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2016/07/15

Come finirà con l'Islam?


Intervista a Giovanni Sartori, fiorentino, 91 anni (quasi 92), considerato fra i massimi esperti di scienza politica a livello internazionale, da anni è attento osservatore dei temi-chiave di oggi: immigrazione, Islam, Europa. Da Il Giornale, 15/7/2016.

Professore su queste parole si gioca il nostro futuro.

«Su queste parole si dicono molte sciocchezze».

Su queste parole, in Francia, intellettuali di sinistra ora cominciano a parlare come la destra. Dicono che il multiculturalismo è fallito, che i flussi migratori dai Paesi musulmani sono insostenibili, che l'Islam non può integrarsi con l'Europa democratica...

«Sono cose che dico da decenni».

Anche lei parla come la destra?

«Non mi importa nulla di destra e sinistra, a me importa il buonsenso. Io parlo per esperienza delle cose, perché studio questi argomenti da tanti anni, perché provo a capire i meccanismi politici, etici e economici che regolano i rapporti tra Islam e Europa, per proporre soluzioni al disastro in cui ci siamo cacciati».

Quale disastro?

«Illudersi che si possa integrare pacificamente un'ampia comunità musulmana, fedele a un monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, con la società occidentale democratica. Su questo equivoco si è scatenata la guerra in cui siamo».

Perché?

«Perché l'Islam che negli ultimi venti-trent'anni si è risvegliato in forma acuta - infiammato, pronto a farsi esplodere e assistito da nuove tecnologie sempre più pericolose - è un Islam incapace di evolversi. È un monoteismo teocratico fermo al nostro Medioevo. Ed è un Islam incompatibile con il monoteismo occidentale. Per molto tempo, dalla battaglia di Vienna in poi, queste due realtà si sono ignorate. Ora si scontrano di nuovo».

Perché non possono convivere?

«Perché le società libere, come l'Occidente, sono fondate sulla democrazia, cioè sulla sovranità popolare. L'Islam invece si fonda sulla sovranità di Allah. E se i musulmani pretendono di applicare tale principio nei Paesi occidentali il conflitto è inevitabile».

Sta dicendo che l'integrazione per l'islamico è impossibile?

«Sto dicendo che dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l'integrazione di islamici all'interno di società non-islamiche sia riuscita.
Pensi all'India o all'Indonesia».

Quindi se nei loro Paesi i musulmani vivono sotto la sovranità di Allah va tutto bene, se invece...

«...se invece l'immigrato arriva da noi e continua ad accettare tale principio e a rifiutare i nostri valori etico-politici significa che non potrà mai integrarsi. Infatti in Inghilterra e Francia ci ritroviamo una terza generazione di giovani islamici più fanatici e incattiviti che mai».

Ma il multiculturalismo...

«Cos'è il multiculturalismo? Cosa significa? Il multiculturalismo non esiste. La sinistra che brandisce la parola multiculturalismo non sa cosa sia l'Islam, fa discorsi da ignoranti. Ci pensi. I cinesi continuano a essere cinesi anche dopo duemila anni, e convivono tranquillamente con le loro tradizioni e usanze nelle nostre città. Così gli ebrei. Ma i musulmani no. Nel privato possono e devono continuare a professare la propria religione, ma politicamente devono accettare la nostra regola della sovranità popolare, altrimenti devono andarsene».

Se la sente un benpensante di sinistra le dà dello xenofobo.

«La sinistra è vergognosa. Non ha il coraggio di affrontare il problema. Ha perso la sua ideologia e per fare la sua bella figura progressista si aggrappa alla causa deleteria delle porte aperte a tutti. La solidarietà va bene. Ma non basta».

Cosa serve?

«Regole. L'immigrazione verso l'Europa ha numeri insostenibili. Chi entra, chiunque sia, deve avere un visto, documenti regolari, un'identità certa. I clandestini, come persone che vivono in un Paese illegalmente, devono essere espulsi. E chi rimane non può avere diritto di voto, altrimenti i musulmani fondano un partito politico e con i loro tassi di natalità micidiali fra 30 anni hanno la maggioranza assoluta. E noi ci troviamo a vivere sotto la legge di Allah. Ho vissuto trent'anni negli Usa. Avevo tutti i diritti, non quello di voto. E stavo benissimo».

E gli sbarchi massicci di immigrati sulle nostre coste?

«Ogni emergenza ha diversi stadi di crisi. Ora siamo all'ultimo, lo stadio della guerra - noi siamo gli aggrediti, sia chiaro - e in guerra ci si difende con tutte le armi a disposizione, dai droni ai siluramenti».

Cosa sta dicendo?

«Sto dicendo che nello stadio di guerra non si rispettano le acque territoriali. Si mandano gli aerei verso le coste libiche e si affondano i barconi prima che partano. Ovviamente senza la gente sopra. È l'unico deterrente all'assalto all'Europa. Due-tre affondamenti e rinunceranno. Così se vogliono entrare in Europa saranno costretti a cercare altre vie ordinarie, più controllabili».

Se la sente uno di quegli intellettuali per i quali la colpa è sempre dell'Occidente...

«Intellettuali stupidi e autolesionisti. Lo so anch'io che l'Inquisizione è stata un orrore. Ma quella fase di fanatismo l'Occidente l'ha superata da secoli. L'Islam no. L'Islam non ha capacità di evoluzione. È, e sarà sempre, ciò che era dieci secoli fa. È un mondo immobile, che non è mai entrato nella società industriale. Neppure i Paesi più ricchi, come l'Arabia Saudita. Hanno il petrolio e tantissimi soldi, ma non fabbricano nulla, acquistano da fuori qualsiasi prodotto finito. Il simbolo della loro civiltà, infatti, non è l'industria, ma il mercato, il suq».

Si dice che il contatto tra civiltà diverse sia un arricchimento per entrambe.

