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2016/12/16

Luci e ombre di Christo


Non fatevi ingannare dal titolo, il Christo di cui qui si parla è l'artista americano di origini slave Christo Vladimirov Yavachev che ha ideato e costruito la FP Flowting Piers. L'analisi di Business Insider mette tutto sotto una lente e racconta fatti e misfatti di un'opera discussa. Leggiamolo insieme.

I veri conti del Floating Piers: rischia di guadagnarci solo Christo 

Il New York Times l’ha messa l’8 dicembre tra le tre opere più significative del 2016. Per il Governatore lombardo Roberto Maroni è stato «un successo mondiale», destinato a divenire «un modello per il Governo su come si devono gestire i grandi eventi». Per gli oltre 1,2 milioni di spettatori, un’installazione entrata nella storia, la dimostrazione tangibile di arte fruibile da tutti. È il Floating Piers (FP), il pontile galleggiante costruito dall’artista Christo Vladimirov Yavachev, che dal 18 giugno al 3 luglio scorso ha permesso di assaporare il “miracolo” di camminare sulle acque del Lago di Iseo dal paesino di Sulzano (Bs) a Montisola, l’isola lacustre più grande d’Italia.


Gian Vittorio Frau / AGF
Un’esperienza che molti hanno chiamato la “piccola Expo”, tessendone le lodi, pur sottolineandone le carenze organizzative. Buchi dovuti principalmente a una macchina “tarata” per accogliere 40.000 visitatori al giorno, ma che ha dovuto fronteggiarne più del doppio. Nonostante i disagi, l’evento è stato descritto come l’esempio di marketing territoriale che ha rilanciato la zona del Sebino a livello planetario; o come l’ennesima dimostrazione di come la cultura quadruplichi ogni euro speso. Molti hanno messo anche l’accento sull’intelligente sinergia delle istituzioni che, libere dalla burocrazia, hanno compiuto l’impresa. Insomma, FP è stato celebrato come un miracolo ottenuto senza sborsare un euro pubblico, visto che Christo se ne è accollato tutti i costi, circa 18 milioni di euro.

Il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni e i’ideatore del progetto
Christo Vladimirov Yavachev visitano l’installazione “The floating piers” sul Lago d’Iseo.
Elio Villa / AGF
A sei mesi di distanza, si può tentare un bilancio più distaccato, che consideri l’indotto creato, le ricadute future, l’organizzazione dell’evento per finire con le spese nella loro totalità. Si scopre così che non è tutto oro ciò che luccica e che i costi non sono stati solo a carico dell’artista. Anzi.

Iniziamo dai guadagni

Chi sicuramente non ci ha rimesso, è Christo stesso, il quale non solo rientrerà dei 18 milioni sborsati, ma vedrà crescere il proprio conto in banca. L’artista infatti, pur non accettando né commissioni, né sponsorizzazioni, né vendite di cataloghi, incasserà copiosamente dalla vendita dei bozzetti preparatori, soldi che saranno tassati negli Stati Uniti dove risiede e che quindi non produrranno ricchezza per lo Stato italiano. Per dare un’idea, un bozzetto di piccole dimensioni (34X56 cm) parte in media da circa 120 mila dollari, mentre uno di grande dimensioni arriva a 1,2 milioni di dollari. Se si considera che questi prezzi sono “figurativi”, visto che con la visibilità data da Floating Piers le quotazioni sono schizzate alle stelle e le trattative sono quasi tutte riservate, si comprende come per il Maestro le prospettive siano piuttosto rosee. Per lui i benefici sono già iniziati: novembre 2015, un suo bozzetto è stato battuto a New York a 334 mila dollari, con una base d’asta di “soli” 180 mila. A questi, poi, si devono aggiungere le opere per i “meno facoltosi”, come litografie e immagini fotografiche del progetto autografate dall’artista. Queste ultime – che possono avere una firma autografa o una semplice stampa – vanno dai 200 e ai 6 mila euro.
Alberto Nardi / AGF
Circa il comprensorio, invece, i conti sulla ricaduta economica li ha fatti la JFC di Rimini, l’unica società che abbia preparato uno lo studio “post evento”, sebbene nessuna amministrazione l’avesse commissionato… «The Floating Piers non può che essere considerato un grande successo», scrive nel rapporto Massimo Feruzzi, «capace di portare sul lago d’Iseo 808.900 persone che non vi erano mai state prima, sugli oltre 1,2 milioni di visitatori. Complessivamente le imprese del territorio hanno incassato in 16 giorni ben 88,1 milioni di euro: di questi, il 76,5%, pari a 67,4 milioni, sono stati fatturati grazie all’evento». A questa cifra va aggiunto il “value brand” che il Lago ha ottenuto grazie all’evento, valutato circa sette miliardi. Alla luce di questa analisi sarebbe dura sostenere che non sia stato un successo. Tuttavia: il brand value si riferisce al momento dell’evento, quando cioè il mondo intero cercava su internet Christo, Iseo, Sebino…, mentre non è mai stato ritenuto utile commissionare uno studio sullo stesso valore a sei mesi di distanza!

Circa i 67 milioni di valore aggiunto, un’analisi elaborata dal Comitato Territoriale di Confcommercio a tre settimane dall’evento, dimostra come da un punto di vista imprenditoriale il “miracolo Christo” abbia beneficato solo alcune aziende, mentre ne avrebbe danneggiato molte altre. Il volume di affari di quanti – bar, ristoranti e supermercati – si trovavano in prossimità dei punti di arrivo, è triplicato, mentre per gli operatori dell’accoglienza posizionati in luoghi più distanti, il fatturato è caduto anche del 70%. Non solo, il blocco totale della circolazione deciso dal prefetto di Brescia Valerio Valenti per fare fronte all’invasione dei visitatori, ha comportato la paralisi delle forniture e azzerato i guadagni nei giorni di saldi estivi. Anche sul fronte dei pernottamenti ci sono state luci ed ombre: mentre gli hotel registravano il tutto esaurito (e innalzavano i prezzi), i campeggi non hanno registrato variazioni sensibili.
Davide La Monaca / AGF
Ai mancati guadagni si deve poi aggiungere la beffa: in previsione dell’evento, molti comuni hanno ritoccato all’insù le tasse locali: come il canone per l’occupazione del suolo cresciuto in media del 38%. Aumenti si sono registrati, ha denunciato Legambiente, anche nelle tariffe della navigazione fluviale: con l’orario entrato in vigore il 18 aprile 2016, la Naviseo ha aumentato gli abbonamenti annuali per i non residenti del 30% (da 236 euro a 307 euro) e del 45% quelli mensili per studenti residenti (da 34,50 euro a 50 euro mensili). Ha inoltre abbracciato un sistema di tariffazione a tempo e non più a tratta, che per l’associazione è stato pensato apposta per costringere i turisti a pagare due tratte singole invece che una andata e un ritorno.

Chi ha sicuramente guadagnato sono stati i comuni interessati: Montisola, Sulzano e Iseo, che hanno visto crescere i loro saldi di bilancio. Tra tasse di soggiorno, trasferimenti dalla Regione, vendita dei biglietti delle navette, parcheggi e multe, gli incrementi sono stati sensibili. Sulzano ha chiuso con + 240 mila euro (25 mila solo di multe), cui si aggiungono i 150 mila bonificati dal Pirellone. A Iseo gli introiti per il Comune sono stati di 250 mila euro (180 mila dai parcheggi, 20 mila dagli autopark e 35 mila dai parchimetri), somma alla quale vanno aggiunte le contravvenzioni. Montisola invece avrebbe ricavato circa 450 mila euro, comprendendo anche i 150 mila euro della Regione. Le multe hanno aiutato anche i comuni non direttamente interessati dall’installazione, come Merone, che si è ritrovato con un +82 mila euro in cassa, grazie soprattutto ai 23.248 arrivati dai verbali.

