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2014/02/02

Italia dimenticata, affonda miseramente

Bagarre alla Camera dopo che la Presidente Boldrini ha messo in atto la Ghigliottina

Quale grado di completezza e libertà di informazione abbiamo oggi in Italia? Urlano in tanti, passano in TV le immagini più eclatanti delle proteste in Parlamento o sulle piazze, ma raramente c’è la volontà di informare correttamente sui fatti.

Due episodi di questi giorni ne sono un esempio: legge elettorale e decreto Banca D’italia. Sulla prima questione si è discusso a lungo di sbarramenti e percentuali di coalizione, ma si sta tacendo sulla bocciatura del voto di preferenza che sarebbe l’unico modo per i cittadini di scegliere il proprio deputato.
Avevamo un parlamento di “nominati” scelti dai partiti con liste bloccate, avremo un nuovo parlamento sempre di nominati, sempre scelti da quegli stessi leader di partito attraverso canditati di collegio bloccati. Ovvero non cambierà assolutamente nulla  nonostante la bocciatura della Corte Costituzionale visto che saranno eletti solo i primi della lista di ogni collegio.

Ecco perché improvvisamente è sbocciato l’amore tra Renzi e Berlusconi: la possibilità di far eleggere deputati affidabili e controllabili, che rispondano direttamente a loro stessi è evidente e palese, è stato solo un interesse comune a legare i due leader ed è su questo aspetto che tutto gira intorno. Quanti italiani l’hanno capito?
Simile è la questione della “privatizzazione” o “ricapitalizzazione” delle banche tramite il loro maggiore controllo della Banca d’Italia decisa con un contorto decreto infilato dal governo dentro il pasticcio dell’IMU . 

Già questa storia di infilare questioni diverse nello stesso provvedimento è una schifezza, anche perché così tutta l’attenzione dei media si è legata alle scadenze IMU “dimenticando” la polpa, ovvero che per una ciocca di latte le banche rivaluteranno le loro posizioni di controllo della Banca d’Italia che di fatto diventerà di più un Istituto privato e sempre meno di controllo pubblico. Ma ci rendiamo conto della importanza strategica data dal controllo dell’istituto di emissione di uno stato sovrano? E cosa può succedere quando quelle stesse banche (controllanti e controllate!) sono “proprietarie” di Banca d’Italia ma  sono in gran parte di proprietà straniera visto  che il loro capitale è quotato in borsa e si può facilmente verificare chi effettivamente le controlla. 

E’ così che l’Italia perde progressivamente sovranità e potere di decisione economica e finanziaria a livello europeo, eppure quanti spiegano nel dettaglio queste cose al grande pubblico? Serve a nulla andare poi a piangere a Bruxelles quando gli interessi stranieri che ci dettano e ci detteranno sempre di più la linea economica li coccoliamo in casa.
Tra l’altro di fatto affidiamo loro anche le 205 tonnellate di oro che sono le nostre riserve auree nazionali, di una “Banca d’Italia” che di fatto non è più degli italiani!.
Invano in Parlamento, Fratelli D’Italia, M5S, Lega Nord e pochi altri hanno protestato, zittiti dalla baraonda generale perché – è incredibile – se un deputato cretino del M5S se la prende in modo volgare con Napolitano va su tutti i giornali, ma di vicende ben più gravi come quelle che ho segnalato non parla quasi mai nessuno. E’ questa vi sembra una corretta informazione? Contano più queste cose o i piccanti retroscena di qualche delitto che occupano pagine e pagine di cronaca?



2014/02/01

Don Carlo Masseroni

Ricevo da un amico il seguente messaggio che pubblico immediatamente.


E’ mancato ieri (il 28 Gennaio 2014 NdR), a 89 anni, Don Carlo Masseroni, per una vita missionario in Burundi, una di quelle tante persone che in silenzio hanno dedicato la vita agli altri, ma che sicuramente lasciano una traccia. Altri lo ricorderanno meglio di me, io non posso dimenticare i giorni e le notti passati insieme sugli altipiani dell’Africa Centrale dove le stelle sono così grandi e la gente così povera. Non posso dimenticare gli orrori della guerra, la rivoluzione che ci ha visti coinvolti nell’aprile del 1994 quando 
per un pelo l’abbiamo scampata o le ore tragiche del luglio del 2000 quando, colpito da un proiettile di kalashinov al volto sparatogli a bruciapelo, riuscì comunque a sopravvivere per una serie di incredibili circostanze e subito, miracolosamente guarito, ritornò in Burundi dove pur sapeva che avrebbe di nuovo rischiato la vita.