«Se c'è rispetto reciproco e la volontà di convivere sì. Altrimenti non è un arricchimento, è una guerra. Guerra dove l'arma più potente è quella demografica, tutta a loro favore».

E l'Europa cosa fa?

«L'Europa non esiste. Non si è mai visto un edificio politico più stupido di questa Europa. È un mostro. Non è neppure in grado di fermare l'immigrazione di persone che lavorano al 10 per cento del costo della manodopera europea, devastando l'economia continentale. Non è questa la mia Europa».

Qual è la sua Europa?

«Un'Europa confederale, composta solo dai primi sei/sette stati membri, il cui presidente dev'essere anche capo della Banca europea così da avere sia il potere politico sia quello economico-finanziario, e una sola Suprema corte come negli Usa. L'Europa di Bruxelles con 28 Paesi e 28 lingue diverse è un'entità morta. Un'Europa che vuole estendersi fino all'Ucraina... Ridicolo. Non sa neanche difenderci dal fanatismo islamico».

Come finirà con l'Islam?

«Quando si arriva all'uomo-bomba, al martire per la fede che si fa esplodere in mezzo ai civili, significa che lo scontro è arrivato all'entità massima».



2016/06/24

BREXIT grandi manovre in Europa


Il referendum inglese non sarà forse la morte dell’Europa ma per me è un momento di sconforto e di profonda tristezza, anche perché la “colpa” di questa situazione non è tanto degli inglesi che se ne vogliono uscire, ma di “questa” Europa così diversa da quella che avevamo sognato. Un’Europa dove tutto è diventato prima di tutto solo economia e (grande) finanza, speculazioni di borsa, burocrazia e “Germanocentrismo” dove la crisi colpisce la pancia della gente e le sue paure, con la facile scorciatoia di dare sempre la colpa agli altri. Chiudersi e separarsi dà allora (falsa) sicurezza, ma soprattutto – distrutte radici e idealità - non c’è motivo di sacrificarsi. 

E’ cresciuta un’Europa che fa di tutto per scontentare gli europei, che non ha una politica per l’immigrazione, una linea per la politica estera, la difesa, una strategia verso la Russia, una indipendenza di pensiero riguardo agli USA, la tutela dei legittimi sentimenti di appartenenza che devono essere i diversi colori di una strategia comune e invece sono diventati solo segni di spaccatura sempre più evidente. E’ vero che Europa, Euro e Unione Europea sono tre cose differenti ma alla fine si identificano in un malcontento giustificato e diffuso che ha fatto velocemente crollato lo spirito europeo in anni dove i più giovani non hanno conosciuto e quindi neppure immaginano la realtà di un continente in guerra e che ancora pochi anni fa era diviso da troppi confini.

Amarcord? Certo, ma come spiegare a mio nipote che ricordo bene la prima volta che a Berlino passai all’Est: scendevi dalla metropolitana e i viaggiatori erano avviati in un lungo camerone sotterraneo e puzzolente dove consegnavi il passaporto e aspettavi finchè l’altoparlante non urlava – ovviamente in tedesco – “Italien…” e via con il tuo numero. Ti consegnavano il visto e un sacchettino (obbligatorio) di carta moneta e di monetine che sembravano di plastica. Per passare dovevi infatti cambiare un minimo di marchi “buoni” (ovvero quelli dell’ovest), con quelli “democratici” che erano ufficialmente quotati alla pari, venti volte il loro valore reale.

Erano già passati più di trent’anni dalla fine delle guerra, ma mentre a Berlino Ovest era un fiorire di grattaceli all’Est c’erano ancora le rovine per strada, il filo spinato per stare lontani dal “muro” che alla Porta di Brandeburgo separava in due la città, poche auto in giro e solo il museo di Priamo e dell’antica Assiria rendeva doverosa una visita “di là”.

Ricordo anche un Praga grigia e fredda, sporca, così diversa dalla città di oggi piena di turisti allegri e scamiciati, ma d'altronde bastava superare Gorizia – divisa in due - per vedere come il tempo si fosse fermato con i prezzi della benzina che per noi erano una pacchia, in una Jugoslavia orgogliosa del suo non allineamento, ma decisamente meno libera e più povera di noi. 

Tutti ce la prendiamo oggi con l’euro, ma ci siamo dimenticati di quando la lira perdeva valore giorno per giorno e sembrò già un successo quando si cominciò a parlare di ECU e cambi fissi, di Mercato Comune e di progetto Erasmus. 

Pochi allora andavano all’estero e ancor meno per frequentare una università. 

In Europa c’erano centinaia di migliaia di italiani, ma tanti vivevano ancora in baracche, braccia utili solo a scavare carbone e comunque emarginati, senza diritti, considerati zoticoni e ignoranti (come molto spesso – purtroppo – lo erano) perché senza istruzione, semianalfabeti strappati dal bisogno alle campagne del sud.

Chi oggi è senza memoria non può ricordare l’odore dei vagoni ferroviari che partivano lenti dalla Sicilia o dalla Calabria, risalivano la penisola e poi ancora più su attraverso la Svizzera, la Germania, verso il Belgio o le miniere della Ruhr.

Anni per emanciparsi, per convivere, per difendere un po’ di dignità in un ambiente ostile e senza rondini, dove tutto sembrava nemico dopo due guerre mondiali che avevano visto alla fine la sconfitta di tutti perché era stata l’Europa intera a perdere e a ritrovarsi distrutta e in macerie, forte solo di volontà di risalire. 

L’Europa Unita era nata così, con l’Italia che prestava braccia e riceveva carbone, con Francia e Germania che decisero finalmente - alla fine - come il Reno potesse essere solo un fiume e non perenne mattatoio di ragazzi e una serie di bunker e trincee. 

