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2021/10/23

... inutile come un camino ...


Veramente, la citazione originale, riportata volentieri in quasi tutti gli opuscoli e le pubblicazioni che si occupano di caminetti, almeno in Italia, è: '...inutile come un camino d'estate', ed è frase di Francesco Milizia, Architetto veneto del settecento, riportata nella sua opera Principj di Architettura Civile, del 1785.

Se ci siamo permessi di parafrasare una così autorevole fonte, è perché, nei quasi due secoli e mezzo che ci separano dalla pubblicazione del celebre trattato, l'architettura e l'edilizia civile in genere, la tecnologia del riscaldamento, così come il nostro stile di vita, si sono talmente modificati, che non ci è parso troppo irrispettoso attualizzare il problema, e porci la domanda: a che diavolo serve, oggi, un camino?

Non a riscaldare: se chi legge ha avuto- o avrà - la bontà e la pazienza di seguire la trattazione sulle stufe, saprà che un caminetto aperto è una fonte di calore del tutto inefficiente e, spesso, insalubre, che è stata da tempo sostituita da altre tecniche di riscaldamento, assai più comode ed economiche.

Non a cucinare: lasciando pure da parte i cibi precotti ed i prodotti di 'fast food' che sempre più spesso occupano la nostra tavola (quando non vengano consumati addirittura in piedi...), francamente non vediamo i nostri contemporanei di qualunque sesso e condizione rinunciare alle comodità di una cucina moderna per tornare a tecniche e strumenti di cottura già dimenticati prima dell'alba del ventesimo secolo. Qualche bruschetta natalizia o pasquale non giustifica certo l'impegno ed il costo che la realizzazione di un camino comporta.

Pure, mai come oggi i camini sono stati amati e richiesti - e mai come oggi l'offerta della produzione è stata così varia ed articolata da provocare un così grave imbarazzo nella scelta. Tutti gli stili e tutte le tendenze del disegno d'interni e dell'architettura, dal classicismo più tradizionalista sino all'high tech più avveniristico e sfrenato, sembrano considerare irrinunciabile l'impiego di questo antichissimo elemento, il fuoco, e della sua cornice: il caminetto, appunto.

Eppure forse è proprio in questo il segreto della nuova vita del caminetto: nella sua lussuosa inutilità, nella sua totale separatezza da qualunque reale scopo pratico.

Svincolato dalla necessità di riscaldare e di cucinare, gravosi compiti affidati ad altri - più tecnologici e meno aristocratici - strumenti, il camino gode oggi dell'immenso privilegio di essere scelto, invece che subìto, lasciando all'estro dell'architetto, all'intuito dell'arredatore, alla genuinità del proprietario, la libertà della forma, della dimensione, della collocazione. Ridotto a puro contenitore del fuoco, ritrova la sua primitiva sacralità di focolare domestico, di centro naturale d'attrazione della vita famigliare, contendendola, egli soltanto, a quell'altra moderna scatola di luce e colori, la televisione, dal contenuto, ormai, assai più monotono e ripetitivo del guizzare della sua fiamma.

Accucciarsi davanti al focolare, pulirlo con cura della vecchia cenere, scegliere e posizionare con calma i giusti tagli di legno, i più piccoli e più facili da bruciare prima e quelli più grossi e durevoli poi, accendere finalmente il fuoco, curarlo finché prenda adeguatamente, e poi sedersi soddisfatti ad ammirare il risultato, attizzando la fiamma ogni tanto, magari solo per il gusto di sfavillare qualche scintilla in giro, è l'unica antica cerimonia che sia rimasta nella nostra automatizzata e supertecnologica vita, che ci faccia sentire ancora fratelli di Prometeo, rinnovando l'eterno stupore del fuoco, e l'intimo orgoglio di saperlo dominare, gesti semplici dal significato immediato, che suonano corde ancestrali ancora non del tutto sopite della nostra originaria natura di cacciatori e raccoglitori del Paleolitico....

Lasciarsi abbrustolire al calore della fiamma dà ancora un piacere che nessun riscaldamento centralizzato può imitare, ascoltare nella notte lo scoppiettìo dei ceppi dà un senso di sicurezza e rilassamento che nessun moderno farmaco può sostituire, lasciar vagare lo sguardo sul guizzante e mutevole gioco di luci di un focolare in penombra libera ancora la fantasia e l'immaginazione che il bombardamento mediatico radiotelevisivo opprime ed atrofizza...