Don Carlo aveva sempre voluto fare il missionario, ma in Burundi approdò solo a 42 anni nel 1967 e sempre ci rimase salvo qualche fuga precipitosa in occasione dei colpi di stato o delle terribili guerre tribali tra tutsi e hutu. 

Sono tanti i ricordi, intimi, tragici o stupendi che gli hanno permesso di trasmettere a così tante persone un senso della vita tutto speciale. Le sue famose “lettere” (quasi 300!) che prima a ciclostile e poi via internet spediva puntualmente a centinaia di suoi amici sparsi in tutta Italia e che erano un ponte speciale di frammenti di vita, reportage originali e preziosi di un’Africa piena di problemi ma anche di speranze.

Chissà come mai gente come Don Carlo e le migliaia e migliaia di persone che gratuitamente offrono la propria vita per gli altri non sono quasi mai proposti per il Nobel per la Pace. Tra l’altro anche loro sono e sono stati per anni “Italiani all’estero” eppure così pochi hanno considerato quanto hanno fatto per l’immagine e la credibilità del nostro paese in giro per il mondo.

Ricordo un sabato pomeriggio, dopo una Messa in una succursale, avvicinato da una famiglia che gli annunciava la morte imminente di una donna. Entrammo in quella baracca angusta, umida, buia  e puzzolente. Per terra su una stuoia stava contorta una persona agonizzante. Don Carlo le prese una mano e la tenne stretta nella sua mormorando una preghiera. Quel corpo si rilasciò quasi assorbisse serenità e Don Carlo le chiuse gli occhi. Me lo rivedo in cammino sulle coline di Rwarangabo, la sua parrocchia con oltre 60.000 cristiani e le messe oceaniche che non finivano mai, sempre su e giù per le colline di terra rossa, polverose o piene di fango a seconda della stagione. 

Il suo mitico “Maggiolino” grigio che riusciva sempre a sfangarsi e al quale una volta, salendo verso Murehe, sostituii la cinghia di trasmissione con una corda, l’unica riparazione meccanica mai fatta in vita mia, ma che ci permise di arrivare prima di sera nella missione dove ci aspettava Don Giancarlo. Ho una foto di quel giorno, circondati da una turba di ragazzini vocianti e che ci spingevano in salita… chissà quanti di loro sono rimasti vivi dopo l’eccidio di massa che scoppiò pochi giorni dopo.

Rwanda, Uganda, Burundi: terre martoriate e lontane, ai margini dell’attenzione del mondo. L’ultima mia visita a Kiremba fu nel 2012 quando mi ero da poco dimesso da deputato. Come sempre quei giorni d’Africa mi disegnarono altre priorità regalando serenità mentre seguivo Don Carlo a visitare ogni giorno i malati in ospedale. Un ospedale così diverso dai nostri con centinaia di malati ma fatti anche dal vociare di parenti e cucine da campo, sporcizia, mosche, odori, galline che giravano per le corsie, morenti in un angolo e anche spesso con due malati distesi nello stesso letto.

Un ospedale dove ormai tutti i medici bianchi se ne erano andati dopo che pochi mesi prima era stato ucciso un collaboratore e una suora missionaria assaliti proprio lì, a dieci passi dalla canonica. Erano scappati tutti, ma Don Carlo era restato e aveva sempre una parola per tutti, un sorriso, una carezza. Due mesi fa, tornato in Italia, mi raccontò che uno degli ultimi giorni di Burundi prima del rientro – quando già forse aveva capito di stare poco bene – in quello stesso ospedale dove aveva assistito decine di migliaia di persone chiese ad un’infermiera se poteva provargli la pressione. “Non sono pagata per provare la pressione a un bianco come te!” gli fu risposto e, nel raccontarmelo, Don Carlo non si lamentava, ma sorrideva. 

In quel sorriso c’era una grande risposta ai problemi e alle rabbie cieche che qualche volta covano in ciascuno di noi quando ci lamentiamo delle cose che non vanno o pensiamo di essere oggetto di una discriminazione o di una ingiustizia. Un modo per far capire a tutti che i “grazie” spesso non sono di questo mondo, ma soprattutto non sono necessari. Il ricordo di Don Carlo è piuttosto un impegno, perché la Sua risposta e il Suo esempio sono una questione che ci turba, e che ci sentiamo forte nel cuore.

