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2016/05/02

Digiuno per vivere più a lungo




Gesù fu condotto nel deserto per essere tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato 40 giorni e 40 notti alla fine ebbe fame. Il tentatore gli disse: «Se sei figlio di Dio fa che queste pietre siano pane». Egli rispose: «Non di pane soltanto vivrà l’uomo». Giudaismo, Cristianesimo, Islam le maggiori religioni suggeriscono che si debba digiunare, qualche volta almeno, quando non per un mese intero dall’alba al tramonto. Vi siete mai chiesti perché? 

Topi e uomini che stanno senza mangiare per un po’ - bastano 16 ore, più o meno come nel Ramadan - si ammalano di meno. Ma andiamo con ordine.

Le 12 ore di digiuno

Siamo stati cacciatori e così si mangiava quando capitava, due o tre volte la settimana e nemmeno sempre. Un tempo procurarsi il cibo per l’uomo era così difficile che occorreva aguzzare l’ingegno e chissà che le nostre capacità cognitive non si siano evolute proprio da allora. Per prevalere sugli animali poi era importante per gli uomini poter comunicare tra loro, insomma serviva un linguaggio e l’abbiamo inventato. 

Quelli che riuscivano a procurarsi il cibo mangiavano comunque soltanto di giorno poi col calare del sole più nulla fino all’alba. Sono almeno 12 ore di digiuno. Con la luce artificiale è cambiato tutto si mangia sempre fino a tardi e c’è persino chi si alza di notte per mangiare ma l’uomo non è fatto per mangiare quattro volte al giorno. Siamo stati progettati per farlo quando capita e i nostri geni sono ancora quelli di allora. 

Del resto, se non fosse così perché dovremmo avere ancora oggi organi - il fegato per esempio - capaci di conservare energia per poi renderla disponibile quando serve? Le riserve di zucchero che si accumulano nel fegato sotto forma di glicogeno dopo 10-12 ore di digiuno tendono però a esaurirsi. Questo richiama acidi grassi dal tessuto adiposo, il fegato li trasforma in chetoni che tornano nel sangue e raggiungono muscoli e cervello per essere fonte di energia.

Astenersi dal cibo: nuovi neuroni

Parte del segreto dell’effetto favorevole del digiuno è proprio qui, tanto che basta astenersi dal cibo per 24 ore perché nel cervello si formino nuovi neuroni. Insomma il nostro organismo si difende dallo stress di stare qualche ora senza cibo adottando una serie di precauzioni che col tempo proteggono i nostri tessuti da guai peggiori. 

Stare un po’ senza mangiare fra l’altro riduce l’infiammazione, migliora la risposta immune e potenzia la capacità delle cellule di liberarsi da sostanze di scarto. E non basta, il digiuno rallenta persino la crescita dei tumori, almeno nei topi; anche le cellule del cancro hanno bisogno di energia ma non sanno farlo utilizzando i chetoni. Così in animali che mangiano un giorno sì e uno no il tumore non cresce.

Le nostre abitudini alimentari sono davvero corrette?

Come si conciliano gli effetti favorevoli del digiunare uno o due giorni alla settimana con le abitudini dell’uomo moderno? Malissimo. Ed è persino possibile che le abitudini alimentari che si sono consolidate negli ultimi cento anni siano sbagliate. Che evidenza c’è per esempio che la famosa “colazione abbondante del mattino” faccia bene? Quasi nessuna. E della merendina a scuola per i bambini? Nemmeno. 

Abbiamo più bambini in sovrappeso di qualunque altro paese d’Europa salvo Cipro. Le diete che vengono proposte prevedono di ridurre la quantità di calorie o che si mangino soltanto certi cibi; solo frutta e verdura per esempio oppure solo proteine e ancora dieta dissociata, dieta zona o dieta del gruppo sanguigno. In realtà tutti questi sistemi fanno perdere un po’ di peso all’inizio ma alla lunga non portano a nessun vantaggio.