La semplice cura di un focolare ha un valore terapeutico che il Servizio Sanitario Nazionale dovrebbe riconoscere, consentendone l'installazione al prezzo di un modesto 'ticket', come misura profilattica contro lo sciocchezzaio e la confusione della vita moderna...

Un caminetto riscalda, illumina, favorisce la ventilazione della casa, fa compagnia ed arreda. Nessun altro componente della casa, né strutturale né accessorio, svolge così tante e mutevoli funzioni insieme. Certamente la caldaia riscalda di più e più economicamente, le lampade elettriche illuminano meglio, la televisione o la radio hanno una colonna sonora più varia, e altri sistemi tecnologici rendono la nostra vita più semplice e comoda, ma nessuno che corrisponda ai nostri istinti più intimamente del camino, nessun che sia più affine a noi stessi, nessuno che sia così versatile e plasmabile alle nostre esigenze.

Un camino posto in un qualunque spazio, trasforma una stanza vuota in una casa: nient'altro ha questo incredibile potere.
Ecco, il potere di trasformare anche una banale abitazione moderna, industriale, anonima, in una Casa: basterebbe questo, crediamo, a far desiderare un camino.
E scusate se è poco...

2021/10/21

THE DAY AFTER



Serve a poco che la sondaggista Ghisleri si affanni a spiegare che su quasi 50 milioni di elettori italiani il 4 ottobre ne erano chiamati al voto solo 12 milioni, che hanno effettivamente votato sola la metà degli elettori e che domenica scorsa ai seggi ne sono andati molti di meno, neanche il 5% del corpo elettorale: la percezione (corretta) è che il PD abbia vinto e gli altri abbiano perso. 

Il centro-destra si è salvato a Trieste ma è crollato in tutti gli altri centri andati al voto di ballottaggio, come peraltro era prevedibile, salvo qualche caso davvero incredibile (come a Latina), con votanti scesi tra il 30 e il 40%.

Letta può quindi giustamente esultare, ma non solo per i risultati in sé quanto perché dalle urne esce la conferma che - se si andasse a votare con un centro-sinistra unito - il PD potrebbe vincere le prossime elezioni politiche e (dopo aver messo un suo uomo al Quirinale) Letta potrebbe quindi blindare l’Italia per i prossimi cinque anni.

Improvvisamente la possibilità di elezioni anticipate - prima fortemente sostenute a destra - sembrano convenire ora alla sinistra, anche perché gli avversari sembrano KO con il rischio di ulteriori fratture nello stesso centro-destra dove, soprattutto, non emerge un leader capace di porsi come guida stabile della potenziale coalizione.

Le divisioni a destra non hanno pagato nonostante i sondaggi perché un conto è correre ciascuno per conto proprio inseguendo l’elettorato del vicino, un conto convergere su un candidato unico a sindaco quando è percepito appartenere alla “concorrenza”. Fallite le giunte pentastellate ecco ora i voti grillini rientrare a casa PD, partito comunque capace di mantenere più o meno i propri voti. Quando a casa restano poi soprattutto gli anticomunisti, la vittoria è assicurata.

Il voto di domenica conferma anche come i rapporti PD-M5S siano potenzialmente in miglioramento sposando le posizioni di Conte, ormai specializzatosi nel ruolo di pontiere.
E pensare che al centro-destra (ormai abbonato alle sconfitte ai ballottaggi, perché il proprio elettorato è storicamente poco propenso ad andare a votare al secondo turno) basterebbe un codicillo alla legge elettorale amministrativa per sparigliare: 

“Se al ballottaggio chi vince prende comunque meno voti di un altro candidato al primo turno, quest’ultimo, essendo stato il più votato, è allora eletto sindaco.” 

Sembra una banalità, ma è un caso ormai diffuso che chi vince il primo tempo perde al secondo per un forte calo di elettori. In fondo sarebbe una più corretta forma di democrazia, si eviterebbero dispersioni di voti su candidature senza senso al primo turno evitando che i potenziali vincitori ripudino le alleanze ai ballottaggi conquistando quindi da soli il premio di maggioranza cui aggiungere altri seggi di liste apparentate solo informalmente, ma con le quali ci sono già accordi di successive maggioranze allargate.

Si finisce presto nei tecnicismi elettorali, ma sono questioni importanti per elezioni comunali dove ormai vota meno del 40% con il risultato di sindaci eletti con anche meno del 20% dei voti rispetto al corpo elettorale.