(Grazie Marco)

Chi era Don Carlo Masseroni?

Don Carlo Masseroni era decano dei Fidei Donum e Patriarca delle Missioni Novaresi.
Nato il 27 gennaio 1925 a Fontaneto d’Agogna, ultimo di 10 fratelli. Entrato da ragazzo nel Seminario Diocesano con i cugini Giuseppe ed Eugenio, completati gli studi venne ordinato sacerdote da Mons. Leone Ossola nel giugno del 1949.

Dopo l’impegno pastorale come coadiutore del parroco nelle parrocchie di Suno, a Santa Cristina di Borgomanero e Arona, nel 1967 partì come missionario in Burundi, insieme a don Francesco Ciampanelli e più tardi raggiunto dal cugino don Giancarlo Masseroni. Dal 1967 al 1980 svolse la sua attività di promozione umana e di evangelizzazione nella Parrocchia di Rwarangabo dove praticamente, partendo da zero, costruì la Chiesa parrocchiale e numerose Cappelle in diverse succursali, nonché creando dei servizi sociali e sanitari. Nel 1980, a causa della difficile situazione venutasi a creare nel piccolo paese africano tra le etnie Hutu e Tutsi, ritornò in Italia dove per un anno fu amministratore parrocchiale a Cesara e Arola. Ma l’amore per la sua gente, il desiderio di condividere la vita del suo popolo, fece sì che nel 1981 ritornò in Burundi, sempre a Rwarangabo, riprendendo le molteplici attività che aveva lasciato.

La sera del 6 luglio del 2000 un malintenzionato si introdusse nella sua casa con lo scopo di ucciderlo e gli sparò con un fucile d'assalto un colpo in pieno volto. Ferito gravemente, venne trasportato all’Ospedale di Nairobi, in Kenya, dove si riprese, anche se perdette l’uso di un occhio e parzialmente l’udito. Rientrato in Italia vi rimase per un lungo periodo di convalescenza fino a dicembre, ma nel gennaio del 2001 riprendeva l’aereo per il suo amato Burundi. Questa volta venne destinato alla Parrocchia di Murehe dove rimase fino a qualche tempo fa, quando si unì ai Fidei Donum della diocesi di Brescia all’Ospedale di Kiremba dove passò gli ultimi anni consolando e amministrando i sacramenti ai degenti di quell’Ospedale.

«Le avvisaglie del male incurabile che lo avrebbe stroncato, si fecero sentire sempre più forti il che portò don Carlo a prendere la decisione di rientrare in Italia, cosa che avvenne l’estate scorsa quando pose la sua dimora all’amata Frazione La Croce di Fontaneto, circondato dall’affetto dei parenti e in modo particolare dei nipoti, visitato da molti amici che volevano fargli arrivare la loro solidarietà per la malattia che lo stava divorando» dice don Mario Bandera, direttore del Centro Missionario Diocesano.

2014/01/30

Morire di solitudine


Di web si può anche morire. Morire di solitudine, morire chiusi in sé stessi. Morire perché non si è più nulla per cui vale a la pena di vivere. Internet per uscire dalla solitudine, Internet per cercare una via d’uscita alla propria esistenza. Tragica ma pur sempre uscita. Così si può scegliere di navigare in rete per cercare l’informazione più adatta al tipo di morte che s’intende scegliere. 

Un uomo ha deciso di utilizzare la rete per cercare, e drammaticamente trovare, il modo migliore per togliersi la vita. La sera del suicidio, è uscito di casa dicendo di andare ad un concerto. Poi è sparito. I genitori hanno cercato invano di rintracciarlo al cellulare e successivamente hanno deciso di controllare al computer la cronologia dei siti internet consultati dal figlio. Tra gli ultimi siti c’erano proprio quelli che spiegano i modi più veloci e indolori per togliersi la vita. Un sito ha rivelato che con il monossido di carbonio poteva morire, senza soffrire. E lui dopo averlo comprato in un ipermercato, si è chiuso in macchina per imbottirsi di farmaci.