Con diffidenza, speranza, incredulità: lentamente ci si cominciò a parlare, a capire, a crescere. Crollò il “muro” e fu tutto subito diverso, incredibile, possibile.

La realtà sembrava fin troppo facile, naturale e scontata: crollavano i confini e si ingrandiva l’Europa in un processo che sembrava inarrestabile e felice. Poi vennero l’Euro, la recessione, la crisi, il terrorismo, le ondate migratorie e l’Europa si arenò senza ritrovare radici vere, tra indici di borsa, Brexit, nuovi muri e tante insofferenze. Vennero politici di poco spessore, nuove povertà, ma soprattutto tutto è diventato un pasticcio monetario senza più nessuna idealità, senz’anima, con la maxifinanza tedesca a dettar legge..

E’ iniziata così una reazione a catena incontrollabile, dove diventa legittimo chiedersi perché alla Gran Bretagna si erano comunque offerti molti privilegi purché restasse in Europa e l’Italia non goda invece di considerazione, anche per leader nostrani evidentemente incapaci di farsi rispettare.

I numeri inglesi sono impietosi, è un brusco risveglio dal sogno, anche se certi sogni speri sempre che non finiscano mai.

2016/06/12

Maschi che uccidono femmine...


Sui maschi che uccidono o sfregiano la femmina che li rifiuta (con lo scopo, lucidamente feroce, di renderla "inservibile" ad altri maschi) si esercitano molto le discipline psicologiche, criminologiche e antropologiche, come è utile e anzi indispensabile che avvenga. Ma credo - e lo dico da maschio - che su quella rovente, tremenda questione, non si eserciti abbastanza la parola politica.

Al netto dei materiali psichici complessi e oscuri che ci animano, molti dei nostri comportamenti sono determinati dalle nostre convinzioni e dalle nostre idee. Ciò che siamo è anche ciò che vogliamo essere. O che tentiamo di essere. Se non rubiamo non è solamente per il timore della punizione, o perché non ne abbiamo la stretta necessità economica. È perché abbiamo ripugnanza etica del furto.

Quando ero ragazzo, negli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, si è decisamente sopravvalutato il potere che le convinzioni e le idee potessero esercitare sulla nostra vita; vita quotidiana compresa. "Il privato è politico", si diceva allora, volendo significare che ogni nostro atto, anche domestico, anche invisibile alla Polis che tumultuava e rumoreggiava sotto le nostre finestre, avesse valore pubblico e producesse il suo effetto politico. 

Era una forzatura ideologica che l'esperienza provvide, per nostra fortuna, a sdrammatizzare e infine a diradare, facendoci sentire un poco meno "responsabili del mondo" almeno dentro i nostri letti, un poco meno sottomessi al Dover Essere ideologico. Vennero scritti libri e girati film sulla presuntuosa goffaggine che pretendeva di avere instaurato, in quattro e quattr'otto, libertà di costumi e liberalità di sentimenti. Non erano così facilmente arrangiabili, i sentimenti e gli istinti, alle nuove libertà. Non così addomesticabili il dolore inferto e subito, l'abbandono, la gelosia.

Ma la decompressione ideologica dei nostri anni è funesta in senso contrario. Le idee, che a noi ragazzi di allora parvero fin troppo determinanti, oggi vagolano in forma di detriti del passato oppure di scontate banalità. Hanno perduto molto del loro appeal: in positivo, perché è finita la sbornia ideologica, ma anche in negativo, perché molte fortissime idee hanno perduto la loro presa sul discorso pubblico, impoverendolo e istupidendolo. 

Per esempio l'idea - e veniamo al punto - che la donna appartenga a se stessa ("io sono mia"), che la sua persona e il suo corpo non siano mai più riconducibili alle ragioni del patriarcato e del controllo maschile. Se c'è mai stata, al mondo, un'idea rivoluzionaria, è quella: ribalta una tendenza millenaria, smentisce spavaldamente la Tradizione, muta la struttura sociale perfino più radicalmente di quanto la muterebbe la sovversione della gerarchia padrone-operaio. Perché non se ne sente più l'eco, di quello slogan così breve e di così implacabile precisione? Forse perché lo si dà per scontato (non essendolo!); forse perché nessun "principio" assoluto riesce più a ottenere credito in una società smagata, relativista più per sfinimento che per cinismo.

Eppure, volendo ridurre all'osso la questione del femminicidio, è proprio l'ignoranza o il rifiuto maschile di quel principio - io sono mia - il più evidente, perfino il più ovvio di tutti i possibili moventi. No, tu non sei tua, tu sei mia. Il mio bisogno è che tu stia con me, e del tuo bisogno (non stare più con me) non ho rispetto, o addirittura non ne ho contezza. Tu esisti solamente in quanto mia; in quanto non mia, esisti talmente poco che cancello la tua vita. Certo, la stratificazione psichica è profonda, cause e concause si intrecciano, paure e debolezze si sommano producendo, nei soggetti più sconquassati, aggressività e violenza. Ma il "via libera" all'aggressione, alla persecuzione, allo stalking, al delitto scatta anche perché nessuna esitazione "ideologica" interviene a soccorrere il carnefice, nessuna occasione di dibattito interno gli è occorsa, a proposito di maschi e di femmine.

Politica e cultura (ovvero: il processo di civilizzazione) esistono apposta per non abbandonare la bestia che siamo alla sua ferinità e ai suoi istinti, regolando in qualche maniera i rapporti sociali, rendendoli più compatibili al bisogno di incolumità e dignità di ogni persona. Questo non esclude, ovviamente, che ci siano stalker e aguzzini di buona cultura e di idee liberali. Ma è l'eccezione che conferma la regola: costumi e comportamenti di massa sono largamente influenzati, e sovente migliorati, dalla temperie politica e culturale dell'epoca. 