Il centro destra si ritrova intanto in un angolo da dove sarà ben difficile uscirne perché il problema è soprattutto Draghi. Ci fosse un leader del PD come premier sarebbe plausibile una rottura di governo, ma come mettersi contro il Mario Nazionale, interpretato dai più (e soprattutto dai media) come ancora di salvezza?

Oltretutto stando mezzi dentro e mezzi fuori il governo è evidente che il messaggio all’elettorato di centro destra diventa ancora più ambiguo e poco plausibile.
Ecco perché a Letta potrebbe convenire - a primavera - di tentare il colpaccio di andare subito a nuove elezioni, anche se contemporaneamente scenderebbero le possibilità di Draghi subito al Quirinale, perché verrebbe meno un punto di riferimento certo come premier.

Fossi il leader del PD lavorerei quindi per una proroga di Mattarella per andare poi subito al voto con Draghi confermato premier, vincere, mettere un proprio uomo di fiducia al governo e poi cambiare l’inquilino sul Colle garantendo a Draghi la poltrona dorata. Possibile che i leader del PD non ci stiano pensando?

Di positivo a destra c’è solo che il rischio di perdere in futuro sembra aver convinto Meloni, Salvini e Berlusconi a rafforzare l’intesa e ad insistere per non cambiare il sistema elettorale: è poco, ma è già qualcosa.

2021/10/15

Addio ALITALIA (era ora)


Il primo volo di Alitalia a Torino il 5 Maggio 1947, quasi 75 anni fa. 
Il velivolo è un FIAT G--12CA sigla I-DAHL



Scusatemi, ma non trovo proprio nulla di romantico nella chiusura di “mamma” Alitalia, non mi allineo ai piagnistei e credo che troppo tardi si è finalmente detto “stop” ad una ininterrotta fonte di sperpero di soldi pubblici.

Alitalia chiude perché è sempre sopravvissuta solo con contributi statali e non era più - da anni - al passo con i tempi, uccisa prima di tutto dalla concorrenza ben più “smart” di chi non aveva sulle spalle un peso intollerabile di costi aggiuntivi, rendite di posizione, personale debordante e raccomandato.

Una Compagnia che si è consumata concedendo centinaia di migliaia di viaggi gratis e buttando via rotte, slot, punti di forza. Una società guidata negli anni da una ciurma di personaggi CHE NON HANNO MAI PAGATO DI PERSONA e che hanno creato e disfatto alleanze, rifiutato sinergie e sacrifici e - prima di tutto - hanno pensato ai propri interessi. 

Commissari strapagati per il nulla, mentre si consumavano “prestiti ponte” che avevano (hanno) tutte le caratteristiche di aiuti di stato.

Quanti “piani industriali” sono nati e defunti rimanendo solo sulla carta, complice un sindacato che prima di tutto ha difeso solo le proprie rendite di posizione? Quante migliaia di sindacalisti sono cresciuti e vissuti grazie ad Alitalia senza mai lavorare? Quanti parenti di dipendenti sono stati trasportati gratis o a tariffe ridicole?

Non mi aspetto molto dalla nuova compagnia sorta dalle ceneri di Alitalia e che temo perpetui molti equivoci di fondo, certo il contribuente italiano ci ha rimesso fondi spropositati che nessuno gli rimborserà e pensare che se c’è un paese verso il quale il traffico turistico avrebbe permesso un indotto enorme era proprio l’Italia.

2021/10/08

Gianluigi Donnarumma: storia di un tradimento



Donnarumma arriva nelle Giovanili del Milan nel 2005, 15 anni, pescato dalle giovanili della Juve Stabia. Farà due anni in prima squadra, senza presenze (2008-2009 e 2009-2010) prima di essere ceduto. Qualcosa non vi torna? Normale, perché stavamo parlando di Antonio.
Gianluigi Donnarumma, invece, viene prelevato dal Milan per 250000 euro, nel 2013 (14 anni), dalla scuola calcio Club Napoli di Castellammare di Stabia.
Il 31 Marzo 2015, a 16 anni, firma il primo contratto da professionista fino al 30 Giugno 2018, contestualmente ai rinnovi di Cutrone e Locatelli. Esordisce in serie A il 25 ottobre 2015 contro il Sassuolo. Il 19 Novembre rilascia un'intervista in cui dichiara "Rinnovo di contratto? Non ci penso, non ho nemmeno l’età per comprare un’auto. Perché il Milan e non l’Inter? Sono stato io a scegliere perché sono milanista e perché mio fratello aveva giocato qui".