Il padre chiese che tutti quanti quei siti che forniscono il prontuario per il provetto suicida venissero immediatamente chiusi. Evidentemente però il dolore spesso cerca giustificazione anche in inutili misure, inadatte ai propri sensi di colpa. Se invece di Internet ogni suicida trovasse l’ascolto vero e sincero delle persone care, la presenza fisica, materiale, calda, di chi si vuole bene, si lascerebbero da parte modem e tastiera, e si andrebbe volentieri a dare due calci a un pallone e alla noia.
Poichè nessuno è un’isola chiusa in se stesso, così anche noi in certi momenti ci sentiamo diminuiti da una foglia che cade. 

Che posso dire... qual è il miglior metodo di suicidio?

Questa è una domanda che sicuramente hanno fatto molte persone che hanno contemplato il suicidio. Ma è la domanda sbagliata! La domanda giusta è: come faccio a fermare il dolore che ho dentro?

Pensare a un metodo di suicidio è un sintomo, molto probabilmente di depressione.

Il suicidio non è mai la risposta giusta.


Ovviamente, se avete intenzione di suicidarvi e siete capitati in questa pagina a tale scopo, quello che vi voglio dire è: parliamone! Parliamo dei miei e dei vostri problemi e cerchiamo insieme una soluzione. Non sto scherzando! sono mesi che ci penso e capisco che anche voi avete pensato e non da oggi  ma da giorni o da mesi e che siete arrivati alla conclusione che non esistano altre vie d'uscita, siatene certi non è così! Eppure quella del sucidio continua a sembrare la soluzione migliore, per non soccombere sotto il fardello delle responsabilità, delle delusioni, della vita nemica.

E' solo che quando stiamo male e non abbiamo nessuno accanto, non riusciamo a vedere soluzioni! Anche se non le vediamo, le soluzioni ci sono però!



Quindi coraggio, apritevi senza paura. Parliamone a ruota libera. Io e voi, aiutiamoci a vicenda, i vostri motivi non saranno mai banali, sono anche i miei, e per nessuno dovranno esserlo, e nessuno oserà giudicarci, e qualcuno alla fine che vorrà starci vicino lo troveremo. 

Tutti meritano di avere qualcuno accanto, nei momenti disperati della vita. Tutti!!

Il suicida come un vampiro condannato a vivere una maledetta vita eterna. Vivere una non-morte, il senso della esistenza, della non-vita. Nessuno può dare una spiegazione o mostrare una via. Nessuno!
Il suicidio è una disgrazia o una fortuna e la distinzione è data solo da un senso morale che ognuno deve trovare da sé, dal percorso che decide di seguire.

Il più delle volte il suicidio è la conclusione di un vissuto interiore personale, doloroso e dilaniante, in cui frequenti sono i dubbi sul porre in essere o meno il suicidio. In realtà l’occasione è solo un pretesto per trovare delle motivazioni etiche al proprio agire disperato. La morte intesa positivamente. Il suicida è un non-morto. Suggerire delle ragioni impalpabili per vivere in contrapposizione a molte altre reali e concrete per morire, serve solo a provare che il suicida ha ottime ragioni per morire!
Il suicida non è che non conosce le cose belle della vita: le conosce eccome, e le sa apprezzare! Ma non può o non riesce mai a raggiungerle.

Quindi semplicemente riproporre l’esistenza di “motivi validi” per vivere, tutti noti al suicida non fa altro che riprospettare l’esasperazione di un non-vita condannati a non godere di felicità esistenti, ma da sempre irraggiungibili. Neppure spronare il suicida a lottare per ottenere la felicità serve più di tanto: il suicida ha già dato tutto in questo intento ed è quello che è perché ormai è stanco. Un ulteriore sforzo improduttivo, porterebbe comunque a ritornare nei medesimi passi con maggiore decisione.
Una non-vita non può diventare vita solo perché ci si convince che è tale. Come il Male non può essere capovolto in Bene solo preché si è speranzosi che è così.

Una strana e serena gioia, quella del vampiro (suicida) che finalmente si libera di una vita maledetta.

“Allora Sansone invocò l’Eterno e disse: «O Signore, o Eterno ti prego ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, o DIO, perché possa vendicarmi con un sol colpo dei Filistei per la perdita dei miei due occhi».” (Giu 16:28)


La porcata della Banca d'Italia

Mercoledì 29 gennaio 2014 è stato approvato dalla Camera un provvedimento che comporta la rivalutazione del valore patrimoniale delle azioni Banca d’Italia. Il provvedimento, dal contenuto un po’ tecnico, non è però troppo difficile da comprendere nella sostanza. Lo diciamo subito con lo stile diretto che ci ha sempre caratterizzato e attirato tanti amici e tanti “amici”: il provvedimento  fatto approvare con urgenza alla Camera è una porcata. Fondamentalmente esso contiene una (legale) truffa contabile a favore dei bilanci di alcune banche del paese e dell'erario, oltre che un sostanziale trasferimento di risorse dai contribuenti alle banche.