È nell'Italia rinnovata e modernizzata degli anni Sessanta che la contadina siciliana Franca Viola si ribella al ladro del suo corpo e pronuncia, entusiasmando milioni di spiriti liberi, il suo semplice ma inequivocabile "io sono mia" prefemminista e presessantottino, con la mitezza luminosa di una Lucia aggiornata che rimette al suo posto il donrodrigo di turno. È sempre in quell'Italia che, con fatica, si arriva finalmente a mettere in discussione l'obbrobrio giuridico del "delitto d'onore", che verrà finalmente cancellato vent'anni dopo. Ed è a livello popolare, mica solo nei "salotti", è nel profondo della società che quei fermenti circolano, quelle discussioni si animano, quei confitti indirizzano il senso comune.

Non so quanto dipenda dalla mia storia psichica o dalle mie attitudini caratteriali il fatto che io non abbia mai alzato un dito su una donna. Ma so per certo che dipende in buona parte, per dirla molto banalmente, dalla mia volontà di non farlo; dalla mia educazione e dall'esempio ricevuto in famiglia; dalle mie inibizioni culturali, che mi fanno considerare indegna e vile la sopraffazione dell'altro; infine, e non ultimo, dalle mie convinzioni politiche, che mi conducono fortemente a credere che la libertà delle donne sia condizione (forse la prima condizione) della libertà di tutti.

Come disse a milioni di persone, con la sua ruvidezza a volte così necessaria, Luciana Littizzetto al Festival di Sanremo di qualche anno fa, "chi picchia una donna è uno stronzo". Poi, certo, è soprattutto di aiuto, di assistenza e perfino di pietà che hanno bisogno anche gli stronzi, soprattutto gli stronzi. Ma la prima domanda da porre, al femminicida in carcere o in altro luogo di recupero e cura, è sempre e solamente una, semplice, facile da capire, ineludibile: ma non lo sapeva, lei, che le donne non sono di sua proprietà? Non glielo aveva mai spiegato nessuno?

femmine, omicidio, maschi, maschilismo, macho, uomo, donna, moglie, fidanzata, possesso, mia, uccidere

2016/06/10

Arrivederci Gianluca.



Su richiesta di un amico, pubblico questo articolo in ricordo di Gianluca Buonanno.
Buonanno mi viene descritto come un politico attento ai bisogni della gente, non uno di quei mezzibusti appiccicato con l'attaccatutto al fondo della poltrona ma sempre in prima linea contro i sopprusi. Non lo conoscevo personalmente ma quello che di lui ho letto l'ho apprezzato. Ciao Gianluca.

Uno schianto e domenica scorsa GIANLUCA BUONANNO, europarlamentare della Lega Nord e sindaco di Borgosesia, è morto improvvisamente in un pauroso incidente stradale e con una dinamica ancora oscura (Ndr: Adesso la dinamica è chiara, Gianluca si piegò per recuperare un oggetto non accorgendosi dello sbandamento dell'auto e della Mercedes ferma in corsia di emergenza, l'urto con la quale gli fu fatale). Permettetemi di ricordarlo in amicizia perché Gianluca non era solo quello delle sparate demagogiche - come è stato superficialmente presentato - ma un (ex) ragazzo che a differenza di quasi tutti non si limitava a “dire” ma soprattutto si dedicava a “fare” .

Ci conoscemmo negli anni ’90. “Il suo consigliere si è barricato da due giorni in consiglio comunale” mi sussurrò una voce al telefono. Era il segretario comunale di Serravalle Sesia (VC) che mi comunicava come l’allora consigliere comunale del MSI-DN Gianluca Buonanno avesse litigato con il sindaco minacciando di non uscire più dall’aula finchè non gli avessero dato ragione e il povero segretario – che non sapeva più pesci pigliare – mi telefonò disperato. 

Ero allora consigliere regionale, uno dei pochi esponenti del partito conosciuti nella zona e arrivai di volata a Serravalle dove la piazzetta del comune sembrava un set cinematografico: Gianluca stava in aula e calava un cestino dalla finestra che la gente riempiva di cibarie, con le TV che inquadravano e lui che - ovviamente - finì forse per la prima volta su tutti i giornali. 

Cominciammo a frequentarci e lui “soffriva” i dirigenti di AN di Vercelli che obiettivamente erano tre dita meno in gamba di lui. Litigi continui, polemiche. Volevano espellerlo, lo salvai, lo feci chiamare a Roma da Fini che gli fece una ramanzina (sorridendo, però) pregandolo di calmarsi e parlando di disciplina e spirito di gruppo: sembrava convinto. Gianluca mi chiamò alla sera “Grazie, Marco, ho già fatto un comunicato stampa dove ho scritto che Fini mi ha dato ragione su tutto…” Ovviamente in AN non era più aria e lui era incerto se aderire all’ allora UDC di Casini o alla Lega. Eravamo buoni amici e quindi mi chiese consiglio. Ci trovammo a parlarne e gli consigliai la Lega perché avrebbe avuto ben altri spazi di crescita e visibilità per quella che fu evidentemente una buona scelta.

Gianluca è stato consigliere comunale, provinciale e regionale, sindaco e parlamentare italiano e europeo, riusciva contemporaneamente a fare tutto perché ci credeva e non solo per una questione di immagine.

Pochi mesi dopo il suo debutto “pubblico” con la famosa occupazione del consiglio cambiò la legge elettorale, lui si candidò a sindaco e fu subito sindaco di Serravalle, poi a Varallo e ora a Borgosesia, ma indubbiamente a Serravalle - in pochi mesi – grazie alla sua nomina era già davvero cambiato tutto, a cominciare dalle sagome di cartone a dimensione naturale con lui raffigurato in divisa da vigile urbano sistemate nei punti strategici per indurre a rallentare le auto di passaggio.

