilire una linea di credibilità. Il tema infatti è fondamentale e potrebbe essere un’ottima occasione per qualificare l’opposizione nei confronti del governo ma  - anche per differenziarsi dalla demagogia di Grillo – credo non sia più tempo di slogan ma di assunzione di responsabilità.

Certo il concambio iniziale verso l’Euro è stato pesante (se lo ricordi Prodi in procinto di scalare il Colle, perché ne porta la responsabilità!) ma è ora che queste questioni vadano affrontate e studiate a fondo prima in termini tecnici e solo dopo proposte ai cittadini-elettori, ma senza superficialità né sparate demagogiche che non servono a nulla: avere una piattaforma comune e credibile su questa questione sarebbe fondamentale per vincere alle elezioni.

Personalmente credo che uscire dall’Euro sia giusto, non possiamo più permetterci di continuare con “questo” sistema di moneta unica. L’Italia deve rinegoziare gli accordi europei o sarà sempre più difficile uscire dalla crisi. Siamo in un vortice malefico che ogni giorno si porta via un pezzetto della nostra sovranità già ai minimi termini. Liberiamocene o diventeremo il paese satellite della Germania come aveva tramato e voluto Hitler fin dall'inizio e non era riuscito nell'intento sia a causa di Mussolini, per una volta difensore della Patria, sia a causa dell'incapacità del baffetto germanico di attuare un piano realistico e non una sterile conquista. Non gli credeva nessuno ai tempi, non crede nessuno alla Merkel ora.

Prima di tutto cerchiamo di capire che la moneta è un mezzo di espressione economica ma non è l’aspetto più importante di una economia nazionale: è il paracetamolo con cui si affronta la febbre della crisi, ma se la febbre è arrivata per una infezione  si può ridurre la febbre, ma non si supera la malattia. 

Allo stesso modo il semplicistico sistema di proporre una uscita dall’euro, tornare alla lira e  svalutare la moneta è puerile: la svalutazione funziona come sistema di emergenza e una tantum ma alla  lunga uccide il paziente, soprattutto in una situazione economica come quella italiana legata alla dipendenza di materie prime straniere.

In realtà l’Euro, dopo il devastante impatto psicologico di aumento dei prezzi di molti beni di consumo (1 euro= 1000 lire) ha dimostrato almeno due limiti che non erano stati previsti al momento della sua istituzione: non è accompagnato da un potere unico politico-economico centrale sufficientemente forte  e non è stato pensato per i periodi di crisi. Per un pò l’allargamento dell’area-euro accompagnata da una certa espansione ha coperto i suoi limiti che però oggi vengono al pettine. 

Se infatti il “ministro del tesoro” di un ipotetico governo unico europeo fosse eletto direttamente con i voti dei cittadini portoghesi e polacchi, tedeschi e italiani non dovrebbe difendere e privilegiare il proprio attuale orto elettorale nazionale, ma dovrebbe armonizzare l’economia di tutta l’Europa, cosa che è difficile da fare oggi perché diverse sono le priorità nazionali cui fa riferimento ogni singolo stato e i relativi ministri-commissari.

L’Euro ha unito monetariamente l’Europa ma il concetto di stato unitario europeo non è andato avanti, anzi, ultimamente gli euroscettici incalzano. Il risultato è che mentre un dollaro americano è gestito in modo unico per la California come in Florida o nel Vermont, l’Euro produce effetti diversi a Helsinki rispetto a Atene, così come il dollaro non unisce New York e Costa Rica, Messico o Santo Domingo dove non comandano né Obama né la Federal Reserve.

Difficile tenere insieme economie a sviluppo variabile e moneta unica.

Ma d'altronde noi pagheremmo i debiti del nostro vicino di casa che non ha tirato la cinghia, che non rispetta i pagamenti o i piani di rientro e si fa protestare le cambiali? Tutti pensiamo prima a noi stessi, la Merkel – eletta dai tedeschi – prima pensa a loro e a sé stessa e quindi è comprensibile l’atteggiamento di Germania e paesi collegati. 
Diverso se – come è avvenuto – al mio vicino di casa i soldi li avessi prestati, non li restituisce  e vorrei quindi fossero venduti all’asta i suoi gioielli di famiglia (magari svendendoli  per far cassa) oppure in cambio volessi in pegno  proprio quei gioielli per rientrare del mio credito. 