Andiamo per ordine. Per ragioni storiche gli azionisti della Banca d'Italia sono alcuni istituti bancari italiani (più, per il 5,66%, INPS e INAIL). Banche centrali fondate da istituti bancari (pubblici come in Italia o privati come ad esempio negli Stati Uniti) sono storia comune a molti paesi sviluppati. Le quote oggi possedute da Intesa, Unicredit, eccetera sono eredità delle quote originarie delle banche fondatrici di Banca d’Italia.

Tuttavia, in Italia come altrove, le banche centrali  si sono nel corso della storia  emancipate, legalmente e funzionalmente, dagli istituti fondatori. La Banca d'Italia in particolare è un ente di diritto pubblico dal 1936, e tale è rimasta anche dopo la (cosiddetta) privatizzazione delle banche dei primi anni '90. In praticamente tutti i paesi le banche centrali hanno il monopolio della creazione della moneta, il che fornisce loro risorse reali denominate per motivi storici con il termine pittoresco "signoraggio". Francesco Lippi ha spiegato qui, poco tempo fa, come funzioni, quindi non ci dilunghiamo.

Fino ad oggi, il valore nominale delle quote societarie della Banca d’Italia è rimasto arbitrario, non essendo tali quote commerciabili. Per far sì che la maggior parte degli introiti da signoraggio restasse al Tesoro (com'è doveroso, dato che le banche centrali hanno il monopolio della produzione di moneta solo esse producono signoraggio) questo valore nominale è stato mantenuto a soli 156.000 euro e è stato posto un limite ai dividendi pagabili ai "soci" fondatori (non più di 4% delle riserve).  La politica di distribuzione dei dividendi è sempre stata, giustamente, molto prudenziale; e quindi alle banche, come dividendi, andavano pochi spiccioli. La lista degli azionisti e l'ammontare esatto delle quote si trova qui. Anche il controllo della governance della Banca d’Italia è di fatto e sostanzialmente lasciato a Tesoro e Parlamento: i “soci”, anche se partecipano formalmente a definire i soggetti che controllano e vigilano sulla gestione amministrativa della banca, non hanno voce in capitolo nella definizione delle funzioni istituzionali della Banca. 

Insomma, i “soci” fondatori di Banca d’Italia a oggi non sono che un residuo storico: non hanno controllo della banca, non possono commerciare le proprie quote e da esse ricevono dividendi minimi ed indipendenti dagli introiti da signoraggio, che vanno invece (giustamente) al Tesoro. I soci hanno invece il privilegio di nominare qualche amico a sedere in qualche poltrona (il consiglio superiore, il collegio dei sindaci) per svolgere compiti di consulenza e controllo certamente importanti oltre che remunerative. Lo fanno, facciamolo notare visto che ci siamo, con procedure poco trasparenti e completamente estranee al processo democratico che dovrebbe invece caratterizzare una funzione pubblica di tale importanza. Se di riforma si voleva parlare, forse si poteva cominciare da lì. 

E invece, a seguito del provvedimento approvato ieri alla Camera, altre cose cambieranno. E cambieranno in peggio.  

1. Innanzitutto il valore delle quote azionarie passa a 7,5 miliardi di euro. Questa ricapitalizzazione avviene a fronte delle riserve statutarie della Banca che sono abbondanti. Al 31/12/2012 il patrimonio netto (capitale+riserve) della Banca d'Italia ammontava a circa 23 miliardi di euro. Da un punto di vista sostanziale questo patrimonio è pubblico e appartiene al Tesoro, perché è stato accumulato grazie al potere di monopolio fornito dalla legge all'emissore di moneta, non attraverso l'attività  e gli investimenti dei soci, come avverrebbe per una qualsiasi azienda privata. Il valore delle quote è arbitrario, come dicevamo, e quindi la ricapitalizzazione è nella sostanza un trasferimento dal Tesoro alle banche che detengono le quote. Questo trasferimento non ha alcuna contropartita diretta per il Tesoro ma è per le banche puramente contabile, cioé può essere contabilizzato a bilancio ma non comporta in sé trasferimento di attività né di liquidi.