Un toccasana per chi sta male

E allora? Si potrebbe provare a digiunare uno o due giorni la settimana oppure mangiare solo in certe ore del giorno e saltare qualche pasto (comunque bisogna bere, almeno due litri al giorno). Per diabetici, per chi soffre di cuore e forse anche per chi ha un tumore sarebbe un toccasana. Questo per lo meno è quello che pensano Mark Mattson di Baltimora e tantissimi altri scienziati americani ed europei - fra loro c’è anche un italiano, Luigi Fontana – che hanno pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences un lungo articolo per ricordare alla comunità scientifica i vantaggi e le basi teoriche del mangiare solo ogni tanto. 

Ma se uno sta bene e non ha problemi di sovrappeso? Di sicuro non lo sappiamo, serve altra ricerca per sapere se saltare qualche pasto aiuterebbe anche le persone sane. Si tratta di confrontare per esempio chi mangia tre volte al giorno con in più uno spuntino, con chi mangia solo a mezzogiorno e sera, con chi per almeno due giorni la settimana sta senza mangiare per 16 ore o anche di più. Se poi si dimostrasse che per quanto riguarda l’alimentazione noi uomini non siamo così diversi dai topi se ne dovrebbe prendere atto e adattarsi a stili di vita più compatibili con quello per cui il nostro organismo è stato progettato.

2016/04/29

5 per 1000



E’ bello poter donare una piccola parte delle imposte che siamo obbligati a pagare a qualche Ente benemerito, ma ormai sia arrivati vicini all’assurdo. 

In questo periodo siamo infatti sommersi da decine di richieste, mail, lettere e stampati, spot pubblicitari e fascicoli illustrativi, telefonate, inserzioni, deliziosi caroselli e pubblicità in TV tutti che ci invitano a sottoscrivere e dare. 

Dall’Unicef che garantisce “la più fantastica dichiarazione fiscale del mondo” (ma non pubblica i suoi bilanci) a decine di enti no profit, benemerite iniziative assistenziali, Caritas diocesane fino a tutto un campionario di enti di assistenza a malati di ogni ordine e grado. 

Una mobilitazione di visi famosi, cantanti e medici, tutti che invitano a donare. Se i politici non osano più apparire per pubblica decenza non c’è un attore che non abbia doverosamente scelto una nobile causa e ce lo comunichi a suon di spot: sembra una campagna elettorale!. 

Tutti vogliono il nostro cinque per mille, ma un contribuente normale non può stabilire se abbia più ragione e necessità l'associazione del malato di sclerosi multipla rispetto a quella che promuove la ricerca sul cancro, oppure chi combatte la fame nel mondo, difende il clima o il territorio.

Certo va aiutata la ricerca, ma in quale direzione se tutte le sigle sembrano bisognose di affetto e soprattutto si dichiarano indistintamente nei guai per una cronica mancanza di fondi?

Ma è un concetto corretto che per tenerle in piedi diventi indispensabile il nostro 5 x 1000 e non debba invece intervenire un metodo di aiuto pubblico che sleghi gli enti no-profit da questa incessante e un po’ imbarazzante richiesta di elemosine senza poter determinare classifiche di merito? 

Come scegliere d'altronde tra l'arte e i senzatetto, il museo o la squadra di calcio della città e gli immigrati, il fondo missionario o l’assistenza ai bambini malati o con handicap?

Forse, per cominciare, tutti quelli che chiedono dovrebbero depositare e pubblicare i propri bilanci e il ministero verificarli prima di ammetterli alla questua (vi sono note filiali umanitarie dell'ONU - quelle che vanno per la maggiore in TV - che consumano in strutture, stipendi, uffici e spese di organizzazione l'80% dei fondi raccolti), ma soprattutto non è più tollerabile questa incontrollata “caccia al 5” che costa cifre spaventose visto che cartiere, emittenti, giornali, "testimonial" e vetrine internet non lavorano gratis e forse alla fine costano di più per essere attivate che non gli introiti, somme che vengono accreditate – fra l’altro - con anni di ritardo.

Nessuno sa quanto si incassi rispetto a quanto costano le campagne pubblicitarie e soprattutto come siano poi spesi i fondi raccolti, detratte le percentuali che - appunto - finanziano la pubblicità. Al peso di dover pagare le imposte si contrapponeva almeno il pensiero di fare un’opera buona, ma adesso c’è soprattutto l’angoscia di non poter ovviamente arrivare ovunque e con il dubbio se il nostro contributo sia destinato alla fine a essere speso bene.