Diventa titolare (alternando interventi incredibili per un ragazzo della sua età a grossi errori) e nei primi mesi del 2016 la sua procura passa a Mino Raiola. L'anno successivo, 2016-17, Donnarumma compirà 18 anni a Febbraio, potendo quindi firmare un contratto più lungo. Comincia presto il tira e molla tra la società e il giocatore. Il 20 marzo 2017, dopo il bacio allo stemma nel finale di Juventus-Milan, Donnarumma dichiara in merito al rinnovo: "Sono legato al Milan, sono milanista e spero di restare ma ci penserà il mio procuratore". Il Milan aumenta l'offerta per il rinnovo progressivamente fino a 5 milioni per l'entourage del giocatore, che non firma.

Il 27 Maggio, secondo il procuratore del portiere, al ragazzo viene comunicato da Mirabelli "o firmi, o vai in tribuna".
Il 15 giu 2017, dopo un'ora di colloquio tra la dirigenza e Raiola, la dirigenza milanista improvvisa una conferenza stampa; L'AD Fassone dichiara: "Piuttosto che fare un comunicato, ho preferito spendere due parole subito al termine dell'incontro con Mino Raiola. L'agente ci ha comunicato la decisione di non rinnovare con il Milan, decisione definitiva presa dal giocatore" Intanto si vocifera di un'offerta da 13 milioni all'anno più 1 di bonus da parte del PSG.

18 Giugno 2017: Europei Under 21, durante Italia-Polonia, arriva una contestazione annunciata dal Milan Club Polonia, dietro la porta da lui difesa appare il celebre striscione "Dollarumma", il giocatore viene sommerso dai fischi ad ogni tocco del pallone e arriva un lancio di banconote false. I giornali parlano di un ragazzo molto scosso, che starebbe meditando di lasciare il procuratore.
Il 25 Giugno 2017 il portiere risponde su Instagram: "#Donnarumma #Raiola ieri, oggi e domani". Mino Raiola intanto chiede 40 milioni per fare rinnovare il suo assistito.

Mirabelli allontana una cessione estiva: "Donnarumma è un grandissimo campione, un grandissimo ragazzo e un giocatore del Milan. Per questo nella prossima stagione certamente giocherà ancora con noi".
Raiola dichiara che il problema non sono i soldi, ma il progetto, la serietà della società, i risultati sportivi, le ambizioni del ragazzo, e tante altre cose, tra cui le minacce di Mirabelli che avrebbero scosso il ragazzo.

L'11 Luglio 2017 arriva il rinnovo su un contratto da 6 milioni netti per 4 anni, mentre il procuratore non è con lui; nell'accordo rientra anche il contratto da 1 milioni a stagione per il fratello Antonio, che diventa il terzo portiere. Ci sarebbe da accordi anche una clausola rescissoria, che non verrà mai depositata perché mancante della firma del calciatore. Il giorno dopo Donnarumma dichiara: "Sono contentissimo e orgoglioso di essere al Milan, sono nato e cresciuto qui e nella mia testa non ho mai avuto dubbi sulla mia permanenza. Mi dispiace che i tifosi si siano sentiti traditi, ma io non ho mai voluto che accadesse, sono molto orgoglioso e ringrazio i tifosi che in questi due anni mi hanno sempre sostenuto".

A Dicembre 2017, Gigio, dopo aver percepito tre mensilità, invia un documento ai dirigenti del Milan in cui sostiene di essere stato oggetto di pressioni psicologiche, firmando senza la necessaria serenità.

Si alza ovviamente un polverone, in cui, andando contro alle parole di Mino Raiola (che sostiene pubblicamente il contrario), dichiara: “Non ho mai detto né scritto di aver subito violenza morale quando ho firmato il contratto”.

La vicenda scema progressivamente, fino ad avvicinarsi alla scadenza del nuovo contratto.
Da Giugno 2020 (qualche mese prima, in realtà), riparte la telenovela: il milan offre inizialmente 7 milioni fino al 2026. Non c'è alcuna apertura dall'agente che vuole almeno 12 milioni, una commissione molto alta (si vocifera intorno ai 20 milioni) e una clausola rescissoria molto bassa. Il Milan cerca di non rendere troppo mediatica la trattativa, tenendo i toni bassi. Dal giocatore, che intanto indossa la fascia di capitano, sulla vicenda c'è il silenzio più assoluto, mentre il suo procuratore lo offre in giro per l'Europa.

