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2020/10/22

Partiti in movimento?



Sappiamo tutti, spero, che va benissimo curare i sintomi  di una malattia. Ma non bisogna assolutamente perdere di vista la causa della stessa. Assistiamo giornalmente al putiferio che si scatena intorno a qualunque commento e relativa critica all’operato e alle dichiarazioni di un componente del direttivo di un movimento e ai suoi richiami al rispetto dei princìpi. Le critiche e relative polemiche, non hanno una base logica.

Dove sta l’equivoco? Nel non aver messo in chiaro la causa, cioè la differenza tra movimento e partito. Il partito si colloca sul terreno della politica, cioè del potere, i movimenti invece su quello del raggiungimento di obiettivi parziali. I movimenti perseguono obiettivi parziali, per questo le persone che vi aderiscono sono più numerose di quelle che militano nei partiti. Un lavoratore può essere assolutamente favorevole a difendere il proprio salario con lo sciopero ma, per quanto contraddittorio ciò possa sembrare, può allo stesso tempo votare a destra. Vi sono molte persone che solidarizzano sinceramente con le popolazioni del Terzo Mondo e dunque si spendono a favore del consumo critico e contro il Fmi, ma, all’ora del voto, scelgono partiti moderati.

Ciò costituisce una contraddizione solo se si adotta il punto di vista del piano politico, cioè un punto di vista complessivo, che dà una spiegazione, non necessariamente corretta, di tutte le parzialità riconducendole ad una sola logica. Ma non è così dal punto di vista del movimento, che ha una visione parziale. Il movimento cioè risponde ad un bisogno di massima unità per il raggiungimento di un obiettivo specifico. Porre problemi di prospettiva politica viene percepito dalla massa degli attivisti di movimento come un attentato a questo sforzo, come un tentativo di divisione, e per questo è solitamente respinto come “strumentalizzazione”.

Aderire a un movimento, accettandone le impostazioni in quanto tale, risulta tanto riprovevole se il fondatore o chiunque al posto suo, richiami ai princìpi fondanti frenando deviazioni?
La conquista di un posto accanto ai detentori del potere politico, non può far deviare un movimento dalle sue originali impostazioni. Pertanto, reclamare interventi che assecondino accordi ai fini del conseguimento di potere, significa voler trasformare un movimento in partito, o quantomeno in fronte popolare.

Altra definizione che si pone tra le due configurazioni di movimento e partito e presuppone l’accordo tra partiti al fine di instaurare un governo ben preciso, in contrapposizione ad altri, esattamente come successo, con alterne fortune, in Europa, alla fine della seconda guerra mondiale. Gridare, quindi, alla mancanza di scelte precise su temi di politica e economia nazionale e internazionale, non ha alcun senso finché permane la scelta di definirsi movimento. Semmai, il dibattito interno a un movimento, dovrebbe essere incentrato, dopo un innegabile successo elettorale, sulla possibilità e fattibilità di un cambio di obiettivi e organizzazione.

Il tutto senza strombazzamenti e accuse di centrismo o totalitarismo verso uno o l’altro difensore del principio movimentista. Cosa che farebbe presupporre il non recepimento e la non comprensione degli obiettivi accettati al momento dell’adesione al movimento stesso, oltre alla non conoscenza della differenza tra partito e movimento.

Nello scenario italiano, il successo elettorale e la possibilità di un incremento della rappresentanza del Movimento “grillino” in Parlamento, quasi impone un cambiamento di rotta e di obiettivi. Ma trasformare un movimento in partito, presuppone una organizzazione e un cambiamento tale che, se da un lato potrebbe portare alla conquista di un potere politico determinante per le scelte di sviluppo dell’intera nazione, dall’altro certamente farebbe scemare il consenso da parte dei sostenitori che non si inquadrano in una ideologia ben precisa, ma hanno deciso di dare l’appoggio a chi si proponeva il raggiungimento di obiettivi parziali e ben definiti, più vicini al sentire comune. Tra l’altro vorrebbe anche dire uniformarsi a un modo di concepire la politica e la democrazia, secondo schemi e canoni che hanno dimostrato le incongruenze della democrazia di partito.