Arrivammo una volta per una manifestazione a Serravalle Sesia con Maurizio Gasparri (allora sottosegretario all’Interno) e a un certo punto Gianluca sparì. “Ero andato a chiudere i cancelli dei cimiteri” - spiegò poi - e era proprio così, perché lui era onnipresente e nell’interesse del comune faceva di tutto. 

A Varallo, entrando in paese, colpiva per esempio un gigantesco cartellone che – oltre a vietare alcuni costumi islamici – invitava a telefonare al sindaco in caso di necessità con il suo numero, ovviamente, che chiamai una volta alle 4 del mattino mentre andavo a pescare a Rimasco e lui, pronto, rispose subito. Perché questo era il “vero” Gianluca Buonanno, uno che certo si metteva fin troppo in mostra, ma soprattutto lavorava ogni giorno e stava concretamente dalla parte della “sua” gente che lo amava e da vent’anni - ogni volta - puntualmente lo copriva di voti. 

Certo che a volte esagerava e si era creato un personaggio, ma i suoi atteggiamenti avevano sempre un fondo di buon senso e di ragione. Ridemmo insieme quando fu espulso dall’aula a Montecitorio per la famosa spigola sventolata dal suo banco e lo presi in giro tacciandolo di plagio perché mi aveva copiato, visto che era stato uno dei pochi a ricordarsi che una volta ero stato proprio io a spedire per posta (in piena estate) dei pesci a Rosy Bindi, allora ministro della sanità, che per problemi burocratici non voleva riaprire la pesca sul Lago Maggiore. 

Con nostalgia penso fatalmente all’ultima volta che l’ ho saluto a Borgosesia nel suo ufficio da sindaco, un sabato pomeriggio invernale in orari non certo “d’ufficio” anche perché per lui non c’erano orari, come sanno peraltro tutti i sindaci autentici.

Parlavamo del futuro e gli dissi che – visto anche il deserto generale nel centro destra piemontese - l’avrei visto bene proporsi come presidente della Regione Piemonte la prossima volta (in fondo era una carica che ancora gli mancava). Lui sorrise e ovviamente commentò con un “si vedrà…” 

Il destino non ha voluto, ma in qualche modo la sua unicità, amicizia e simpatia resterà sempre con noi. Arrivederci, Gianluca. 

Ps. Il presidente del Consiglio Comunale di Verbania (del PD) martedì sera non ha concesso di commemorare Buonanno e neppure di osservare il consueto minuto di silenzio a inizio seduta, come richiesto dai consiglieri della Lega Nord. Parte dei consiglieri e del pubblico si sono comunque alzati in piedi lo stesso pur mentre proseguivano i lavori. 


Meglio evitare di commentare certe miserie.

2016/06/04

Metabolismo e digiuno



Chi vi scrive le ha provate tutte. Dalla dieta Dukan al digiuno intermittente, passando attraverso mille altri sistemi magici e miracolosi che avrebbero dovuto ridurre drasticamente il peso e aumentare la mia autostima. Naturalmente nulla ha realmente funzionato.

Pochi mesi fa mi sono imbattuto in una nutrizionista con idee innovative. Fermo restando che le scelte sono solo mie, lei mi ha convinto che un ulteriore tentativo sotto il suo controllo era opportuno doverlo tentare. Ho appena iniziato, quando avremo terminato (avremo perché il processo coinvolge tutta la famiglia, anche se poi a digiunare sono solo io) vi informerò.

Nel frattempo cerchiamo insieme di capire come e perché digiunare fa bene all'organismo.

La vita si basa sui due processi fondamentali di nutrizione e eliminazione: nel momento in cui sospendiamo la nutrizione, l’organismo ha a disposizione un maggiore potenziale energetico indispensabile all’eliminazione delle scorie e dunque il digiuno diventa una importante terapia depurativa .

Il nostro metabolismo ossia quel complesso di trasformazioni biochimiche ed energetiche che avvengono nell’organismo, che riguardano le modificazioni di sostanza nelle diverse fasi del ciclo vitale (accrescimento, equilibrio, involuzione) e le trasformazioni dell’energia chimica delle sostanze alimentari in calore o in lavoro meccanico, si regge su due attività in equilibrio che si succedono e si sovrappongono continuamente: un momento sintetico, detto anabolismo, per mezzo del quale si ha la formazione della sostanza propria e specifica di ogni singolo organismo ed organo o l’immagazzinamento di materiale di riserva, a spese delle sostanze nutritive che esso riceve dall’ambiente esterno e utilizza per accrescersi, per mantenersi e per riparare la continua usura; il momento demolitivo, detto catabolismo, per mezzo del quale avviene la scomposizione dei materiali di riserva o delle sostanze specifiche dei tessuti in costituenti più semplici, con produzione di energia, gli ultimi dei quali vengono solitamente eliminati attraverso gli organi di escrezione (rene, intestino, cute, polmone).

In fisiologia si distinguono e si determinano due quote energetiche, che corrispondono rispettivamente: al metabolismo addizionale, che varia in rapporto al dispendio energetico occorrente per il lavoro muscolare, la regolazione termica, i processi digestivi; al metabolismo basale, che corrisponde al dispendio energetico minimo e irriducibile dell’organismo, ossia all’entità dei processi ossidativi globali di tutto l’organismo in condizioni basali (digiuno completo da almeno dodici ore, astensione da ogni farmaco, riposo clinostatico da almeno un’ora, temperatura ambiente sui 18-20 gradi e assoluta calma psichica). In tali condizioni il dispendio energetico è determinato dai processi ossidativi necessari al mantenimento della funzione cardiaca, respiratoria, del tono muscolare, della funzione dei reni, fegato, apparato digerente, delle ghiandole endocrine e della funzione nervosa.