Il 19 Febbraio 2021, Donnarumma dice che giocare la Champions League con i rossoneri sarebbe un sogno.

Il 3 Maggio 2021, durante un incontro con gli Ultras, dichiara "Voglio restare al Milan e sul futuro decido io"
La settimana dopo Raiola si presenta a Casa Milan e propone un rinnovo biennale per 10 milioni. Maldini rifiuta. Il Milan vuole un accordo almeno triennale e per non più di 8 milioni, altrimenti si guarderà intorno.

Maldini prova a parlare con il giocatore, che gli risponde "Faccio quello che dice Mino". Raiola gli telefona e gli dice, dopo ogni tentativo di approccio, "di soldi parlo solo io". Maldini difende pubblicamente il giocatore, difendendolo dalle richieste di tribuna viste le voci di un passaggio alla Juventus, e annuncia che non si avranno novità fino a fine campionato.
Il Milan fa un'ultima offerta al calciatore: 7 milioni più 1 di bonus, con inserimento di una clausola rescissoria da 20 milioni in caso di mancata qualificazione alla Champions. Il portiere risponde picche.

Da parte di Gianluigi Donnarumma per un intero anno non arriva una singola dichiarazione sulla sua prossima separazione dal Milan, nessun tipo di indizio. Silenzio.
Solo conferme sul suo amore per i colori rossoneri, sempre più diradate. Il Milan centra la qualificazione in Champions e il portiere il 24 Maggio parte per il raduno della nazionale in vista degli Europei senza che il suo futuro sia ancora chiaro.

Il 26 mag 2021 Maldini su precisa domanda dichiara: "Donnarumma? Le nostre strade si separano, lo ringraziamo. Il progetto Milan proseguirà e ci porterà a competere ai massimi livelli".

Il giocatore lascia su Instagram la foto con la maglia del Milan, mentre i tifosi gli intimano di cambiarla.

Seguirà la vittoria degli Europei, il premio come miglior giocatore della competizione.
Il 13 Luglio farà un post su Instagram, in cui scriverà tante parole di circostanza, ma mai un "grazie", che sia ai tifosi, alla società che lo ha cresciuto, allo staff, ai compagni. A nessuno.
Segue la firma per il PSG. Le parole del giocatore durante la presentazione: "Ho sempre sognato di vestire la maglia di questo club"

Il 19 Agosto giustificherà l'addio dicendo che lui e il Milan hanno "ambizioni diverse".
Due giorni fa, prima del primo ritorno a San Siro, dichiara "Mi dispiacerebbe se mi fischiassero, sarò sempre un tifoso del Milan".

Chi ha vissuto queste vicende, in questi anni, lo ha fatto in modo viscerale, aspettando ogni giorno una risposta, una dichiarazione, un chiarimento che non è mai arrivato. 5 anni di mezze parole, mezze dichiarazioni, bugie.
E' sbagliato vivere male queste cose? Probabile. Ma se non ci si affeziona ai propri idoli, se non si spera che almeno loro, a cui diamo tutti, ci trattino con rispetto, di chi dobbiamo sperarlo?
Si può davvero scindere il disprezzo, per come si è stati trattati, dal colore della maglia?

Fonte: Calciomercato.com

2021/09/18

Ciò che abbiamo costruito si ritorce contro noi stessi


«Stiamo in bilico tra una intelligenza scaduta e un’altra ancora non adulta, che tarda ad arrivare. Anche per questo, oggi, la scelta sul vaccino sta assumendo questi toni drammatici: casca in pieno nel ben mezzo di un solenne crepuscolo degli dei, e diventa così, immediatamente, scena madre di un finale tragico. Difficile mantenere lucidità e misura» Cit. Alessandro Baricco.

Alla fine, bisogna annotare, questa storia del Vaccino e del Green pass è diventata una faccenda affascinante. Di per sé sarebbe solo una questione tecnica, una certa soluzione a un certo problema. Ma la verità è che in breve tempo ha finito per diventare una sorta di cerchio magico dove molti sono andati a celebrare i propri riti, chiamare a raccolta il proprio pubblico, risvegliare le proprie parole d’ordine, o anche solo ritrovare se stessi. 