Le note dolenti

Queste le note positive, ora veniamo alle note dolenti, cioè le spese. Sebbene l’intera operazione sia stata spacciata come a costo zero per il pubblico, in realtà il Pirellone già prima dell’apertura del FP aveva staccato numerosi assegni: 700 mila ai comuni per sostenere il marketing e il progetto; 535 mila per le spese della sanità; 150 mila per i contributi dei volontari della protezione civile; 400 mila per gli agenti della polizia locale provenienti da altre città come Milano; 218 mila per il potenziamento di Trenord. In totale la spesa è stata quantificata in tre milioni di euro.

Tutti fondi, come dichiarato dall’assessore regionale Parolini, decisi prima dell’evento, quando si preventiva un afflusso di circa 40 mila persone al giorno. In realtà l’affluenza quotidiana media è stata di 100 mila visitatori, il che ha determinato un’impennata delle spese. Parolini ha però negato costi aggiuntivi, tuttavia ancora non ci sono le cifre definitive. Per esempio la Regione ignora quanti soldi abbia incassato Trenord per il servizio, né ha saputo dire se i treni, che il prefetto di Brescia aveva soppresso per bloccare la fiumana di gente diretta al FP, siano stati comunque pagati alla società o scorporati dai costi.

Anche Prefettura e Provincia di Brescia hanno negato costi aggiuntivi, sostenendo che la sicurezza è stata effettuata con forze già presenti sul territorio. Tuttavia era stato lo stesso Prefetto Valenti a dire che oltre al contingente territoriale, sarebbero arrivati agenti di rinforzo da Roma: 20 uomini in più in servizio nei giorni feriali e 30 nei giorni festivi. Inoltre la macchina per garantire sicurezza e sanità è stata impressionante: sono stati creati due presidi permanenti di Carabinieri, Polizia, GdF e Forestale con funzioni antiterrorismo; erano operativi due elicotteri, due imbarcazioni della GdF, una motovedetta, due natanti e quattro acqua-scooter, 4 gommoni dei pompieri. Per la sanità, invece, erano in servizio permanente nove ambulanze, due automediche, due gommoni sanitari, due moto-soccorso, sei squadre appiedate. A tutto ciò si sono aggiunti anche i 360 volontari della Protezione civile bresciana e i 120 di quella bergamasca.




Xinhua/Photoshot / AGF

Per un evento del genere è il minimo che le istituzioni debbano fare, ma tale spiegamento ha avuto costi ancora oggi non quantificati. Sull’operazione, dopo un esposto del Codacons nell’agosto scorso, la Corte dei Conti lombarda ha aperto un fascicolo, ha richiesto tutti gli atti amministrativi e sta ancora indagando. A calcolare le spese occulte, ha provato Legambiente in uno studio commissionato per determinare i costi pubblici e quelli collettivi dell’opera (questi rilevati in base anche all’impatto che essa ha avuto sulla vita dei cittadini coinvolti). Per l’associazione, la stima totale arriverebbe a 33,3 milioni: 18 milioni a carico di Christo, 8 milioni a carico degli enti pubblici e 7,8 a carico della collettività. Per Legambiente, solo la mobilitazione delle forze di sicurezza sarebbe costata tre milioni, mentre lo smaltimento delle 900 tonnellate di rifiuti prodotti nei 16 giorni, 2,4 milioni. Per gli ambientalisti, insomma, il gioco non valeva la candela, come dimostra il fatto che per oltre 20 anni Christo ha proposto la passerella galleggiante in giro per il mondo e che nessun Paese abbia mai accettato. A parte l’Italia.

«Sono stati sovrastimati i benefici, mentre non sono stati calcolati costi pubblici, effetti ambientali e stress territoriale. Infatti senza una valutazione ambientale (esclusa incredibilmente dalla Conferenza di servizi) e della spesa pubblica, non è stato possibile effettuare una valutazione complessiva dell’evento. Alla luce del volume dell’investimento, 32 milioni circa tra pubblico e privato, c’è da chiedersi se in un “distretto” turistico come quello del Sebino gli investimenti fatti avranno un effettivo ritorno. La ricettività turistica è limitata e la propensione dell’area non è quella dell’Industria turistica, ma del turismo sostenibile», ha detto Dario Balotta, responsabile Trasporti di Legambiente.

Delle cifre riportate dall’associazione si può discutere, indiscutibile è invece il fatto che nessun ente abbia mai commissionato un’analisi costi/benefici prima di dare l’ok al progetto. Così come è indubbio che Arpa Lombardia non abbia richiesto una Valutazione di impatto ambientale né dell’opera né dell’evento in sé, perché “In quanto installazione artistica, e quindi opera di carattere temporaneo, “The Floating Piers” non è stata sottoposta né a VIA (valutazione di impatto ambientale) né a verifica di VIA”. L’agenzia per l’Ambiente ha solo richiesto “una relazione circa i possibili effetti sull’ambiente e le conseguenti misure da adottare”.

Ciò che invece l’Arpa ha preteso è stato il ritorno alla situazione “ante quo”, imponendo la rimozione dei 160 blocchi di calcestruzzo utilizzati come ancoraggio del pontile. Un’operazione che potrebbe aver fatto più male che bene al lago di Iseo. La rimozione per il professor Marco Pilotti, docente di Idraulica del dipartimento di Ingegneria civile dell’Università di Brescia e tra i massimi esperti del lago d’Iseo, ha sicuramente peggiorato la condizione ipolimnica (lo strato profondo) del lago. «Il recupero dei corpi morti, » dice, «ha certamente sollevato i sedimenti del fondale, dove è contenuta una quantità di fosforo 15 volte maggiore a quella presente nell’acqua immediatamente sovrastante, che già oggi è caratterizzata da valori preoccupanti di concentrazione». Dati precisi però non ci sono né ci saranno, perché mancano i fondi per una ricerca approfondita. Inoltre, nonostante l’immagine “green” che i responsabili hanno sempre cercato di dare all’opera, non è stata mai indicata la quantità di CO2 prodotta. A questo ha cercato di rispondere lo Studioaxs di Lucca, esperti in bioarchitettura, che ha valutato in 5617,7 Tonnellate le emissioni prodotte. Cifra enorme: per assorbirle servono circa 3745 alberi di grande dimensione che purificano per 50 anni consecutivi.

Concludendo: se FP, come dice Maroni, è stato l’esempio da replicare in futuro, molti aspetti devono essere migliorati. Le istituzioni prima di dare l’ok a un’operazione del genere dovrebbero avere chiaro quale sia il bilancio costi/benefici e pretendere un’analisi di impatto ambientale. Dovrebbero poi dare anche una chiara indicazione dei costi sostenuti e rendicontarli. Infine, dovrebbero preparare un progetto a lungo termine. Snellire la burocrazia è produttivo, ma “saltare” a piè pari i più elementari passaggi di valutazione è imperdonabile per chi è chiamato ad allocare fondi pubblici.