2016/04/19

Gianroberto Casaleggio


La morte inaspettata di Gianroberto Casaleggio mi ha lasciato turbato perché in questi anni alla fine è rimasta una persona determinante eppure riservata e nascosta nel mondo politico italiano. 

Credo che in molti si siano chiesti quanto alcuni suoi atteggiamenti abbiano contato nel programma di Grillo, quali capacità strategiche avesse come persona e se e quanto davvero credesse in un rinnovamento del sistema politico da portare avanti con il M5S. 

Peccato – oltre ovviamente all’aspetto umano – che se ne sia andato in incognito alla vigilia di avvenimenti importanti e di una svolta nel sistema politico italiano che temo, se con Renzi passerà ad ottobre il suo referendum costituzionale, si cristallizzerà in una sorta di regime personale.

Ho apprezzato molto quel coro “Onestà” ai funerali di Casaleggio e spero che non resti uno slogan e che il M5S creda davvero fino in fondo alla necessità di una opposizione seria, corretta, puntuale, in attesa che lo capisca anche quel che resta del centrodestra e si comporti di conseguenza.

2016/04/08

CHI FINANZIA IL TERRORISMO?


Pasqua di sangue per i cristiani morti a Lahore, in Pakistan, vittime già dimenticate – insieme a molti musulmani – di una violenza cieca ed assurda. Il moltiplicarsi degli attentati nel mondo e la presenza dell’ISIS in molti paesi pone però anche il problema a livello internazionale su chi e come si finanzia il terrorismo. 

In questo senso se l’Italia è stata per ora immune da attentati di grande visibilità vi sono però indizi dell’esistenza di focolai terroristici in Italia, in particolare a Milano, che dovrebbero far riflettere non solo gli specialisti di finanza nei servizi segreti italiani. 

Come sottolinea da tempo Giuseppe Pennisi in una serie di interventi su “Avvenire”, “Formiche” e “Sussidiario” si sa che l’economia “sommersa” è una delle fonti privilegiate del terrorismo in Europa (e in Italia in particolare, a ragione dell’ entità del sommerso nel Pil). Quando il terrorismo era di matrice Al-Qaeda, si parlò a lungo di un fenomeno poco studiato: la micro-finanza del terrorismo che spesso si annida in una rete articolata e molto diffusa dietro il paravento di fondazioni e associazioni islamiche ufficialmente a scopo caritatevole. 

Ciò non vuol dire che tutte le moschee sono ruscelli che alimentano il fiume del terrorismo, ma che spesso attorno alle moschee più radicali si sviluppano fonti di finanziamento singolarmente forse modeste, ma che rappresentano un sostegno importante per una rete disseminata sul territorio. Le fonti principali erano e sono però ancora i Paesi arabi, “amici” (anche se formalmente alleati con l’Occidente) che supportano queste fondazioni (a volte in quanto integralisti, a volte perché sotto ricatto). In questo senso – sottoliea ancora Pennisi - la riunione annuale della World Islamic Banking Conference (l’ultima si è svolta lo scorso dicembre a Manama, capitale del Bahrain), è una sede importante di raccordo in cui tra una preghiera e l’altra e tra un tè e l’altro, si parla d’affari. 

L’associazione conta ben 32 istituzioni bancarie islamiche e da anni è sede dei più importanti organismi internazionali per lo sviluppo della finanza islamica nel mondo: l’Aaoifi, che promuove standard unici per i principi contabili e di governance per le banche che seguono la sharia; il Lmc che sviluppa un mercato interbancario islamico; l’Iifm dedicato alla integrazione di un mercato di capitali del mondo islamico. Alla riunioni non mancano banchieri e consulenti finanziari occidentali, esclusi però dalle sessioni a porte chiuse dedicate agli “impegni” per le fondazioni “culturali” (e non solo) di proselitismo e di difesa dei valori della sharia.