Orbene durante il digiuno l’organismo tratta le risorse dei propri tessuti con la massima economia possibile per cui il metabolismo totale cala velocemente nei primi due giorni e successivamente più lentamente, ma non si arresta in quanto se ciò succedesse sopravverrebbe la morte. Dato che l’organismo è in riposo viene quindi ridotto, ma il metabolismo basale è mantenuto. “L’indice metabolico si riduce così sensibilmente che l’uomo può espellere calore fino a circa 2300 calorie al dì” (Shelton). In questo modo in digiuno esercita un’azione riequilibrante sui meccanismi biochimici di tutte le cellule del nostro organismo, riportando i tessuti ad uno stato di equilibrio omeostatico dinamico che è la base del benessere. Questo equilibrio omeostatico è proprio il risultato del bilancio fra i processi di assimilazione (anabolismo) e i processi di distruzione cellulare (catabolismo) con la conseguente eliminazione dei residui metabolici.

Se i processi assimilativi divengono più intensi dei processi distruttivi o di eliminazione, sia ha il disequilibrio che provoca l’accumulo e tutte le sostanze che una cellula non può utilizzare diventano tossiche. Abbiamo in tal modo un primo stadio di intossicazione cellulare che costituisce la base fisiologica per l’instaurarsi delle malattie; l’astenersi da cibo quindi consente al corpo di riposare e cominciare a eliminare le sostanze di scarto che si sono accumulate negli anni con l’alimentazione sbagliata e con lo stress continuato.

Ma vediamo come durante il digiuno, visto che il corpo ha bisogno sia di fonti energetiche, per il mantenimento delle funzioni biologiche fondamentali, sia di sostanze organiche per riparare l’usura continua degli organi e dei tessuti, l’organismo attinga alle proprie riserve di grasso, proteine, glicogeno, vitamine e sali minerali.

Dal punto di vista biochimico, i bisogni delle prime ventiquattro ore quando il carburante abituale, il glucosio, non è più disponibile nel tubo digestivo da cui proviene sono coperti dalla riserva di glicogeno epatico ma in seguito devono essere attivati al di fuori dei tessuti adiposi i trigliceridi in quanto costituiranno il combustibile principale nel corso del digiuno.

Le cellule muscolari, epatiche, renali, cardiache e la maggior parte delle cellule sono in grado di metabolizzare immediatamente i grassi e i loro metaboliti, ma le cellule del sistema nervoso centrale invece hanno bisogno di alcuni giorni di adattamento a questo nuovo combustibile ed esigono per tutto il tempo del glucosio, divenuto alimento raro e ciò spiega per quale motivo il periodo più difficoltoso del digiuno possa essere considerato quello dei primi giorni. In effetti, il grasso non può trasformarsi in glucosio a parte la sua componente di glicerolo ed è a partire dalle proteine endogene che il glucosio deve riformarsi. E’ per ovviare a tale momento critico, nel corso del quale il cervello richiede il suo carburante abituale, il glucosio, che le tribù nomadi del deserto, nel corso dei loro lunghi spostamenti, dove il digiuno è solitamente necessario, assumono un dattero e lo lasciano sciogliere in bocca non appena compare la sensazione di fame indotta dal sistema nervoso.

Con il passare dei giorni il sistema nervoso centrale si adatta alla combustione dei corpi chetonici, metaboliti prodotti a livello epatico quando un’eccessiva ossidazione dei lipidi è accompagnata da una scarsa disponibilità di zuccheri e che passano dal fegato in circolo e sono utilizzati (eccetto l’acetone che non può essere ulteriormente metabolizzato) come substrato energetico dal cervello, dal cuore e dai muscoli striati, e il catabolismo proteico diminuisce considerevolmente. Questa rappresenta la chiave per la comprensione dei meccanismi di risparmio proteico nel corso del digiuno, senza i quali esso non potrebbe prolungarsi al di la di qualche giorno. Teoricamente quindi il digiuno potrebbe durare senza alcuna difficoltà sino all’esaurimento delle scorte adipose. Negli stadi finali, a mano a mano che il grasso si esaurisce, l’energia deriva in quantità progressivamente crescente dall’ossidazione delle proteine; poiché le proteine derivano dai tessuti attivi del corpo è soltanto quando le riserve di grasso sono esaurite che si verifica un notevole consumo di proteine. Finché è possibile le proteine vengono economizzate come dimostra la graduale diminuzione dell’escrezione di azoto nei lunghi digiuni (Magnano).

Per misurare, infatti, il catabolismo proteico si utilizza convenzionalmente il bilancio azotato, misurato attraverso i valori di azoto presenti nelle urine, in quanto le proteine sono costituite da catene di molecole di aminoacidi, ciascuno dei quali contiene uno o più atomi di azoto e quest’ultimo è inutile per la produzione di energia e la quantità presente nelle urine è proporzionale a quella delle proteine che sono state demolite per ottenere energia nel corso del digiuno. In un uomo di media corporatura i valori medi di escrezione urinaria della parte azotata delle proteine oscillano all’inizio del digiuno da quattro a dodici grammi di azoto, che corrispondono a venticinque-settantacinque grammi di proteine al giorno nei primi cinque-dieci giorni di digiuno assoluto. Questi valori scendono a tre-cinque grammi di proteine dopo due tre settimane, al momento nel quale il meccanismo di risparmio funziona interamente. Siccome la muscolatura è costituita da proteine, nel corso delle prime tre quattro settimane di digiuno perde almeno un terzo della sua massa, ma il fatto che sorprende è che mantiene l’efficienza. Infatti, per l’effetto dell’azione depurativa del digiuno, in particolare sui liquidi extracellulari e sullo spessore delle membrane basali dei capillari, vi è un aumento dell’ossigenazione dei tessuti in generale e dei muscoli in particolare che consumano grandi quantità di ossigeno, costituendo fra l’altro il 40% della massa corporea totale. Le arteriole aumentano la loro portata e anche questo contribuisce a incrementare l’ossigenazione.