Nel caso di FP a oggi manca un progetto organico che capitalizzi il successo della passerella. L’opera ha sicuramente prodotto ricchezza momentanea e ha fatto conoscere il nome di Iseo nel mondo, ma questa era la parte facile. Già da settembre scorso si sarebbe dovuta iniziare un’azione di vero marketing territoriale, che partisse da Christo e investisse su tutto il territorio. «Come sindaci del comprensorio abbiamo fatto delle richieste alla Regione per un accordo di programma che preveda interventi su viabilità, ambiente e investimenti culturali», ha spiegato Paola Pezzotti, sindaco di Sulzano, «perché sappiamo che il difficile inizia ora. Siamo in attesa di risposta». Il Pirellone ancora non si è pronunciato, né ha indicato le opere da finanziare, nonostante Maroni lo avesse promesso con grande enfasi durante le celebrazioni post evento. Ora il tempo stringe e si rischia seriamente di perdere molti dei benefici del miracolo di Christo.

2016/12/12

Apocalisse finanziaria mondiale


Prima di Natale e prima dei migliori astrologi Saxo Bank, specialista danese nel trading e negli investimenti, si getta in dieci previsioni shock sull'economia per il 2017. Con senso dell'humor tipico delle brume del paese di Amleto la banca ci elenca quelli che chiama, con cautela, "cigni neri" cioè gli eventi inaspettati e imprevedibili, resi noti dal libro di Nassim Nicholas Taleb che, appunto, nell'edizione italia, recita: "Come l'impossibile governa la nostra vita".

Vediamo la top ten di Saxo, così alla fine del prossimo anno potremo verificare se ha centrato le previsioni.

Il Pil cinese raggiunge l'8 per cento.

Come è noto la Cina sta attraversando una fase di transizione che punta su investimenti e consumi. Il rapporto prevede che arrivi a termine con successo, riporti Pechino ad una crescita dell'8 per cento (oggi è intorno al 6) e che l'indice del mercato azionario di Shanghai superi quota 5.000.

La Fed torna al QE

Tutti pensano che sia finita l'onda del quantitative easing e, anzi guardano a Mario Draghi perché fischi il termine della partita. Invece Saxo prevede che con il previsto aumento dei tassi della Fed ci saranno turbolenze sui mercati e che la banca centrale Usa sarà costretta a nuove misure di "allentamento": nascerebbe il QE Endless che agirebbe tenendo bassi i tassi a lungo.

Il default rate sui rendimenti supera il 25%

Previsione nefasta: il tasso medio di insolvenza delle obbligazioni ad alto rendimento è oggi del 3,77 per cento: nel 2017 raggiungerà un picco del 25 per cento.

Brexit, la Gran Bretagna ci ripensa

La sollevazione populista globale riconduce a più miti consigli Bruxelles che ammorbidisce le proprie posizioni sulla Gran Bretagna. Di conseguenza Londra ha margini di ripensamento sul Brexit: il Parlamento fa marcia indietro.

Doctor Copper frena

Il rame, anticipatore di ripresa, dopo l'elezione di Trump, ha cominciato a correre. Ma secondo Saxo, il nuovo presidente Usa non manterrà la promessa degli investimenti e la crescita globale comincerà ad affievolirsi. Rame in calo a due dollari alla libbra dopo l'exploit.

Trionfo dei Bitcoin e l'apocalisse valutaria

Trump fa spesa pubblica, il decit Usa triplica dai 600 miliardi di dollari a 1,8 trilioni. La crescita dell'inflazione farà tracollare il dollaro Usa e la Cina e gli altri paesi cercheranno valute alternative come i Bitcoin. Scenario apocalittico.

Obamacare nel panico

Secondo Saxo Trump alla fine taglierà la spesa sanitaria, nonostante le rassicurazioni sull'Obamacare. Di conseguenza il settore sanitario andrà a precipizio: per il fondo Health care select sector si prevede un dimezzamento delle quotazioni.

Effetto tequila

Sovrastimata la reale capacità di Trump di reprimere gli scambi commerciali con il Messico. Il peso risale.

Banche italiane top performer in Europa

Miracolo al limite della fantafinanza. Fallisce una banca tedesca e la musica cambia: nasce la Banca europea dei crediti detriorati per ripulire i bilanci delle banche europee. L'Italia beneficia del male comune.

L'Europa si rilancia con gli Eurobond

Le elezioni europee, dalla Francia alla Germania, sono dominate dai populisti. Ultima spiaggia delle tecnocrazie che giocheranno la carta di un New Deal europeo finanziato con una enorme emssione di Eurobond da 1 miliardo di euro.

Sarà vero? Memorizziamo le informazioni e ritroviamoci qui per confrontare i dati reali con la fantascienza, poi vediamo se hanno indovinato.

2016/12/01

Nonostante tutto!




Alle 3 e 27 del pomeriggio del 15 gennaio del 2009, a due minuti dal decollo, a circa 900 metri sopra la città di New York e a 7 chilometri dalla pista di atterraggio più vicina all'aeroporto La Guardia, l'Airbus A320-214 della US Airlines — volo 1549 — intercetta la traiettoria di uno stormo di oche canadesi. Le centra in pieno e il risultato dell'impatto è drammatico: entrambi i motori sono inutilizzabili. L'aereo, diretto a Charlotte, North Carolina, non ha più propulsione, rischia lo stallo. «Hit birds», comunica immediatamente il capitano Chesley Sullenberger, detto Sully, «Abbiamo perso spinta su entrambi i motori. Stiamo tornando verso LaGuardia». Al suo fianco ha il copilota, Jeff Skiles, in cabina, oltre alle 3 hostess, ci sono 150 passeggeri.

Quando Sully pronuncia quella frase sono passati pochi secondi dalla perdita dei motori e lui, che ha 59 anni, 40 anni di esperienza e circa 20mila ore di volo alle spalle, mentre ordina al copilota di prendere il manuale e avviare la procedura di emergenza per tentare di riavviare i motori e riprendere il controllo dell'aereo, non sa ancora cosa deve fare. L'Airbus che sta pilotando sta andando circa 350 km all'ora e, contando che non ha più i motori, ha appena raggiunto la massima altitudine a cui può arrivare.

Dalla torre di controllo del LaGuardia gli propongono due alternative. Per l'uomo della torre sono le uniche: o provare l'atterraggio di emergenza al LaGuardia, da dove è partito due minuti prima, o tentare la stessa manovra all'aeroporto di Teterboro. Ma mentre il controllore della torre dà a Sully le istruzioni per la prima manovra, intanto che il copilota capisce che la procedura di emergenza non gli permetterà di riaccendere i motori, Sully ha già deciso cosa fare. Risentendo ora la comunicazione, la voce del capitano risulta ferma e decisa, ma tutto sommato tranquilla. «We're gonna be in the Hudson», dice, «Stiamo andando nell'Hudson». Mentre in torre di controllo non ci vogliono credere, Sully prende il microfono di bordo e, con la stessa voce ferma e decisa, fa un annuncio in cabina: «Brace for impact». Prepararsi all'impatto.

Dopo 90 secondi l'Airbus galleggia alla deriva sull'Hudson. Sulle ali e dalle uscite di emergenza escono con ordine 155 persone, tutti sulle proprie gambe. L'ultimo a uscire è Chesley Sullenberger. E mentre tutti stanno già parlando di lui come di un eroe e di quello che è successo come un miracolo, una commissione di inchiesta comincia a indagare su Sully, l'uomo che non ha seguito le procedure.