La “democrazia dal basso”, propagandata dai capi del movimento grillino, ha delle basi che presuppongono una presa di coscienza che rasenta, stante l’attuale realtà sociale italiana, l’utopia. Intanto sembra attecchito il seme dell’informazione. Adesso deve crescere diventando conoscenza e maturare diventando presa di coscienza. Tempi lunghi dunque. Inutile schieramenti pro o contro accordi o altro. Le scelte si fanno prima. Consapevolmente. Come le scelte durante.

fonte: il fatto quotidiano

2020/10/21

La libertà perduta, per sempre?




Il virus, arbitro tra salute e libertà

Da una settimana in Italia il contagio è sfuggito di mano e nelle stanze del governo si discutono scenari e nuove restrizioni per riprendere il pieno controllo della situazione. 

Ieri c’è stato un nuovo record nei contagi, oltre quota 15 mila. 

E un preoccupante aumento delle vittime: 127, tante quante non se ne registravano dal 20 maggio. Che cosa accadrà quando i nuovi positivi diventeranno 20-30mila al giorno? 

Tommaso Ciriaco rivela quali sono le proposte sul tavolo: dal coprifuoco serale a partire dalle otto della sera nelle grandi città, fino al divieto di spostamenti, se i numeri dovessero peggiorare, con possibilità di muoversi solo per andare a scuola o al lavoro.

Ancora una volta, per tutelare la salute di tutti dobbiamo prepararci a rinunciare a una parte della nostra libertà. 

E’ la pandemia a richiederlo, e non solo in Italia. Due giornalisti, positivi al coronavirus,  raccontano in prima persona che cosa accade nei due paesi più potenti del mondo. 

Federico Rampini è a New York e la 007 del Covid gli offre, quasi chiedendo scusa, l’albergo a spese dello Stato di New York, i pasti, le medicine e persino lo psicologo gratis. 

Filippo Santelli, da Nanchino, racconta un altro modo di affrontare la pandemia: da quando è risultato positivo la sua camera d’albergo è chiusa a chiave. 

Dall’esterno.

fonte La Repubblica 22/10/2020



2020/10/12

THE PARTY IS OVER



Dopo i fasti dell’estate la festa è davvero finita. Perché se è vero che la maggior parte dei focolai, l’80 per cento, si sviluppa in famiglia e tra amici, la seconda ondata dell’epidemia impone nuove restrizioni nella vita di ognuno di noi. Ed è quello che prevede la bozza dell’ultimo Decreto del presidente del Consiglio dei ministri. 

Come racconta Michele Bocci vengono vietate le feste private nei locali pubblici. Il governo rivolge una forte raccomandazione a non organizzarne in casa e comunque a non ritrovarsi mai in più di sei persone se non si è conviventi. Trenta partecipanti è il limite per le cerimonie civili e religiose come i matrimoni. Stop alle gite scolastiche e allo sport amatoriale di contatto non regolamentato, per esempio le partite di calcetto tra amici, mentre resta il via libera per le attività delle società sportive. Per evitare gli assembramenti dei giovani dopo le 21 scatta il divieto di sostare davanti ai locali che non offrono posti a sedere, come alcuni bar o gelaterie, mentre quelli che hanno il servizio al tavolo come i ristoranti dovranno chiudere a mezzanotte.
 
Interventi mirati e decisi ora, dice il premier Giuseppe Conte, per evitare misure più drastiche in futuro. Per scongiurare, cioè, un nuovo lockdown nazionale e i suoi risvolti drammatici sull’economia e sulle famiglie. “L’economia va preservata, certo. Ma l’unico consumatore che non consuma è quello morto”, scrive Luca Bottura commentando le accuse rivolte al ministro della Salute Roberto Speranza, che parlando di come far rispettare i limiti alle feste private aveva spiegato di confidare nelle segnalazioni dei vicini di casa.
 
La scuola per ora è salva. Anche se l’intangibilità della presenza in classe dei ragazzi, sventolata per mesi, è diventata di nuovo una leva della trattativa. Nel braccio di ferro tra Regioni e governo sulla capienza consentita dei mezzi di trasporto pubblici è riapparso per la prima volta lo spettro della didattica a distanza per gli studenti delle superiori.


2020/09/26

CHIUDETE ALITALIA, PLEASE!