Da ogni parte ci affrettiamo verso quel luogo del vivere portando la nostra dotazione di pensiero e istinto: lì ci risulta più semplice che altrove riconoscere e pronunciare il nostro modo di stare al mondo. Il risultato è che un problema in fondo squisitamente pratico, oggi ce lo ritroviamo come problema, di volta in volta, politico, economico, medico, filosofico, etico, giuridico. 

Vorrei essere chiaro: quando un problema lievita così al di là della sua lievitazione naturale non è più un problema che si possa risolvere. Lo si può giusto forzare a una soluzione, sacrificandone alcune parti e lasciandole vagare, irrisolte, per il firmamento del nostro vivere. È uno di quei casi in cui un eccesso di informazioni e di riflessioni dà alla domanda uno statuto per così dire quantistico: qualsiasi risposta è giusta e sbagliata allo stesso tempo. È ormai evidente: chiunque disponga oggi di un’opinione certa sul vaccino, si sta sbagliando.

Quindi bisognerebbe lasciar perdere e tirare la moneta, vaccino sì, vaccino no? Be’, non esattamente. Vincerà una narrazione piuttosto che un’altra, è inevitabile; sarà imprecisa, parziale e vagamente semplicistica, è inevitabile; ma sarà comunque la narrazione che una nostra inerzia collettiva avrà scelto tra le tante disponibili. Per questo, prima che una chimica in fondo misteriosa decida definitivamente da che parte inclineremo, mi permetto di annotare due correzioni, molto pragmatiche, che mi sento di suggerire: possono essere utili a rendere più fluidi i processi che porteranno una narrazione a diventare realtà, relegando tutte le altre a leggende.

1. Vorrei mitemente consigliare di non rendere obbligatorio il vaccino, di non farlo per nessuna ragione al mondo. Ormai molti di noi sono passati a interpretare quel gesto non come un comportamento, ma come lo spazio di una propria autodeterminazione. Quando arrivi a quel punto, quel che stai maneggiando non è più la soluzione a un problema, ma la postura mentale con cui degli umani della tua comunità vogliono stare al mondo. 

Vuoi stabilirla tu per legge? Che arroganza. 

D’altronde, se un’élite politica e scientifica non riesce a convincere la totalità dei cittadini sull’utilità di un comportamento, con tutti gli strumenti che ha, di dominio e persuasione, deve alle fine prendere atto che non ce l’ha fatta, chiedersi dove ha sbagliato, e affrettarsi a fare l’unica cosa che deve fare: ricavare il meglio dai risultati che ha ottenuto. Evidentemente la narrazione che aveva scelto era sufficientemente solida da convincere la maggior parte della comunità, ma non abbastanza da risultare accettabile agli altri. 

Bon, girare pagina e andare avanti. Verosimilmente, accettare che una parte largamente minoritaria di italiani non si vaccini significa oggi rinviare di mesi il ritorno a una vita “normale”: significa meno lavoro, meno reddito, meno vita fuori casa, più contagiati, probabilmente più morti. Ma è uno scenario che un’élite deve essere abbastanza forte da accettare quando non è riuscita a guidare tutta la propria comunità ai comportamenti che riteneva appropriati. 

Pensare che la colpa sia dei cittadini che non capiscono è follia. Ci saranno frange che proprio non ragionano, e va be’, ci sono sempre. Ma gli altri, tutti deficienti? Oh, no, hanno le loro ragioni, il loro sapere, il loro istinto. Probabilmente vedono cose che non esistono, ma anche vedono cose che agli altri risultano quanto meno sfocate. Nella pancia delle resistenze al vaccino, una comunità come la nostra conserva la propria capacità genetica di produrre eresie e di pensare diversamente da se stessa: sono anticorpi assai più importanti di quelli che ci servono contro il virus. Sopprimerli per legge sarebbe folle.

E non è nemmeno tanto dignitoso, se mi posso permettere, scegliere la strada dell’obbligo indiretto: che poi vuol dire rendere la vita talmente complicata ai non vaccinati da indurli a cedere, prima o poi. Che tristezza. Petit, dicono i francesi – il più sanguinoso degli insulti. Strumento di questa infantile strategia è, ovviamente, il Green pass. 