È esattamente questo il punto in cui si inserisce Clint Eastwood, il momento in cui un uomo che fa il suo dovere e diventa suo malgrado un eroe agli occhi degli altri, viene messo in discussione, oltre che dall'autorità e dalla burocrazia, dalla propria coscienza, da se stesso. Eastwood è fatto così. È uno che, nelle sue storie, ama una cosa soprattutto: prendere un eroe, disinnescare la retorica che lo circonda, metterlo allo specchio e mettersi comodo a guardare cosa succede, cercando di vederci in controluce l'umanità. Lo ha fatto tante volte, l'ultima volta proprio con quel Chris Kyle al centro di American Sniper, e lo rifà ancora una volta con Sully.

La storia del volo 1549 della US Airways è una storia difficile da raccontare. Soprattutto se il tuo obiettivo è quello di evitare la retorica. Eppure Clint Eastwood ci riesce. E ci riesce usando la tecnica di sempre: lasciare la retorica alla storia e toglierla dal racconto; non usare il forcipe da commozione e quindi mostrare, senza spiegare.

Quello che interessa Eastwood, infatti, non sono i 200 secondi in cui si gioca tutta la partita, quelli in cui Sully e il copilota, mettendo in pratica una manovra praticamente inedita, riescono a fare atterrare un aereo di linea su un fiume portando a terra sani e salvi tutti i 150 passeggeri a bordo, più le tre assistenti di volo, più loro due. Quello che interessa a Eastwood è tutto quello che succede dopo, nei giorni seguenti — che nella realtà sono a qualche mese di distanza, ma che nel film, per esigenze narrative, sono stati spostate alle ore successive all'incidente — andando a parare su uno dei temi narrativamente più interessanti dell'ultimo secolo: il rapporto tra l'uomo e la macchina.

Nel film di Paolo Sorrentino Le conseguenze dell'amore, Toni Servillo nei panni di Titta Di Girolamo a un certo punto pronuncia una frase molto potente: «Non bisogna mai smettere di avere fiducia negli uomini. Il giorno che accadrà, sarà un giorno sbagliato». Nel suo caso le macchine sono delle macchine conta soldi, e lui sta per truffare una banca svizzera. Ma la stessa frase, presa di peso e portata nella storia di Sully, mantiene tutto il suo senso.

Per la commissione di inchiesta sull'incidente, infatti, Sully non è un eroe. E non lo è perché non ha salvato 150 persone dalla morte, ma perché quelle stesse 150 persone le avrebbe messe in pericolo a causa della sua improvvida decisione di ignorare le procedure e agire d'istinto. Il tradimento della procedura per la creatività, ovvero la vittoria dell'istinto sulla ragione, per la struttura è un atto gravissimo, insopportabile, di lesa maestà contro la Struttura.

Per punire l'uomo e difendersi, la Struttura si affida alle macchine, schiera gli algoritmi e per sostenere le sue accuse porta al processo decine di simulazioni, sia al computer che con l'ausilio di piloti umani. Il responso è sempre lo stesso: calcolando tutti i parametri inseriti dall'accusa, quell'aereo poteva atterrare sia a LaGuardia che a Teterboro. Secondo le macchine, quindi, non solo Sully avrebbe agito con imprudenza. No, peggio, scambiandosi per un dio, Sully avrebbe messo in pericolo 154 vite solo per affermare egoisticamente la propria individualità ribellandosi alla certezza matematica delle procedure. Sully sembra spacciato, chi mai potrà battere un computer quando di parla di algoritmi e procedure?

La risposta è una sola, ed è l'unica variabile che le procedure non possono calcolare, quella variabile X che è poi quella che ha garantito al volo 1549 di non schiantarsi su New York. È il fattore umano, in questo caso il fattore Sully, che facendo ricorso alle proprie sensazioni, al proprio istinto e alla propria esperienza è riuscito dove nessuna macchina avrebbe potuto riuscire: ha fatto una scelta totalmente contraria a ogni tipo di procedura, ha affrontato una situazione che non si era mai presentata prima e ne uscito camminando sulle sue gambe e salvando 154 vite, più la sua.

Non è detto che Eastwood volesse passarci una morale raccontandoci questa storia. Ma se lo voleva fare, allora la morale è la seguente: l'epoca che stiamo vivendo ci sta portando a consegnare la nostra vita in mano a delle macchine, a degli algoritmi, a delle gelide procedure. Stiamo smettendo di avere fiducia negli uomini. E il giorno sbagliato si sta avvicinando. Per evitare che succeda, per resistere e non abdicare la nostra umanità abbiamo bisogno di ricordarci che non è vero, che le macchine, da sole, per quanto siano miliardi di volte più veloci del nostro cervello, non riusciranno a prendere il suo posto.

Nella filologia, ovvero la disciplina che studia l'origine dei manoscritti ricostruendone l'albero genealogico, esiste un metodo che si usa da metà Ottocento. Non è un metodo scientifico, ma come tutti i metodi basa la propria affidabilità sulla applicazione ferrea di una procedura, un algoritmo. Eppure, una macchina non sarà mai in grado di eseguirlo. Perché? Semplice, perchè c'è un punto dello schema delle procedure in cui l'incertezza davanti a un bivio è totale, in cui non abbiamo sufficienti indizi per scegliere con certezza tra A o B. Per uscirne c'è soltanto una procedura, l'unica che un computer non è in grado di capire e che porta l'affascinante nome latino di Divinatio. Cosa vuol dire? Semplice, che davanti al bivio che lo blocca, il filologo, come il pilota, deve scegliere da sé, ricorrendo alla propria esperienza, al proprio istinto, alle proprie sensazioni. Come Sully.

2016/11/29

Ma Trump è veramente un cretino?




Per quasi tutta la stampa italiana Donald Trump è un cretino. Come sempre avvenuto, quando arriva un candidato diverso dalla sinistra-radical-scic non si va a valutare seriamente come la pensi, ma lo si fa diventare un pagliaccio. La ricetta è semplice: si prende una frase, la si estrapola dal contesto, la si commenta in modo demagogico, la si fa diventare titolone e così lo si censura. 

Un esempio? Se leggo “Trump; la Clinton ha fondato l’ISIS!” (titolo Corsera) è una idiozia, ma se lo ascolto e comprendo che ha detto “L’ex segretaria di stato Hillary Clinton con la sua politica di destabilizzazione americana in Medio Oriente ha portato alla nascita dell’ISIS” Trump ha perfettamente ragione. Purtroppo in Italia la politica estera è spot, sensazioni, superficialità e - nello specifico - è in atto una “santificazione” della Clinton considerando i sostenitori di Trump dei buzzurri cretini. 

Si aggregano al cicaleggio i cinquettii della Boldrini, della Mogherini, della Boschi tutte corse alla convention democratica (con i soldi dei contribuenti) a sbavare per un “selfie” insieme alla candidata.

Ricordo la stessa politica di demonizzazione verso il partito di destra della mia gioventù o anche recentemente contro la Lega Nord (e oggi contro il M5S) , con tanti servizi TV dove i leghisti apparivano sempre come degli zoticoni con le corna di mucca in testa, ma raramente c’era spazio per capire od approfondire gli avvenimenti. I commenti alle elezioni americane sono stati sconcertanti davanti a due candidati entrambi discutibili, ma dove da una parte c’era per lo meno un forte senso di discontinuità, dall’altro una liturgica approvazione dello “status quo” e non mi pare che gli USA in questi anni abbiano fatto sfolgoranti progressi, soprattutto facendo pagare a altri (come agli europei) le loro speculazioni finanziarie. Certo che ora che ha vinto Trump, per l’Europa sarà dura, ma per prima cosa credo si dovrebbe cercare di capirne meglio il fenomeno. 