E' ufficiale: dal 1 ottobre Alitalia" non volerà più da Malpensa. Quell’ aeroporto che era stato ricostruito e potenziato nel 2000 proprio come "hub" della “fu” Compagnia di bandiera per risollevare le sorti  della stessa Alitalia, semplicemente sparisce. 

Motivazione? "La rotta su Roma era in perdita" e quindi si chiude anche quella: così sarà perfino impossibile andare a Fiumicino per prendere eventualmente altri voli della stessa compagnia.

Ovvio, visto che da Malpensa Alitalia aveva progressivamente tagliato tutte le altre rotte e quindi era difficile pensare che arrivassero e partissero suoi passeggeri.

Un ragionamento comunque economicamente  lucido, ma visto allora  che TUTTE le rotte di Alitalia nel mondo sono in perdita, con questa logica andrebbero chiuse TUTTE le rotte e quindi – finalmente - l’ Alitalia stessa.


Eppure davanti a questa boiata  il governo Conte ha stanziato recentemente altri 3 MILIARDI (miliardi, non milioni!) di euro pro Alitalia, dopo tutti gli altri soldi già buttati via negli anni. Festeggiano ovviamente le altre compagnie europee che - almeno prima del Covid – grazie all’ assenza di Alitalia riempivano da Milano i loro voli per Parigi, Francoforte, Monaco e Zurigo e da lì volavano nel mondo. Esempi incredibili, come il volo Milano-Dubai (che Alitalia cancellò perché in perdita!) mentre  Emirates - prima del Covid - da tempo aveva portato a tre i suoi voli quotidiani da Malpensa.

Ma perché sprecare continuamente questi contributi in un pozzo nero che oltretutto si è dimostrato non tenere minimamente in considerazione le necessità dell’utenza, soprattutto di quella del Nord Italia? Alitalia vola vuota perché la concorrenza offre di meglio e a prezzi più bassi, con una riflessione finale: se questo carrozzone è ora rimasto solo "romano" perché allora devono pagarlo tutti, compresi quelli che gli aerei Alitalia non li può più nemmeno usare?  Ma possibile che non ci sia nessuno che abbia la possibilità, il coraggio, la sensibilità di sollevare il coperchio su questa fognatura inaudita di cui nessuno porta mai una qualche minima  responsabilità? 

 

PS La dimensione dei numeri a volte ci sfugge. Pensate ad una azienda cui in cambio di 1 (uno) posto di lavoro in più fossero dati 50.000 euro di contributi a fondo perduto.

Sarebbero 20 posti per un milione, 20.000 per un miliardo, 60.000 per 3 miliardi.   Per difendere Alitalia - comunque  in continua perdita - il governo ha insomma rinunciato, teoricamente, ad aiutare 60.000 imprese con la creazione di 60.000 nuovi posti di lavoro

2020/09/01

Terrapiattisti, perché?




Terrapiattisti, perché c’è chi si ostina a credere che la terra sia piatta nonostante l’evidenza?
Già in troppi ne hanno parlato, dando loro una visibilità che non meritano. Se volete andarci, fate pure. Viviamo in un Paese libero. Se volete saperne di più, andate in rete e troverete gli articoli che ne parlano. A me della conferenza "Terra piatta: tutta la verità" che si è tenuta a  Palermo lo scorso mese di maggio, non interessavano i folkloristici relatori e relativi temi, ma il perché.

Il perché va ricercato nella nostra caratteristica, unica fra le specie di questo pianeta, di raccontare storie. Non possiamo vivere le nostre vite senza costruire narrazioni. Quando raccontiamo il nostro percorso professionale, la nostra narrazione è lineare, razionale, logica. Peccato che non sia una storia avvenuta, ma quella che raccontiamo dopo avere cercato e trovato logica a decisioni irrazionali, relazioni di causa-effetto a eventi casuali, strategia e pianificazione quando siamo stati i primi a essere sorpresi dal corso degli eventi. Provate a dire una coppia di parole come gabbia-uccello, tastiera-mano o fiume-ponte. Chi vi ascolta, sempre e comunque, ci costruisce sopra una storia o un’immagine. Anche quando leggiamo coppie di parole apparentemente non correlate come pensionato-guardaroba, il nostro cervello fa di tutto per combinarle insieme (lo state facendo proprio ora).
Creiamo storie per due motivi:

1. Il primo è creare un senso causale del mondo che ci circonda, fornire potere esplicativo per aiutarci a navigare nei mari delle nostre vite.