Che, per essere pratici, è uno strumento non indispensabile, ma sicuramente molto utile e efficace per riportarci a vivere situazioni che altrimenti sarebbero più pericolose, dai teatri ai posti di lavoro. Ma usarlo come manganello per i non vaccinati è ovviamente un eccesso di zelo. Non c’è bisogno di scomodare nessuna riflessione filosofica o vigilanza costituzionale: se usiamo il Green pass come regolatore della vita comune ne dobbiamo facilitare il possesso a tutti, compresi quelli che rifiutano il vaccino. 

Ci vorrebbe un altro generale Figliuolo a cui affidare la missione di rendere più semplice possibile la vita a coloro che non vogliono vaccinarsi. Sono sicuro che qualcuno si chiederà perché dovremmo fare una cosa del genere, o, ad esempio, pagare i test a persone che, con le loro convinzioni, mettono a repentaglio la salute dei più. 

Conosco la risposta. Perché siamo civili. 

Perché siamo una comunità e non una partita di guardie e ladri. Perché siamo un Paese, non un reparto ospedaliero. Perché potrebbero avere ragione loro, e per certi versi sicuramente ce l’hanno. Perché lo stesso fa, la comunità, quando nel gruppo dei dissidenti ci siamo noi. Perché più prezioso del vivere, c’è il vivere da uomini giusti – che delitto dimenticarlo.

2. La seconda correzione che vorrei suggerire riguarda quelli che declinano l’invito a vaccinarsi: è molto importante che la smettano di pensare di essere gli unici a saperla lunga, gli unici ad essere sfuggiti a un rimbambimento generale; è molto importante che non si sentano degli eroi perseguitati che combattono il sistema. 

Per favore, è un equivoco, non serve a niente, complica le cose, stiamo passando un brutto momento, abbiamo tutti bisogno di semplicità, di idee chiare e distinte. Non vaccinarsi è un gesto legittimo, ma prima che diventi un po’ troppo facilmente un gesto rivoluzionario, è utile ricollocarlo nella sua cornice. Cerco di spiegare, non sarò lungo, bastano tre, quattro di minuti di attenzione.

Viviamo in comunità, e facciamo bene perché come individui, anarchici e individualisti, saremmo già spacciati da tempo. Ogni comunità ha una sorta di chiglia sommersa, una spina dorsale, una nervatura resistente che la tiene insieme e le dà la possibilità di seguire una rotta. Grazie ad essa navighiamo a dispetto delle correnti e nonostante le onde. 

Possiamo cambiare il timoniere, e quindi la rotta, e lo facciamo abbastanza spesso, ma sempre contiamo su quella chiglia, senza la quale qualsiasi timone sarebbe pressoché inutile. Ora, quando si parla di comunità-nazione la chiglia è rappresentata da una sorta di intelligenza collettiva e impersonale che prevale su quelle individuali e in certo modo le supera e le aggrega. 

Dovete immaginarla come la vertiginosa fusione di principi morali, saperi, mitologie, scaramanzie, mode, memorie di battaglie, visioni geniali, strafalcioni. Quasi sempre reca l’orma visibile del potere, come la tazza reca quella della mano del vasaio: ma sarebbe stupido non capire che a generare quella chiglia sono anche il sentire collettivo, gli antidoti prodotti da ogni forma di dissidenza, certe spinte irrazionali che vengono dal ventre della comunità, e l’ubiqua influenza dell’errore casuale e dell’imperfezione umana. La chiglia di una comunità è la sintesi abbastanza precisa della sua intelligenza, tradotta in forza; è il meglio della sua immaginazione, tradotto in gesti. 

Non è una emanazione del potere pura e semplice, è un prodotto a cui mettono mano tutti. Il timone, sì, è in mano al potere, ma la chiglia è qualcosa di più complesso, non a caso fila invisibile sotto la superficie dell’acqua. Una delle nervature di quel legno siete voi, ciascuno di noi, io, tu. Ora, credetemi: la cultura del vaccino è inscritta in quella chiglia. Non è il parere di un timoniere, vi prego di capire, ma deriva direttamente da quell’intelligenza collettiva che tiene insieme la nostra comunità e di cui fate parte. 

Tutta la filiera di saperi e riflessioni che ha da prima immaginato i vaccini, poi li ha realizzati e poi li ha usati, proviene in maniera molto riconoscibile dalla chiglia della nostra comunità, dalla sua nervatura forte. I principi, i valori e le logiche che l’hanno determinata rispecchiano un’intelligenza a cui potete far risalire quasi tutti gli scenari dove sicuramente, ogni giorno, fate funzionare la vostra vita. 