Lo stesso vale per la crisi delle banche dove leggendo dozzine di articoli sfugge un concetto: chi, come e perché ha permesso gli indebitamenti colossali di tanti creditori insolventi, quelli che – per esempio – hanno affossato Monte dei Paschi di Siena, banca “politica” (di sinistra) per eccellenza? 

Nel mio lavoro ho assistito tanti clienti nei loro rapporti con le banche ed ho visto come sia stato sempre difficile ottenere correttamente crediti, finanziamenti, aiuti per le piccole imprese e sempre - anche per poche migliaia di euro di crediti - servono firme, fidejussioni, avvalli ecc.

Ma come è mai possibile arrivare a sofferenze di miliardi di euro? Non ci sono direttori generali, consigli di amministrazione, responsabili dei fidi cui oggi andrebbe chiesto conto? Nessuno paga se non gli azionisti (quelli piccoli, gli altri sono stati prioritariamente sistemati) che in campo bancario hanno visto perdere anche il 99% del proprio investimento. Ma possibile che Banca d'Italia e CONSOB non si sono accorte di niente anche negli ultimi anni? Ed è corretto che ora le banche dietro al Fondo Atlante possano acquisire banche per mezzo piatto di lenticchie? Questi sono misteri tutti italiani che nessuno sembra voler approfondire. 

Un ulteriore esempio di disinformazione è per la Turchia e lo pseudo golpe di Erdogan dove ho letto ben poco fuori dal coro. Ma chi sono stati i golpisti, come hanno portato avanti questo maldestro tentativo di colpo di stato che è abortito in pochi minuti? Oppure – come temo – è stata una plateale “patacca” auto-organizzata o almeno ben a conoscenza di Erdogan che ne ha approfittato per far fuori ogni opposizione? Non si arrestano 2.350 giudici in poche ore senza avere dietro un piano preciso, così come poter impunemente epurare e imprigionare giornalisti, TV, partiti, professori, militari a decine di migliaia. 

Diciamoci la verità, ovvero che oggi la Turchia serve all’Europa e agli USA per molti “lavori sporchi”, ricatta l’UE per i profughi, ha in Europa milioni di suoi cittadini. Erdogan è furbo, tratta e commercia come tutti i turchi e ha scoperto un “cliente” europeo da tenere per le palle. Ecco che in Europa spariscono i guaiti sui diritti umani, non si vedono più le immagini delle torture, non ci sono sanzioni, nessuna delegazione “va a vedere” sul serio cosa succeda nelle carceri turche. Poche le eccezioni, come quella coraggiosa di Lucia Goracci che ha intervistato Erdogan senza ipocrisie, anche se lui ha risposto ovviamente come voleva. 

Sul piano interno lo spettacolo più indecoroso: la “dispar condicio sul referendum” dove non c’è un minimo di equità nell’illustrare anche le ragioni del NO ed è un continuo inno al SI senza vero contradditorio o spazio per spiegare le critiche. Così il SI serve - dice la fatina Boschi - addirittura contro il terrorismo, per dar soldi ai poveri, per superare la crisi economica e via a spararle più grosse. 

Vale per le grandi testate ma soprattutto per la RAI TV, piegata come sempre sul leader a violare qualsiasi regola di “par condicio” con il maghetto di Firenze che appare ovunque con le sue cicalanti vestali. Avevo allegato al blog il documento di un gruppo di parlamentari del PD (che ovviamente rischiavano il posto) che coraggiosamente spiegano il loro NO e un articolo apparso sul Corriere della Sera del prof. Stefano Passigli che – sfuggito alla censura? – con molta pacatezza fa dei ragionamenti chiarissimi e che i fautori del SI dovrebbero forse mediare. 

Ma a fronte di queste indecenze l’unica cosa che conta è sempre la demagogia ricordate la notizia del licenziamento in tronco del direttore di QS (quotidiano sportivo del gruppo Monti) perché in un articolo (tra l'altro in chiave di simpatia) erano state definite "cicciottelle" le tre atlete che hanno perso le possibili medaglie alle olimpiadi nel tiro con l'arco? Ebbene, è di questo che sto parlando mentre nessuno se ne accorge, rane oramai bollite in attesa del pranzo frugale di mister Renzi, alla faccia nostra.

Ma vi sembra un termine così offensivo?! Ogni giorno la verità è mistificata, nascosta, ignorata su problemi ben più gravi e ben altri sarebbero da licenziare! Ma è quel “cicciottelle” a contare… Può funzionare un paese così intriso di ipocrisia? No, ma a furia di buonismi e di "political correct" viene francamente da vomitare, è la sublimazione delle imbecillità.


2016/10/28

Lettera alla UE con affetto dall'Italia!


Facciamo che quest’anno all’Ue non gli diamo un centesimo. 

Niente di niente. 
Né quest’anno né per i prossimi cinque. 

Dopodichè quei 14 miliardi e mezzo che versiamo, in media, ogni anno all’Unione europea li destiniamo, tutti quanti, al risanamento del territorio. Per sventare, ove e quando possibile, il drammatico rischio idrogeologico e per attrezzare le aree più pericolose con il meglio della tecnologia esistente al mondo nella prevenzione dei terremoti. Facciamo, cioè, per una volta davvero qualcosa per noi tutti. Per noi e per la nostra bellissima e sventurata Italia. Facciamo in modo che quel che si può prevenire lo si prevenga e non solo a parole.

E quel che si può rinforzare, sostenere, strutturare lo si faccia col meglio dei materiali e delle professionalità reperibili. A pensarlo sembra semplice. E pure fattibile. In realtà ci vuole una ferrea volontà politica. La capacità di una visione. Di un futuro. Che poi è ciò che qualificherebbe un leader e una forza politica. Tempo da perdere non ce n’è. E il disastro lo vedono pure i burocrati Ue. Interi borghi spazzati via, intere comunità in ginocchio e l’assoluta certezza che l’evento più imprevedibile ed implacabile si ripeterà: non si può continuare così. 


Non si può più nell’era digitale, nel millennio dell’intelligenza artificiale continuare a vedere certi disastri. Non ce la si fa più a soppportare dapprima il terremoto, poi i servizi e le analisi sul terrore e sulle lacrime e quindi l’immancabile impegno sui fondi per la ricostruzione. Perchè neppure hai finito la raccolta e organizzato il lavoro che subentra un altro sito, un’altra devastazione. 

Perciò, all’Ue dei burocrati mandiamogliela noi una bella letterina. Una garbata missiva nella quale spieghiamo che quei soldi destinati al funzionamento Ue, insieme ad almeno altrettanti che lo Stato italiano dovrebbe anch’esso mettere in campo, serviranno, da adesso in poi, per porre l’Italia in sicurezza. Tutta l’Italia. Un piano particolareggiato che ci affranchi dalla peggiore delle paure: morire seppelliti dalle nostre stesse case. 

Facciamolo per davvero, non solo parole ma fatti.

Scriviamolo al signor Juncker e pure alla signora Merkel. L’emergenza è qui. È adesso. È l’Italia. E non ci può essere alcun problema di burocrazia, di conti da rispettare o di tetto al deficit che non si possa sforare. Il tetto a tanti nostri concittadini gli è già cascato addosso.

2016/10/24

Un pezzetto di storia....