Ci sono variazioni nella quantità di proteine endogene catabolizzate nel corso del digiuno e in merito giocano un ruolo importante la massa adiposa, muscolare, l’apporto precedente di proteine, il sesso, lo stress; ma se si conoscono abbastanza bene le quantità di proteine utilizzate altrettanto non si può dire per la loro provenienza. Nella fase iniziale di astensione dal cibo vengono attivate proteine epatiche, renali, ma anche dal timo e dal tubo digestivo e quest’ultimo essendo a riposo si atrofizza in maniera reversibile e le proteine dell’epitelio possono essere catabolizzate senza danno non appena gli enzimi digestivi diventano superflui. In linea di massima la sintesi proteica rallenta e si riduce nel digiuno; i tassi plasmatici di prealbumina trasportata dalla tirossina e la proteina trasportata dal retinolo si abbassano durante un digiuno assoluto, ma altre proteine come albumina e globulina non subiscono sostanziali modificazioni. Le perdite di proteine del plasma comunque avvengono in modo equilibrato: la composizione totale del sangue non varia e quindi non si formano gli edemi da fame così frequenti invece nell’alimentazione cronicamente deficitaria di proteine (carestie) dove in questo caso si ha un abbassamento delle sieroalbumine e ciò comporta una diminuzione della pressione osmotica all’interno dei capillari con conseguente fuoriuscita di liquido interstiziale.

Le perdite muscolari cominciano a diventare sensibili solo con il prolungamento del digiuno, almeno venti giorni, quando iniziano a scarseggiare le riserve accumulate nel tessuto adiposo, nel midollo osseo, nel sangue e nel fegato; è allora che la muscolatura libera la maggior parte degli aminoacidi indispensabili durante il digiuno: da una parte la neo sintesi del glucosio, dall’altra le sintesi indispensabili al mantenimento delle funzioni vitali. Ma la muscolatura perde una certa quantità di acidi aminici senza peraltro diminuire la propria capacità di funzionamento e la sua contrattilità; e non si tratta di sensazione soggettiva ma prove di laboratorio evidenziano che effettivamente la forza può mantenersi e addirittura aumentare. Sono le persone ammalate che avvertono maggiormente la stanchezza e la conseguente astemia in quanto l’energia disponibile viene prontamente captata dai processi di autoguarigione. La perdita di peso varia ovviamente a seconda delle condizioni individuali e delle modalità con cui si effettua il digiuno ma in linea di massima nelle prime quattro settimane la muscolatura perde un terzo della sua massa; durante tale fase le arteriole vengono decompresse aumentando la loro portata e si avvicinano maggiormente alle cellule con le quali si scambiano l’ossigeno e i nutrienti, e allo stesso tempo i rifiuti metabolici sono più facilmente trasportati dalle piccole vene. La muscolatura può dunque funzionare come riserva proteica e ciò che segna il catabolismo proteico di origine muscolare è la presenza nelle urine del 3-metilistidine 0, un metabolite dell’acto-miosina (proteina contrattile del muscolo) che non viene rimetabolizzato.

Anche se meno ben studiate, ci sono altre fonti di proteine, definite patologiche, che possono essere utilizzate nel corso del digiuno, fra questa ricordiamo: i resti proteici intracellulari incompleti catabolizzati e che ingombrano, per così dire le cellule, uguali a quelli che si ritrovano nei processi di invecchiamento; le proteine extracellulari che rendono le sostanze fondamentali più spesse e tale ispessimento limita lo scambio gassoso e nutritivo tra cellule e con il sangue. Certo questa rappresenta una bassa percentuale delle sostanze proteiche catabolizzate durante il digiuno, ma potrebbero rappresentare un’importante aspetto terapeutico e disintossicante del digiuno. Quindi abbiamo visto che durante l’astensione dal cibo la massa muscolare diminuisce ma la sua struttura e le cellule rimangono le stesse, solo la massa totale diminuisce, il numero delle fibre rimane lo stesso; quando si digiuna si forza l’organismo ad entrare in autofagia, a nutrirsi cioè dei propri scarti. Tutti i tessuti nobili non vengono attaccati ma soltanto gli scarti e la cellula si rigenera. “I tessuti sono persi in ragione inversa alla loro utilità; prima i grassi e le escrescenze morbide; poi gli altri. I centri nervosi non vengono toccati. I tessuti anormali (tumori, cisti, ascessi, cellulite, edemi, trombi ecc.) deficienti in apporto nervoso e sanguigno, sono demoliti per primi” (Pizzi). I processi di autolisi si intensificano durante il digiuno per la necessità di far sopravvivere strutture organiche indispensabili a carico di altre che non lo sono. L’autolisi in questo caso è essenzialmente un meccanismo legato alla sopravvivenza. All’interno delle cellule vi sono enzimi legati a corpuscoli detti lisosomi che vengono liberati, determinando la dissoluzione parziale o anche totale della cellula. Quando una cellula muore per invecchiamento si liberano tali enzimi che portano all’autodigestione della struttura cellulare, i cui prodotti possono poi essere utilizzati da altre cellule, oppure eliminati. Visto che tali processi si intensificano nel corso del digiuno, Shelton ha supposto che l’autolisi possa essere considerata un processo fondamentale per la guarigione questo perché i tessuti patologici verrebbero individuati come potenziale fonte di nutrimento per gli organi sani e si avvierebbe a loro carico un precoce processo di autolisi. E’ probabile che il digiuno, rendendo il corpo più vitale e più attivi i processi di difesa, scateni un’aggressione selettiva contro cellule e tessuti aberranti che prima l’organismo non era stato in grado di mettere in atto, e questa distruzione avviene con le stesse modalità dell'autolisi generica che si potrebbe definire autolisi specifica di difesa (Magnano). Per Magnano ciò è condivisibile solo in parte: infatti se è vero che i tessuti sani vengono persi secondo una successione cronologica che tiene conto della loro utilità e importanza, non sempre i tessuti malati si riducono precocemente, come comporterebbe il loro valore nell’economia in generale dell’organismo. Questo è vero in modo particolare per i tumori che, se maligni, possono in qualche caso accrescersi durante il digiuno. Si potrebbe spiegare ciò con il fatto che i tessuti malati da degenerazione maligna non facciano più parte dell’unità vivente dell’organismo e non cooperino alle finalità vitali generali: possono in tal modo essere recalcitranti a subire un processo autolitico a favore degli organi vitali poiché tendono a nutrirsi a spese dei tessuti sani.