Ma secondo la BCE, "in conseguenza all’operazione di ricapitalizzazione autorizzata dal decreto legge, le quote devono essere registrate nei conti patrimoniali degli azionisti nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione al valore precedente l’operazione". Le plusvalenze sulle quote andranno quindi a concorrere pienamente al common equity tier 1, indicatore utilizzato ai fini del calcolo degli indici di patrimonializzazione secondo la normativa di vigilanza bancaria. Il trasferimento quindi, anche se solo contabile, ha il vantaggio di far apparire le banche maggiormente capitalizzate ai fini degli stress test previsti in occasione dell’Unione Bancaria in sede BCE.

2. Le quote sono rese trasferibili, si dice, al fine di permettere ai soci di rispettare un limite massimo del 3% per la quota di partecipazione. Essendo trasferibili il loro valore non è più arbitrario ma determinato dal mercato. Semplificando, il valore delle quote di Banca d'Italia sarebbe il valore scontato dei dividendi previsti futuri (è una approssimazione, ma serve per fornire almeno un'ordine di grandezza per valutare quanto valga il trasferimento). Se la Banca d'Italia non pagasse dividendi il valore di mercato delle quote sarebbe nullo e l'operazione sarebbe unicamente contabile come si diceva sopra; un'operazione comunque molto conveniente per le banche interessate. Se invece la Banca d'Italia iniziasse a pagare dividendi tutti gli anni sul nuovo capitale, il tasso a cui scontare tali dividendi dovrebbe essere un tasso privo della componente di rischio, perché è ragionevole che tale sia un investimento nell'istituto di emissione, diciamo 1-2%. Quindi se la Banca pagasse l'1-2% in dividendi il suo valore di mercato sarebbe approssimativamente quello determinato arbitrariamente dal legislatore, 7,5 miliardi. In questo caso l'operazione comporterebbe un trasferimento sostanziale, non solo contabile, di 7,5 miliardi alle banche, tramite una serie di dividendi futuri che non sono, in alcun senso, dovuti. Anzi, son regalati perché vengono dal signoraggio e Intesa o Unicredit con il signoraggio non c'entrano proprio! Se i dividendi fosseri maggiori, in aspettativa le quote della banca potrebbero avere sul mercato un valore addirittura maggiore. 

Per agevolare tale processo di ricomposizione dell'azionariato, la Banca d'Italia ha facoltà di riacquistare temporaneamente le quote. In questo caso la Banca d’Italia (il Tesoro in ultima istanza) trasferirebbe sostanzialmente, non solo contabilmente, liquidità alle banche oggi proprietarie in cambio di quote azionarie. In altre parole, il Governo/Tesoro prima rivaluta contabilmente le quote delle banche in Banca d'italia e poi se le ricompra al nuovo elevatissimo prezzo perché altrimenti la Banca d'Italia perderebbe indipendenza (che non è vero perché i soci contano poco o nulla, come abbiamo visto). Chiaro? Limpido, Recoaro! Si noti che il trasferimento sostanziale dal Governo/Tesoro non necessita dell'atto di ricomprare le quote, che potrebbe avvenire come no, ma sta invece nei dividendi che la banca pagherà in futuro, da cui il valore delle quote in effetti dipende. La trasferibilità delle quote rende il il trasferimento liquido per le banche, che possono vendere le quote invece che aspettare il flusso annuale di dividendi, ma l'ammontare del trasferimento dipende dai dividendi. Come dicevamo, con dividendi dell'1-2%, il trasferimento sarebbe di 7,5 miliardi. Più alti i dividendi, più alto il trasferimento. 