Per un bambino, nell’Emilia dei primi anni Cinquanta, la politica era una cosa semplificata, netta, c’erano i comunisti e gli anticomunisti e se crescevi in una famiglia come la mia, i primi volevano la rivoluzione, toglierti la casa, distruggere la chiesa e avevano ucciso i nostri soldati in Russia, mentre gli altri – i nostri – ci difendevano da tutto ciò e gli americani erano quelli che ci avevano salvato dal disastro dell’entrata in Guerra. 

“Eravamo una grande Nazione rispettata, il disastro è stata la Guerra”, diceva mio padre nelle riunioni di amici che, allora, molto spesso ricordavano le storie personali vissute sui vari fronti. Quando Trieste tornò all’Italia i miei genitori partirono con la 1400 imbandierata dal Tricolore ed andarono là a festeggiare e ne ho un ricordo molto vivo (e qualche spezzone di film 8 millimetri) perché la commozione e l’entusiasmo con cui partirono, mi fece sentire che doveva essere una cosa molto importante e bella. 

Il Borghese di Longanesi, il Candido di Guareschi erano letture abituali in casa e anche lì non vi era una differenza avvertibile tra quelli che erano gli anticomunisti, per uno che aveva sei, sette anni. Poi cominciai a distinguere e il quadro a essere molto meno nitido. Con estremo stupore scoprii che mia madre monarchica sentimentale aveva votato repubblica. Perché? le chiesi, perché De Gasperi aveva detto che altrimenti ci sarebbe stata la rivoluzione, fu la risposta e non solo lei, ma anche mio padre che, per restare fedele al giuramento al Re, era stato comandante delle Fiamme Verdi nei lunghi inverni della guerra civile. Il che voleva poi dire rischiare di essere ammazzato da due parti.

E scoprii anche che l’America, nostra amica e benefattrice, era stata in guerra contro di noi ed alleata della Russia e che dunque non avevamo fatto guerra solo all’Inghilterra. Quando c’era casino (molto spesso in quegli anni) a casa nostra la sera venivano i dirigenti della società termale che mio padre presiedeva, il tenente dei carabinieri, il prete, mentre proprio dall’altra parte della strada, alla camera del lavoro, le luci erano pure accese, con il sindaco e i dirigenti comunisti e sindacali, il nemico insomma. 

Era un po’ Peppone e Don Camillo (ma serio purtroppo) e d’altro canto mio padre mi accompagnò a Brescello a vedere le riprese di un episodio della serie e ad incontrare Guareschi di cui era amico. Eppure ogni tanto tornava a Reggio Emilia e non solo ad incontrare i vecchi amici della Dc di cui era stato segretario negli anni durissimi attorno al ’48, ma anche per partecipare a qualche raduno partigiano, dove c’erano pure i comunisti, nonostante l’avversione che nutriva per loro, riaccesa dai fatti d’Ungheria. 

Cominciai a capire che le cose non erano semplici, come quando chiesi a mio padre che cosa avesse provato nel ’43 alla caduta di Mussolini, “ho pianto” mi rispose , “eri fascista ?“, “No, non lo ero più, ma voleva dire che avevamo perduto la Guerra”. Dunque l’Italia, restava l’Italia a prescindere dalle cose politiche. Cominciai proprio allora a scoprire che c’era anche l’MSI, che non era una semplice parte dello schieramento anticomunista, come credevo, ma si rifaceva al fascismo storico, che per me era solo un’epoca molto lontana e un po’ mitologica. Anche alcuni episodi familiari me lo fecero individuare, un autista delle terme, missino sfegatato, che mi raccontava come nel golfo di Napoli nella rivista navale del ’38, ad un cenno del duce cento sommergibili fossero emersi contemporaneamente (a me sembrò esagerato, ma controllai, era vero) e sopratutto il maestro Pizzati, consigliere comunale, che nella nostra scuola elementare, all’ora di ginnastica, faceva talvolta marciare inquadrati i suoi scolari al suono dell’inno della Marina suonato da un grammofono. 

Io, che ero di un’altra sezione, in quegli anni allietati da molti bambini, li invidiavo molto. Intanto crescevo e i discorsi che in casa si aggiornavano alla situazione, cominciavo ad apprezzarli meglio. Insomma perché non possiamo restare al centro, diceva mia madre, perché non abbiamo più i voti e allora è meglio aprire a destra si sentiva rispondere. Erano gli anni di Segni e poi venne Tambroni. Mio padre capì che era un tornante decisivo e, anche se da troppo tempo fuori dalla politica attiva, fece tutto ciò che poteva per evitare la caduta del governo, non servì, la sinistra democristiana si unì ai laici contro Tambroni, il congresso dell’MSI non si tenne e la democrazia parlamentare fu sconfitta dalla piazza.

Cominciai allora a comprare qualche volta il Secolo – Pizzati vigilava che almeno alla cartolibreria Bonatti ci fosse sempre- sentendomi molto coraggioso per questo ed anche assaporando un po’ il fascino del proibito. Avevo tredici anni e non immaginavo che poi ci avrei anche scritto. Nel ’61 ci trasferimmo a Roma e intanto la DC, a Napoli, apriva a sinistra. Mio padre andò fuori dalla grazia di Dio ed io reagii andando al Partito Liberale dove, aumentandomi di un anno l’età, potei iscrivermi alla gioventù liberale. Divoravo libri sul Risorgimento, sulla Rivoluzione francese, sulle due guerre e, ormai, sapevo bene cos’erano i missini e li stimavo. Ero un liberale convinto (lo sono tuttora) ma non potevo non essere attratto dalla Giovane Italia per il coraggio, perché avevano tutto contro, il numero, la grande stampa e anche l’opinione pubblica internazionale, eppure non badavano al loro personale interesse e neanche al pericolo. Era anche una destra occidentale, atlantica, liberista, Arturo Michelini, Gastone Nencioni, Pino Romualdi, avrebbero benissimo potuto entrare nel novero delle destre presentabili, ma, come dicevano, non volevano restaurare, ma neanche rinnegare.

Erano sempre in molti, nel centro, a mantenere rapporti con la destra politica (anche perché era un centro inesistente, composto in realtà per tre quarti da gente di destra e da un quarto di sinistra) come si poté vedere per l’elezione di Segni e Leone, ma lo facevano di nascosto, negando sempre, io no. Io propugnavo apertamente la Grande Destra dentro il PLI, (ed eravamo molto pochi) e soprattutto l’applicavo nel mio ambito, come quando al liceo si formò l’alleanza liberali, monarchici, missini, da me guidata , con Guido Paglia e Antonio Galano, che non mi fece molto amare, ma che vinse le elezioni nella scuola, il Castelnuovo, più rossa di Roma. La mia giovinezza fu poi simile a quella di tanti giovani affascinati dalla politica, comizietti, manifesti da attaccare (anche nella Fontana delle Najadi, reato spero prescritto) interminabili discussioni politiche, lotte interne e anche qualche rischio fisico (sì, i giovani liberali erano molto meno bersaglio, ma anche molto più soli) c’erano però anche ardite missioni nel campo avverso che mi portarono ad avere le prime morose tutte di sinistra. Comunque i liberali non erano perseguitati, anche quando erano politicamente scorretti, anche quando parlavano, come me e Savarese a Radio alternativa di Teodoro Bontempo, dove incontrai un giovanissimo Fini, una quindicina d’anni prima dell’avventura di AN. Non eravamo discriminati o almeno non sempre e dappertutto, potevamo confrontarci con i nostri coetanei di sinistra senza essere oggetto di aggressioni praticamente scontate.