2. La seconda ragione è darci significato e scopo.

Le storie, complesse e sfaccettate, non sempre del tutto coerenti, non importa se religiose, culturali o scientifiche, ci fanno comprendere il nostro mondo, il nostro posto in esso. Per quello che riguarda la filosofia della natura, la scienza, seduti sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto (non quelli di Tartaria…), basandoci sul loro lavoro, raccontiamo storie che si sviluppano nel tempo. Sempre per comprendere. La narrativa dell’evoluzione, per esempio, fornisce un potere esplicativo mozzafiato. Senza di esso, il mondo è semplicemente un caleidoscopio di forme e colori. Con esso ogni organismo ha funzione e scopo. Allo stesso modo, la storia della formazione del nostro sistema solare è ricca, avvincente e include la spiegazione del motivo per cui la Terra è, in realtà, più o meno sferica ed è così semplice dimostrarlo che ci riuscì Eratostene nel 240 a.C., per giunta misurandola con un errore di circa 1,2% (40mila 500 chilometri contro 40mila 009).

Però c’è chi rifiuta queste evidenze. Perché?


Accettare le principali scoperte scientifiche, il loro racconto, richiede il rifiuto di una narrativa esistente. Questo è il caso dell’evoluzione nel contesto delle interpretazioni fondamentaliste della Bibbia. Per chi crede “alla lettera” al racconto della Genesi, accettare l’evoluzione richiede il rigetto della visione del mondo dettata dalla Bibbia. Essenziale è mantenere la coerenza e l’integrità della narrativa “ortodossa” in uno sforzo di purificazione ideologica. Non importa quanto siano schiaccianti le evidenze scientifiche. Inutile spiegare a Daniele che il leone lo sbrana. Dio è con lui. Fede contro prove sperimentali. Teologia contro Scienza. Teologia e Fede vincono sempre.

Altro motivo per rifiutare le narrative scientifiche è il non ritenere, come individui, che abbiano significato al loro interno, alcun ruolo perché non apparteniamo alla comunità che le ha originate. Nel mondo di oggi c’è così tanta conoscenza e ne deteniamo singolarmente così poca da non considerarci significativi, con una sensazione di mancanza di controllo della nostra vita che alimenta la credenza in teorie cospirative.
La scienza, infine, non sempre è intuitiva, è difficile, richiede studio, allenamento, fatica, tempo. Non sorprende allora che si cerchino scorciatoie, modi di pensare che non chiedano di fare i conti con la scienza e che allo stesso tempo offrano una posizione sociale privilegiata e confortevole. La scienza viene rifiutata. Si accetta l’alternativa di una Terra piatta, pretendendo, appellandosi al senso comune individuale, di essere razionali (negando al contempo la razionalità collettiva della comunità scientifica). Si alimenta così un sentimento di indipendenza e controllo, spostando l’individuo dall’umile periferia della conoscenza e della comprensione a una posizione centrale, privilegiata, fra coloro che conoscono e condividono la stessa “verità“.

In sintesi: se riusciamo a superare la corrente del pensiero dominante trovando un luogo da cui possiamo avere una visione unica e controversa, possiamo sperare di essere più significativi e trovare uno scopo a cui dedicare i nostri talenti.
Ma perché preoccuparsi? Perché volere fare cambiare idea a qualcuno con credenze che spesso sono solo scemenze? Perché non lasciare predicatori, profeti, fanta-, para- e pseudo- scienziati negare? Alla fine dei conti sono solo una minoranza, ogni tanto anche divertente, ai margini del mondo razionale. Perché possono fare grossi, enormi danni. Vedi vaccinazioni e cambiamento climatico. Perché occorre difendere e valorizzare la conoscenza duramente conquistata attraverso l’impegno di vite individuali e gli sforzi collettivi di generazioni dedicate alla sua ricerca. Perché se tutte le narrazioni vengono considerate uguali, qualunque storia non ha valore e questo è una catastrofe di cui saremo tutti responsabili, qualcosa che nessuno di noi dovrebbe accettare. Mai.

Da un articolo su "Il Fatto Quotidiano" liberamente modificato.