3. Le quote riceveranno una remunerazione massima pari al 6% del loro (nuovo) valore nominale, portando il valore dei dividendi distribuiti ad un massimo di 450 milioni di euro (contro i 70 milioni di utile attribuiti nel 2012). Il 6% è un dividendo folle, per un investimento senza rischio. 70 milioni sarebbero circa l'1%, molto più appropriato. Si noti però che se 70 milioni l'anno di dividendi sono un "regalo" alle banche (che hanno investito un capitale minimo un secolo e passa fa e che, soprattutto, non contribuiscono affatto a generare i rendimenti che vengono dal signoraggio), questo provvedimento comporta un regalo aggiuntivo, a parte la questione della liquidità, solo nella misura in cui i dividendi effettivi aumentino in futuro rispetto a quelli che erano previsti prima che fosse approvato il provvedimento. È difficile dirsi se questo sia il caso, visto che sia precedentemente che ora la legge fissa solo un tetto massimo ai rendimenti. In altre parole: i dividendi futuri saranno lasciati alla discrezione del governatore e del direttorio, ossia sarà una decisione politica da prendere ogni anno. Sussidiamo banche private con i proventi del signoraggio o no? Non sappiamo chi si sia inventato questa cosa ma ci chiediamo se davvero Ignazio Visco possa condividere un'idea del genere. Come è possibile accettare che un governatore debba essere posto, dalla legge, nella situazione di chiedersi, ogni anno, se deve o meno sussidiare banche private usando i proventi del signoraggio? Una porcata del genere farebbe bestemmiare qualsiasi economista degno di tale titolo. Perché Visco non dice nulla?

 4. La ricapitalizzazione sarà tassata come plusvalenza e genererà quindi introiti fiscali per il governo. In questo modo l’operazione si configura come una trasferimento contabile indiretto dalla Banca d’Italia al Tesoro - in altre parole, una parte del patrimonio della Banca, che appartiene al Tesoro ma è fuori bilancio, verrà contabilizzato tra le entrate fiscali. Si parla di 1-1,5 miliardi di euro. Lo stesso per la tassazione sugli aumentati dividendi che le banche socie percepiranno a seguito della ricapitalizzazione delle quote. Un'operazione certamente dal sapore piuttosto sgradevole: un paese che mette le mani nel patrimonio della banca centrale per risolvere problemi fiscali è un paese arrivato a raschiare il fondo del barile. 

Come abbiamo detto la ricapitalizzazione è arbitraria. Ma vale la pena notare quanto grande sia. Per dare un'idea, se un capitale iniziale di 156mila euro del 1936 avesse avuto un rendimento del 6% per 78 anni, e se non fossero stati distribuiti dividendi (che invece son stati distribuiti), oggi varrebbe 14,7 milioni, cioé circa un cinquecentesimo della valutazione imposta dalla riforma. Quindi, o la rivalutazione è eccessiva, o la banca ha avuto un rendimento molto più alto. Vale la seconda: il rendimento è certamente molto più alto; non per l'acume strategico dei soci, ma perché la banca svolge un ruolo pubblico insostituibile ed in regime di monopolio concesso dallo stato, ed è dunque giusto che i rendimenti da essa conseguiti rimangano alla collettività come è stato per quasi 80 anni. Qui invece si prevede di distribuire ai soci attuali e futuri l'1% (se si rimane alle cifre attuali), o addirittura fino al 6% calcolati su un capitale enormemente più alto rispetto a quello effettivamente investito.  

Da un altro punto di vista, un'azienda che distribuisce 70 milioni l'anno (o più) di utili senza rischio per l'investitore corrispondono certo ad un capitale di circa 7,5 miliardi. Ma perché si dovrebbe continuare a distribuire 70 milioni l'anno a chi non ha mai investito nell'azienda, salvo qualche bruscolino 80 anni fa?

Il provvedimento prende almeno tre piccioni con una fava: le banche si ricapitalizzano semplicemente con un tratto di penna; riceveranno trasferimenti monetari, almeno potenzialmente, tramite maggiori dividendi oltretutto immediatamente liquidabili; per un anno il governo riceve in cambio un introito tramite la tassazione delle plusvalenze. Il relatore per la maggioranza, on Marco Causi (PD) non prova nessuna vergogna a ammettere che l'operazione serve a coprire i mancati introiti dell'abolizione dell'IMU. 

Spiace che il Movimento 5 Stelle abbia avuto il monopolio o quasi dell'ostruzionismo parlamentare. Purtroppo chi spesso straparla tende a non essere preso sul serio; e chi protesta su tutto ogni tanto ne azzecca una, e questa è una di quelle volte. I "compagni" del PD che difendono a spada tratta il provvedimento sui social networks farebbero meglio a riflettere prima di parlare. O forse no, forse hanno riflettuto e si son detti: anche la "nostra" banca ci guadagna ed a Siena saranno contenti. Vero, Matteo Renzi?