Feci anche in tempo a farmi eleggere all’organismo rappresentativo universitario, l’ORUR, e ad impedire, in accordo con la Caravella, che nascesse una giunta tra comunisti, socialisti, cattocomunisti e liberali di sinistra. Poi il ’68 spazzò via goliardia ed elezioni. Militai con altri amici nella confedereazione studentesca e poi in quella nazionale, ma oramai i partiti di centro cominciavano a perdere la bussola. Da Moro fino a Zanone, erano la solidarietà nazionale e l’arco costituzionale che si imponevano ed io non c’entravo proprio nulla con tutto ciò e, d’altro canto, pure la destra stava cambiando, il riflesso condizionato di appoggiare sempre e comunque i moderati in funzione anticomunista era sparito e anzi i DC e i laici erano visti quasi peggio dei compagni. Inoltre la facoltà di fisica non era uno scherzo ed era assai poco compatibile col tempo perso con la politica e decisi di laurearmi buttandomici a corpo morto, anche se non immaginavo che quella parentesi che pensavo breve, sarebbe durata un ventennio per effetto dei soggiorni all’estero. Sì, andai a sentire memorabili comizi di Almirante, telefonai da Ginevra a tutti i politici che conoscevo, perché non appoggiassimo acriticamente l’Inghilterra contro l’Argentina, feci campagna tra gli anglosassoni per Reagan, sostenni anche la Dc per evitare il sorpasso, criticai aspramente Bon Valsassina quando mi avvertì della scissione di Democrazia Nazionale, ma insomma non ero in politica e non pensavo di rientrarci, perché non mi piaceva più.

Fino a quando Segni non se ne uscì col collegio uninominale, vecchio simbolo dell’Italietta risorgimentale ed io mi riattivizzai, fino a scrivere un pezzo per l’Italia Settimanale in cui dicevo che se avessimo vinto il referendum, la destra sarebbe uscita dal ghetto per forza di cose, fino agli incontri con Fini, Urso, Tatarella, Bocchino, Gasparri e alla campagna per il sindaco di Roma, fino ad AN. Ma questa è un’altra vicenda, una vicenda comune, della quale Gianfranco fu un grande protagonista. No, non sono mai stato iscritto al MSI, ma non è estraneo alla mia storia, come non è estraneo alla storia degli Italiani.

scritto da  per il Secolo d'Italia.

2016/09/23

TORNA LA DITTATURA IN ITALIA



CORTE COSTITUZIONALE: RINVIO VERGOGNOSO

I sostenitori del NO al referendum sono stati tacciati di esagerati quando affermano che una vittoria del SI, combinata con l’attuale legge elettorale, potrebbe tecnicamente portare ad una sorta di dittatura.

La realtà è peggio della fantasia visto che la CORTE COSTITUZIONALE ha deciso di rinviare nell’ affrontare i ricorsi di incostituzionalità contro l’ “Italicum” presentati da diversi tribunali italiani dicendo di non voler interferire con le vicende politiche del momento.

Prontamente Renzi che si è congratulato per la scelta.

CI RENDIAMO CONTO DELLA GRAVITA’ DI QUESTO FATTO? Il massimo consesso GARANTE DELLA COSTITUZIONE che “decide di non decidere” per non andare contro il governo!! Tutti sanno che – seguendo la logica giuridica dell’attenersi a sentenze precedenti – QUESTA LEGGE ELETTORALE, come la precedente, SAREBBE STATA PROBABILMENTE DICHIARATA INCOSTITUZIONALE CON GRAVE SMACCO DEL GOVERNO ma questi giudici rinviano e non prendono posizione.

MA SE QUESTI SONO I GARANTI DI TUTTI, CHI GARANTISCE PIU’ GLI ITALIANI?

E’ una cosa gravissima ed inaudita, prontamente sepolta come notizia da giornali e TV, tutti proni ad incensare il potere, a cominciare da Mattarella che regolarmente fa il pesce in barile senza il coraggio di intervenire se non con le solite frasi ovvie e retoriche.

ITALIANI ATTENZIONE perché la libertà si perde poco a poco, inavvertitamente, e Renzi sta spudoratamente facendo solo il gioco dei propri interessi.

2016/09/17

E' finita l'Estate



Riprende il discorso dopo la sosta di agosto con un terremoto in più alle spalle, un paese bloccato e che non cresce nonostante petrolio e tassi di interesse a basso prezzo, tante promesse e roboanti previsioni che si sbriciolano (purtroppo) davanti alla realtà.

In mezzo, una nuova crisi comunale a Roma dove il sindaco RAGGI è oggetto di evidente boicottaggio (sì, difendo il sindaco del M5S perché bisogna anche darle il tempo di lavorare) ma dove – soprattutto – il PD e certi evidenti “poteri del mattone” stanno dando una quotidiana dimostrazione di come si cerchi di abbattere un avversario politico sgradito con l’uso sistematico della disinformazione e della polemica. 

La vicenda più grave di questa lunga estate è la crisi europea dove la Gran Bretagna se ne va (e sembra proprio stare meglio da sola, son riusciti anche a ridurre le tasse ai cittadini e imprese), ma nulla cambia in un rapporto pan-tedesco dove la Merkel predomina e gli altri stanno a guardare o si inventano scorciatoie populiste.

In quest’ottica provate a ricordare e a sommare i titoli “europei” dei giornali e dei servizi TV pro-Renzi di questi anni e misurateli con la realtà: basta vedere e giudicare ognuno con la propria testa per verificare che dietro il bluff di un bullo fiorentino non c’è assolutamente nulla, se non l’eredità di un’orda di poveracci che a ritmi di migliaia al giorno hanno invaso il nostro paese e non riescono più a uscirne perché a nord hanno chiuso il confine. Un po’ tardi (e in contrasto all’atteggiamento tenuto fino a ieri) Renzi ha “rotto” a Bratislava con i suoi partner, forse perché da Roma ha capito che arrivano venti di crisi personale e politica.

D'altronde l’Italia ha appena votato che l’Europa assegni sei miliardi di euro alla Turchia perché faccia da cuscinetto verso i profughi siriani (dimenticando le repressioni sanguinose del regime turco del presidente Erdogan, di cui non parla più nessuno) e solo briciole all’Italia pur con centinaia di migliaia di profughi arrivati ed in arrivo.

Questo è – purtroppo - il vero “peso” dell’Italia in Europa. 

Si potrebbe continuare con gli indici di crescita economica che dovevano schizzare al rialzo e sono invece malinconicamente fermi, come i tagli fiscali e le riforme che non decollano perché per questo governo le “riforme” sono solo quelle tipo le coppie di fatto. 

Allegri comunque, c’è chi sta peggio di noi.

2016/08/12

Italiani sempre più poveri



L’ultimo decennio ha sconvolto l’ordine economico: i figli sono più poveri dei genitori, e forse destinati a rimanerlo. Non era mai accaduto dal Dopoguerra fino al passaggio del Millennio. L’Italia si distingue, fra tutti i paesi avanzati, come quello in cui questo ribaltamento generazionale è più dirompente.

L'impoverimento generalizzato e l'inversione delle aspettative sono i fenomeni documentati nell'ultimo Rapporto McKinsey. Il titolo è "Poorer than their parents? A new perspective on income inequality" (Più poveri dei genitori? Una nuova prospettiva sull'ineguaglianza dei redditi). Il fenomeno è di massa e praticamente senza eccezioni nel mondo sviluppato. Contribuisce a spiegare - secondo lo stesso Rapporto McKinsey - il disagio sociale che alimenta populismi di ogni colore, da Brexit a Donald Trump. Per effetto dell'impoverimento e dello shock generazionale, una quota crescente di cittadini non credono più ai benefici dell'economia di mercato, della globalizzazione, del libero scambio.