Se domani andate contro un muro (dio non voglia) il sistema di intervento che vi terrà in vita non è quello che voi preferite, ma quello messo a punto nel tempo da quell’intelligenza, la stessa che sta chiedendovi di vaccinarvi. Se fate un bambino, quell’intelligenza dispone di un suo modo per ridurre i rischi che muoia, e quando il bambino sarà grande quell’intelligenza ha immaginato per lui un habitat dove essere educato: ci crede talmente da renderlo obbligatorio per anni e anni. 

Se leggete libri, sappiate che l’élite che li produce è compatibile con quella intelligenza, se vi piace andare nei musei sappiate che quell’idea di memoria e di conservazione proviene dritta dritta da un’ossessione di quella intelligenza e dal denaro che essa, spesso in modi atroci, ha accumulato nel tempo: è la stessa intelligenza che, quando non vi insegue per farvi fare i tamponi, decide quando l’aria della vostra città è irrespirabile o quanti grassi può contenere al massimo la vostra merendina. 

Attraverso quella intelligenza abbiamo scelto un sistema per stoccarci da morti, finanziamo le nostre università, ci spingiamo a decidere quando una droga inizia a farci veramente del male, e abbiamo una nostra idea di cosa sia la libertà sessuale. Non la smettiamo un attimo di lavorare, con quell’intelligenza. È una chiglia, fende il mare.

Così, per gran parte dei membri della comunità, l’esperienza quotidiana, ordinaria, abituale, è questa: abitare al 90% il mondo così come l’intelligenza collettiva l’ha organizzato, e poi patire e incazzarsi per un dieci per cento che proprio non digerisce. Arriva sempre quel frammento della realtà in cui il delta tra la tua sensibilità personale e le regole individuate dall’intelligenza collettiva diventa una voragine che ti fa davvero troppo male. In questo momento il vaccino è, per molti, quel frammento. 

Ma credetemi, ognuno ha il suo. Io per esempio ce l’ho con la scuola. Mi sembra che i guasti che facciamo lì siano più gravi di quelli che rischiamo di fare con un vaccino: posso sbagliarmi, ma era per spiegarvi che poi ognuno si impunta su un frammento della vita reale, intanto che accetta tutti gli altri, e questo è la normalità. Questa è l’esperienza di tutti, e tutti, prima o poi, finiamo dalla parte di quelli che non ci stanno, e patiamo l’ondata di disapprovazione, l’isolamento più o meno esplicito, il destino dubbio degli esuli, la tentazione di isolarsi in una propria tribù in guerra col mondo. Non per questo siamo degli eroi. 

Non lo credo proprio. Non per questo la sappiamo più lunga degli altri, non lo credo proprio. Viviamo, lo facciamo da svegli, ogni tanto ci troviamo sulla sponda dei ribelli. Tutto lì.

Oggi, devo aggiungere, e poi chiudo, tutto ciò accade nel paesaggio di un grandioso cambio di civiltà, e questo confonde molto le menti e i cuori. Come mi accade di scrivere spesso, quel che sta succedendo è che la chiglia si è scoperta vecchia, marcia, stanca, esausta per i lunghi viaggi spesso fallimentari. 

Stiamo in bilico tra una intelligenza scaduta e un’altra ancora non adulta, che tarda ad arrivare. Anche per questo, oggi, la scelta sul vaccino sta assumendo questi toni drammatici: casca in pieno nel ben mezzo di un solenne crepuscolo degli dei, e diventa così, immediatamente, scena madre di un finale tragico. Difficile mantenere lucidità e misura. Me ne accorgo, con sconsolata lucidità, quando ci vedo discutere, tutti, in questo modo vagamente panico, come di gente che si agita per non affogare. 

Cerchiamo punti saldi e non li troviamo. Alziamo la voce, allora, o ci induriamo, o scappiamo. Non c’è nulla che si possa fare a riguardo. 

Mi viene in mente, solo, il bellissimo esergo che Benjamin Labatut ha scelto per il suo ultimo libretto. Sono delle parole di Gramsci che io non ricordavo. Dicono così: “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.  

Siamo noi, ho pensato. I fenomeni morbosi, siamo noi. Che passi presto, questa terra di nessuno, ho pensato.