E’ innegabile comunque che il nostro organismo è in grado di individuare, riconoscere e attaccare cellule anomale, tanto che sono stati individuati anticorpi in grado di avviare processi distruttivi a loro carico. Questi processi li possiamo definire autolitici in quanto tali anticorpi sono i grado una volta penetrati all’interno della cellula di liberare gli enzimi contenuti nei lisosomi (organuli intracellulari contenenti numerosi enzimi quali l’idrolasi, specializzati nel degradare macromolecole e particelle provenienti dall’esterno della cellula). Questo tipo di autolisi la possiamo definire di difesa, come indicato dal dottor Magnano per distinguerla dall’autolisi da sopravvivenza; infatti la prima è volta specificatamente alla distruzione delle cellule devianti ed è quindi un meccanismo difensivo, la seconda invece, non distrugge le cellule ma preleva del materiale senza arrecarne danno. E’ quindi grazie all’autolisi di difesa che l’organismo è in grado di liberarsi dei tessuti aberranti, dagli accumuli patologici in genere, e il digiuno potenzia tale autolisi in quanto si determina l’aumento delle energie disponibili per le attività autoguaritrici; ma ricordiamo che tale autolisi non sempre si attiva perché è necessario che l’organismo abbia conservato una sufficiente vitalità e integrità; se questa è presente la cellula danneggiata o lesa è in grado di digerire le parti di sé che sono state danneggiate e dopo aver disintegrato tali parti lese può nuovamente sintetizzare membrane o parti nuove e continuare a vivere.

Sono processi che avvengono in modo netto; c’è uno stadio giunti al quale, se la cellula è troppo danneggiata non può più rigenerarsi; tuttavia fintantoché il nucleo e il materiale genetico della cellula sono sani essa può rigenerarsi procedendo per autofagia, cioè nutrendosi di se stessa, delle proprie membrane danneggiate. La cellula non si nutre di tessuti non lesi, ma solo delle parti guaste. Ciò ci autorizza a fare una trasposizione nel campo del digiuno poiché ciò che fa la cellula lo fa anche il nostro organismo. Quando si digiuna ci si nutre dei nostri residui e quindi li riciclano. Questo è un processo dell’organismo vivo, è un processo di rigenerazione cellulare molto reale. Osserviamo ad esempio che si può sezionare fino a quattro quinti del fegato e quest’ultimo è in grado di rigenerarsi completamente. Le cellule del tubo digerente dalla bocca all’ano si rigenerano annualmente, così pure le cellule ossee come quelle del cervello. Ci sono scambi di sostanze, le pareti vengono continuamente ricostruite, le membrane e le varie componenti vengono rigenerate e anche le cellule muscolari seppur non si riproducono hanno sempre scambio di sostanze. Ecco quindi che durante il digiuno la massa muscolare diminuisce ma la struttura e le cellule rimangono le stesse. Quando ci si astiene dal cibo l’organismo è forzato ad entrare in autofagia, a nutrirsi dei propri scarti e i tessuti nobili non vengono attaccati e la cellula si rigenera. Il corpo ha sistemi di sopravvivenza enormi ed è grazie a questa capacità che l’organismo può rigenerarsi. Le riserve di sali minerali vengono trattenute, trasferite, ridistribuite per cui non si verificano fenomeni di carenza minerale che invece si manifestano a seguito di diete squilibrate, questo perché quanto più il minerale è prezioso, tanto più viene trattenuto: si perdono notevoli quantità di sodio, fosforo e zolfo ma il ferro, il calcio ed il potassio vengono risparmiati e vi è un aumento in percentuale di questi elementi. Anzi sembra proprio che il digiuno ringiovanisca perché all’interno dei tessuti il sodio viene sostituito dal potassio. Inoltre da studi fatti presso il laboratorio di nutrizione dell’Istituto Carnegie di Washington sembra che, in un individuo a digiuno da trentun giorni il sangue possa, nella totalità dei suoi elementi, resistere all’azione dell’astensione dal cibo senza che si verifichi qualche modificazione patologica degna di nota, anzi alcune alterazioni preesistenti a carico del sangue possono scomparire nel corso di digiuni terapeutici. Si notano aumenti del numero di globuli rossi in persone anemiche. I valori ematochimici in persone non perfettamente sane possono inizialmente virare fuori dalla norma per poi tornare a valori migliori di quelli iniziali: è l’effetto delle tossine che dai tessuti si riversano nel sangue per poi essere eliminati.

Ciò che è stato esposto si riferisce ovviamente al digiuno idrico ossia a quello nel quale si ingerisce solo acqua minerale naturale, la più adatta a favorire l’espulsione delle scorie metaboliche, in quantità di due tre litri al giorno; si ritiene infatti che il vero digiuno sia quello in cui c’è la sospensione totale dell’apporto calorico. E’ dimostrabile infatti che ingerendo anche poche calorie, perfino in forma liquida, si costringe comunque l’organismo ad attivare processi metabolici circadiani di digestione, assimilazione ed escrezione che limitano notevolmente l’azione di drenaggio mesechimale che è l’obiettivo prioritario di questa forma di intervento.


Bibliografia

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Introduzione all'igiene naturale, Società Editrice Igiene Naturale 1986