Lo studio di McKinsey ha preso in esame le 25 economie più ricche del pianeta. C'è dentro tutto l'Occidente più il Giappone. In quest'area il disastro si compie nella decade compresa fra il 2005 e il 2014: c'è dentro la grande crisi del 2008, ma in realtà il trend era cominciato prima. Fra il 65% e il 70% della popolazione si ritrova al termine del decennio con redditi fermi o addirittura in calo rispetto al punto di partenza. Il problema affligge tra 540 e 580 milioni di persone, una platea immensa. Non era mai accaduto nulla di simile nei 60 anni precedenti, cioè dalla fine della Seconda guerra mondiale. 

Tra il 1993 e il 2005, per esempio, solo una minuscola frazione della popolazione (2%) aveva subito un arretramento nelle condizioni di vita. Ora l'impoverimento è un tema che riguarda la maggioranza. L'Italia si distingue per il primato negativo. È in assoluto il paese più colpito: il 97% delle famiglie italiane al termine di questi dieci anni è ferma al punto di partenza o si ritrova con un reddito diminuito. Al secondo posto arrivano gli Stati Uniti dove stagnazione o arretramento colpiscono l'81%. Seguono Inghilterra e Francia. 

Sta decisamente meglio la Svezia, dove solo una minoranza del 20% soffre di questa sindrome. Ciò che fa la differenza alla fine è l'intervento pubblico. Il modello scandinavo ha ancora qualcosa da insegnarci. In Italia, guardando ai risultati di questa indagine, non vi è traccia di politiche sociali che riducano le diseguaglianze o compensino la crisi del reddito familiare.

L'altra conclusione del Rapporto McKinsey riguarda i giovani: la prima generazione, da molto tempo, che sta peggio dei genitori. "I lavoratori giovani e quelli meno istruiti - si legge nel Rapporto - sono colpiti più duramente. Rischiano di finire la loro vita più poveri dei loro padri e delle loro madri". Questa generazione ne è consapevole, l'indagine lo conferma: ha introiettato lo sconvolgimento delle aspettative.

Lo studio non si limita a tracciare un quadro desolante, vi aggiunge delle distinzioni cruciali per capire come uscirne. Il caso della Svezia viene additato come un'eccezione positiva per le politiche economiche dei governi e gli interventi sul mercato del lavoro che hanno contrastato con successo il trend generale. "Lo Stato in Svezia si è mosso per mantenere i posti di lavoro, e così per la maggioranza della popolazione alla fine del decennio i redditi disponibili erano cresciuti per quasi tutti". 

Perfino l'iper-liberista America, però, ha fatto qualcosa per contrastare le tendenze di mercato. Riducendo la pressione fiscale sulle famiglie e aumentando i sussidi di welfare, gli Stati Uniti hanno agito per compensare l'impoverimento con qualche successo. In Italia, una volta incorporati gli effetti delle politiche fiscali e del welfare, il risultato finale è ancora peggiore: si passa dal 97% al 100%, quindi la totalità delle famiglie sta peggio in termini di reddito disponibile.

Se lasciata a se stessa, l'economia non curerà l'impoverimento neppure se dovesse ricominciare a crescere: "Perfino se dovessimo ritrovare l'alta crescita del passato, dal 30% al 40% della popolazione non godrà di un aumento dei redditi". E se invece dovesse prolungarsi la crescita debole dell'ultimo decennio, dal 70% all'80% delle famiglie nei paesi avanzati continuerà ad avere redditi fermi o in diminuzione.

2016/08/10

Marcinelle, 60 anni

Quando gli immigrati eravamo noi
L’8 agosto ricorrevano i 60 anni dalla tragedia di Marcinelle, una delle più pesanti catastrofi per l’emigrazione italiana con 136 nostri connazionali periti tra i 263 minatori bruciati o soffocati a quasi mille metri di profondità in una a miniera di carbone belga  vicino a Charleroi.

L’Italia distratta di oggi non ricorda questa pagina tremenda della nostra emigrazione né gli accordi che ci stavano dietro, ovvero il vero e proprio contratto con cui i governi italiani del dopoguerra avevano venduto le braccia di migliaia di operai – quasi tutti del sud – in cambio di quel carbone che doveva far ripartire le nostre industrie per la povertà italiana di materie prime.

Una "deportazione" vera e propria, che obbligava quelli che decidevano di partire per sfuggire alla miseria e alla disoccupazione a scendere nel sottosuolo per almeno 5 anni, pena la detenzione. L'accordo prevedeva l'invio di 2000 operai a settimana, cifra destinata ad aumentare perché dall'Italia arrivarono fin da subito anche le famiglie dei minatori, con mogli, figli, genitori. 

In cambio Bruxelles si impegnava a fornire al nostro Paese carbone a basso costo. 

Nelle città e nei paesi iniziarono a comparire i manifesti rosa di "reclutamento", che promettevano lavoro e salario, magnifiche sorti e progressive ricchezze in un'Italia disperatamente povera. 

Non erano richieste particolari attitudini, solo di avere meno di 35 anni ed essere in buona salute. Chi ha avuto modo di vedere di recente il bel film “Marina” (la celeberrima canzone degli anni ’60 fu composta dal figlio di un nostro minatore in Belgio) avrà notato le condizioni di vita di quegli emigranti e i loro alloggi: baracche di legno e lamiera in ex campi di prigionia. 

Erano quelle, almeno in una prima fase, le abitazioni dei minatori italiani, gli alloggi "convenienti" citati nel protocollo italo-belga. Le cantine trasformate in dormitori comuni con letti a castello, mentre le famiglie vivono nelle baracche. I bagni e le fontane per l'acqua erano esterni e in comune, in un paese dalle temperature non certo accoglienti. Già alla fine del 1948 nelle miniere belghe lavorano quasi 77mila italiani, ma l’emigrazione continuerà senza soste. . 

Alle 8.10 dell'8 agosto del 1956 scoppia un incendio a -975 metri nella miniera di carbone del Bois du Cazier, nel bacino carbonifero di Charleroi. In quel momento nelle viscere della terra lavorano 275 uomini. Di questi solo 13 riusciranno a salvarsi. La macchina dei soccorsi si muove in ritardo, e per due settimane si continua ad alimentare la speranza, fino a quando, il 23 agosto, vengono dichiarati "tutti morti". I processi-farsa che seguiranno assolveranno tutti i responsabili della miniera, priva di qualsivoglia sistema di sicurezza, parlando di “fatalità”. 

Fu Mirko Tremaglia – come ministro per gli italiani nel mondo – a proporre ed ottenere che l’8 agosto diventasse un giorno di ricordo nazionale dell’ l’emigrazione italiana, ma ora che non ci sono più nè il ministero e neppure un sottosegretario specifico per gli italiani all’estero di questi ricordi se ne perdono le tracce. 

Qualche ex minatore è ancora in vita come – è stato ricordato - Mario, a cui la miniera ha "regalato" la silicosi. Lui ed altri ex minatori italiani cercano di tener viva la memoria di una tragedia che molte giovani generazioni non conoscono neppure. Mario ha scritto al presidente Mattarella per avere una copia della medaglia che l'Italia diede a suo padre, anche lui minatore. Ma, dall'inverno scorso, non ha ancora ricevuto risposta. Come è stato scritto, quei minatori e le loro famiglie "sono rimasti orfani non solo dei padri, ma anche della patria".