E’ un po’ il caso dei banchieri tedeschi che prima hanno aiutato o prestato fondi a stati come la Grecia (guadagnandoci) e che prima di tutto oggi vogliono rientrare dal rischio dei propri investimenti, alla faccia dei pensionati greci che per loro  possono anche fare la fame. Se ci pensiamo, però, non è che una banca italiana si comporti diversamente con i propri clienti, quindi…

Diciamo allora che nell’area Euro tutti hanno fatto un po’ i furbi sperando che pagassero i vicini di casa. Alla lunga il sistema non funziona se troppe sono le aree di crisi e soprattutto non è chiaro chi debba comandare, così alla fine il più ricco fa la voce grossa anche perché i suoi rappresentanti pensano ai propri interessi e dopo un po’ logicamente trascurano quello dei vicini, oltretutto che non riescono da soli a uscire dai guai.

E l’Italia? Credo che stare in una moneta forte sia complessivamente un vantaggio per il nostro paese, ma per starci bisogna saperci stare e rendersi conti che i debiti vanno onorati. Debiti politici, organizzativi, burocratici. Per colpa nostra, è bene rimarcarlo, non stiamo mantenendo tutti i patti e visto che li abbiamo sottoscritti è evidente che o si cambiano o ce ne si chiede conto.

Qui c’è la politica di mezzo che non riesce, non vuole, non sa come ridurre innanzitutto la spesa pubblica, ma deve farlo sono gli eventi contingenti che la obbligano a attivarsi. Poi dobbiamo renderci conto che non possiamo più mantenere dei servizi se costano troppo, ma è evidente che se ci servono vogliamo prima ridurre quelli degli altri. La classica regola di aumentare le imposte per contenere il deficit porta a risultati opposti se la tassazione è sempre più alta e soprattutto vale solo se tutti le pagano. Poiché da noi non succede alla fine colpisce una quota di cittadini ma è ininfluente per gli altri raddoppiando le ingiustizie, così come le discriminazioni territoriali quando solo alcune aree del paese pagano per le altre più del dovuto. 

Ricette? Secondo me, ovviamente, vanno privilegiate vere riforme interne che però stentano a decollare al di là della demagogia, mentre una misura temporanea potrebbe essere di togliere dal vincolo di bilancio una serie di investimenti direttamente legati allo sviluppo economico o a settori che si ritengano primari per la ripresa. 

Allo stesso modo visto che c’è “catena lunga” tra le misure prese in sede di BCE e effetti sull’economia è essenziale ridurre i costi finanziari ed i tempi di investimenti a progetti non solo di dimensione “europea” ma anche locale, settoriale, di singola media impresa produttiva. Questa norma europea dovrebbe essere comune a tutte le imprese europee, tagliando fuori le burocrazie nazionali.

Questa perché se non si ritorna a produrre e incrementare il PIL (ma i criteri di calcolo sono corretti? Anche qui ci sono molti dubbi) la mossa classica di aumentare le imposte indirette (IVA) ottiene effetti distorti e contrari. Altra riforma – ma in Italia si sta andando al contrario – è il decentramento del controllo, della spesa, dell’autonomia: il livello giusto è quello di aree omogenee (maxi regioni) e non statale o micro-regionale dove peraltro negli anni scorsi si sono buttate somme schifosamente imponenti senza produrre benefici, se non ricchezza per un ristretto ceto politico-imprenditorial-burocratico.

Su questo punto incide un aspetto sempre più importante: la burocrazia.
L’Europa sta affogando nelle regole: lasciamo più libere le imprese (tutte) senza più una massa asfissiante di vincoli, spese, controlli, tempi buttati. Chi sbaglia paga, ma non è possibile che alla fine l’ipotetico meglio (pensate solo alla privacy, all’infortunistica, alle contabilità ecc.) sia nemico del bene. 

Anche perché le regole interne europee devono valere anche sulle importazioni o il mercato continentale continuerà a acquistare “fuori” mentre crollerà la produzione UE perché strozzata dai propri stessi parametri. Non si può comprare in Cina perché costa meno e si produce senza regole e uccidere l’imprese europee perché vengono obbligate a rispettare le regole!

Questi sono spunti di politica europea che dovrebbero interessare il centro-destra perché a sinistra si è pieni di responsabilità e contraddizioni su questi argomenti, ma chi è interessato a farlo?

lanciamo l'hashtag dunque #fuoridalleuro e vediamo come va a finire, altrimenti preparatevi a lustrare le scarpe alla Merkel, ormai non manca molto.