Già dieci anni fa un documento dell’amministrazione finanziaria degli Stati Uniti sui capitali all’estero della rete terroristica avrebbe documentato che una buona parte dei 3 miliardi di dollari appartenuti al Governo di Saddam Hussein già depositati in banche estere soprattutto in Siria, Libano e Giordania sono finiti non si sa dove e che queste risorse finanziarie erano state accantonate sia per il supporto alla guerriglia in Iraq sia per finanziare il terrorismo. 

Molte cose nel frattempo sono cambiate: il Califfato dispone oggi di riserve petrolifere e di greggio destinato al mercato nero in Occidente e in Estremo Oriente. Quindi è abbastanza autosufficiente per le proprie esigenze “statuali” (chiamiamole così) e per le forze armate. Inoltre, le “cellule” sparse in Europa operano con “terrorismo lowcost”. Si stima che la strumentazione terroristica per gli attentanti a Parigi abbia avuto un costo di 20.000 euro e quella per gli attentati a Bruxelles di 15.000 euro; li si finanzia con la questua nelle moschee (un crowfunding terroristico), con lo spaccio di droga e con il “pizzo” in certi quartieri (come potete immaginare anche a Bruxelles...). 

Un campo relativamente nuovo e di grande interesse è quello dell’analisi economica dell’impiego di kamikaze reclutati tra giovani cresciuti in ambiente occidentale oppure “occidentalizzato” (i palestinesi nati e diventati adulti in Israele) dove giovani musulmani esaltati, cresciuti negli Usa o in Europa oppure nelle aree più occidentalizzate del Medio Oriente, lo compiono non per andare in un Paradiso (in cui spesso non credono affatto), ma per sconfiggere il nemico in una guerra millenaria in cui l’intrusione occidentale avrebbe, agli occhi loro e dei loro maestri, tolto il primato economico, scientifico e culturale dell’Islam. Lo scontro con le libertà, la democrazia e il mercato rende più acuta la decisione di commettere gesti estremi come il suicidio-eccidio. 

Ciò spiega la scelta di terroristi istruiti (oltre che probabilmente laicizzati) per le missioni più importanti. Attenzione: il suicidio-eccidio è contrario al Corano dove si prescrive che l’uomo non deve uccidere “neanche una formica” e la “guerra santa” è consentita unicamente per la riconquista e difesa dei “luoghi sacri”. Il kamikaze o è imbevuto di eresia, ossia di un’interpretazione distorta del Corano, oppure considera il suicidio-eccidio come strumento di una guerra laica tra civiltà necessariamente in forte contrapposizione. Dobbiamo renderci conto che il contenimento del terrorismo è un “dovere pubblico internazionale”, che non può essere fornito da un solo Paese e di cui beneficia tutta la comunità mondiale.

Dopo le risoluzioni Onu anche Siria e Libano hanno dato la loro disponibilità a operare di concerto con il resto del mondo per bloccare i soldi del terrore. Ciò implica vigilare su conti sospetti di “cellule” terroristiche dovunque esse siano ma questo significa anche una necessaria e ben maggiore vigilanza bancaria. 

Si sente spesso questa frase in tempi di lotta al terrorismo:

Anche se non tutti i musulmani sono terroristi, la gran parte dei terroristi sono musulmani.

Sappiate che si tratta di una frase del musulmano saudita Abdel Rahman al Rashed che all’epoca dell'intervista di Oriana Fallaci era direttore della televisione Al Arabiya e futratta da un suo editoriale e riportata nel libro “Oriana Fallaci intervista se stessa – L’apocalisse”.

2016/03/25

Terrorismo


La realtà è che davanti al terrorismo non abbiamo risposte, non abbiamo risorse, non abbiamo una strategia, non sappiamo che cosa fare. 

La nostra mentalità non capisce il terrorismo, non lo ammette: ci sembra incomprensibile, violento, barbaro, indiscriminato, assurdo scatenare un terrore che non ha logica e se la prende con inermi. In passato in Italia abbiamo avuto periodi bui, bombe rosse e nere con attentati e vittime, ma erano piccoli gruppi di fanatici senza radici e che infatti furono sgominati.