Lasciamo ai lettori un giudizio sulla note rilasciata ieri  dal Tesoro:

Nessun regalo alle banche. Nel corso del dibattito parlamentare svoltosi negli ultimi giorni alla Camera dei Deputati per la conversione in legge del decreto Imu-Bankitalia la polemica politica ha spesso preso il sopravvento sulla realtà dei fatti così che alcuni interventi hanno prospettato effetti del provvedimento del tutto fantasiosi e infondati.

Questa dichiarazione è eccessivamente protezionistica, protegge l'operato del Parlamento a scapito dei diritti degli italiani ma, principalmente, è essenziale per riconoscere i segni e dettami di una dittatura, in corso, senza colpo di Stato cruento.
Siamo nelle mani di una casta di criminali che stanno svendendo l'Italia al peggiore offerente e noi nemmeno proviamo a ribellarci.

E quando le rivedremo le stelle?

fonte

2014/01/28

Italiani dimenticati


Italiani, popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori. È la parte rimasta più famosa di un discorso che Benito Mussolini pronunciò il 2 ottobre 1935 contro la condanna all’Italia, da parte delle Nazioni Unite, per l’aggressione all’Abissinia. Questa stessa citazione campeggia sulle quattro facciate del Palazzo della Civiltà Italiana, o della Civiltà del Lavoro, uno splendido edificio che si trova a Roma nel quartiere dell’EUR.

Ormai quasi tutto è andato perduto. Siamo ancora artisti, navigatori e in parte colonizzatori moderni che portano conoscenza e tecnologia, cultura e sapere non portano via nulla alle popolazioni che visitiamo. Siamo ancora trasmigatori, e navigatori e una versione moderna possiamo identificarla nel nostro mitico Soldini, velista di fama e valore oltre che di coraggio. I nostri poeti muoiono uno a uno e non si vede quel ricambio generazionale che pure accompagna le altre arti. 

Santi lo siamo ancora, e aggiungo eroi per forza, solo in questo modo si spiega la stoica resistenza del popolo italico ai sopprusi della casta politica, che pure egli stesso ha eletto. Siamo un popolo di italiani colonizzatori e dimenticati. Già da anni i politici nostrani hanno dimostrato di voler e poter poco nei confronti degli italiani che vivono per scelta o necessità all'estero.

Eppure se ne dovrebbero preoccupare, perché gli aventi diritto, al voto naturalmente, sono almeno 3 milioni a cui si vanno o andrebbero aggiunti tutti quei figli di emigranti nati all'estero ma con passaporto italiano. In questo caso il numero tenderebbe a salire sfiorando i sei milioni, se poi vogliamo andare più a fondo il numero potrebbe ancora lievitare. E' perfino evidente che noi non siamo piu' un popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori.

Mi domando quindi per quale ragione i politici nostrani mostrano di voler costantemente dimenticare gli italiani che vivono lontani dall'italica penisola. La riforma elettorale di Renzi e Berlusconi non si pone nemmeno più il problema dell’elezione di deputati all’estero (semplicemente ignorati) il che – fino a prova contraria – sarebbe ancora oggi un dettato costituzionale. L’omissione-gaffe è la prova di quanto poco i politici italiani considerano il mondo dei milioni di italiani all’estero e ovviamente non considerino minimamente l’importanza potenziale della loro esistenza.

D'altronde una legge finanziaria che taglia ancora una volta i fondi a un  Ministero degli Esteri che percentualmente ha già il più basso indice di spesa dell’Unione Europea lo conferma. Spendiamo meno in percentuale e somma assoluta della Gran Bretagna, della Germania, della Francia, della Spagna, i Comites non vengono più rinnovati da anni… Non si investe all’estero perché non ci si crede, non si sa, non ci si pensa. Eppure quei milioni di italiani rappresentano una Nazione non solo per nuovi o antichi legami con la propria terra ma per la cultura, la lingua, l’economia: una grande risorsa umana 
disprezzata e dimenticata. 

Dalle trasmissioni RAI per l’estero che sono troppo spesso un’accozzaglia di stupidate (oltre ai TG debitamente centrati su Rai 3 e su trasmissioni di chiara parte politica, presentatori e presentatrici di sinistra comprese…) ai tagli per gli Istituti di cultura, le ambasciate, i consolati, i patronati, le scuole, la Dante Alighieri… Certo che qualche spreco ci poteva anche essere, ma da anni ormai si taglia e non si investe più nulla con il risultato di aver creato il deserto.