“Questo” terrorismo invece ha ora diffuse complicità internazionali, l’alibi di una religione, ha assoldato kamikaze e finanziamenti senza fine, è cresciuto ormai “dentro” l’Europa dove ha tessuto una rete che gode di omertà, appoggi, simpatie diffuse tra centinaia di migliaia di persone, sicuramente minoranza tra milioni di musulmani europei, ma in crescita esponenziale e virtualmente senza controlli.

Possiamo difendere mille punte sensibili ma è impossibile difenderli tutti. Una bomba in un centro commerciale scatenerebbe il caos e non puoi controllare chiunque entri in un locale, posteggi un’auto o trasporti una borsa. La stessa presenza dei terroristi-kamikaze ha rovesciato la questione: come puoi immaginare che chi ti sta di fianco in quell’istante vuole uccidersi ed ucciderti con lui? Una barriera invalicabile di mentalità, lingua, religione, abitudini, stato sociale che innalza fatalmente nuovi muri e scava distanze.

Non ci sono risposte per un’Europa che si trova in questa situazione anche perché ha perso ideali, anima, volontà di riscossa, unicità di intenti. E’ attaccata perché debole, divisa, attonita, impreparata: non condivide indagini, intelligence, priorità. Abbiamo perso? Sicuramente sì, ma forse possiamo giocare ancora qualche pedina se evitassimo il buonismo inutile e – non siamo forse in guerra? – se si avesse finalmente perlomeno il coraggio di prendere decisioni comuni. Non è possibile che la polizia belga francofona non parli invece con quella fiamminga, che a Bruxelles non si sappia su che cosa si indaghi a Parigi, che uno dei terroristi di martedì era stato preso in Turchia otto mesi fa, estradato in Olanda o in Belgio ma poi comunque rilasciato. 

Ma non si può anche continuare ad ammettere migranti senza identificazione, senza prendere e pretendere (anche “a forza”!) le loro impronte digitali. D'altronde se ciascuno di noi va all’estero deve mostrare un passaporto e chi non ce l’ha deve comunque essere identificato in modo certo: vale per tutti!

Ritorna fortemente il concetto che certamente non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani e allora o arriva una risposta corale, limpida, conclamata, veemente dalle comunità islamiche europee (e non arriva mai, e è grave: anche a novembre in Italia fu flebile e impercettibile) di dissociazione e di protesta o servono leggi nuove, rigorose, adatte alle necessità. Limitazioni religiose, di culto, di espressione? E’ un concetto che fa a pungi con il diritto, ma se siamo in una emergenza tutti i musulmani devono sentirsi coinvolti e responsabili: non è possibile avere pericolose zone d’ombra o dare coperture dove si inseriscono singoli criminali che tali restano, anche se si ammantano di fanatismo religioso. 

E’ tardi perchè ormai in Europa sono troppi? Certo, ma se non fermiamo il flusso o lo regoliamo sarà sempre peggio e definitivamente vinceranno “loro”. Se io, cristiano, comincio a ammazzare la gente la polizia forse non mi arresta e con me i miei complici o fiancheggiatori? 

Il punto è che può integrarsi chi lo vuole (e sicuramente molti lo vogliono) ma quando si rifiuta l’integrazione e anzi l’essere “diversi” diventa un titolo di merito all’interno di una comunità religiosa guadagnandosi il paradiso ammazzando il prossimo, quale deve essere la nostra risposta? Credo che come minimo debba anche esserci la possibilità di detenzioni preventive, identificazioni immediate, espulsioni “vere” e non solo formali, senza ritorno. Se sono vere le cifre di centinaia di militanti ISIS in giro per l’Europa occorrono misure di emergenza fatalmente discriminanti, ma in fondo di legittima difesa.

Vale più una limitazione alla libertà o il rischio di centinaia di morti ammazzati? Purtroppo “loro” vogliono distruggerci, non ragionano, non discutono: odiano. Noi NON dobbiamo odiare, mi ripugna farlo, ma dobbiamo pur prendere atto di quello che avviene e allora - come cittadini italiani ed europei - dobbiamo cercare di difenderci e in questo senso la prevenzione, il controllo, le verifiche su chi arriva sono indispensabili. Non volerlo fare, dimenticare, minimizzare è complicità al nostro suicidio.