Stupro, una brutta parola, una di quelle che non vorremmo sentire mai, sbattuta in faccia sui giornali come se fosse un fiore, invece è una condanna. Stupro un fenomeno tristemente tornato alla ribalta, in crescita, e non solo in Italia. Le molestie sessuali, i maltrattamento fisici, le percosse e le violenze sessuali contro le donne sono in costante aumento, rappresentano una tragica realtà. La violenza sessuale nei confronti delle donne è un fenomeno molto diffuso che ha radici antichissime negli atteggiamenti culturali che, nelle varie epoche, hanno dominato il modo di intendere il rapporto uomo-donna. Si tratta di atteggiamenti che incidono fortemente sugli schemi soggettivi, sia della vittima che del violentatore che sul suo modo di interpretare lo stupro. Stupro e castigo, un riferimento al famoso libro di Fëdor Dostoevskij: Delitto e Castigo". Perchè per ogni delitto c'è sempre un castigo, o almeno dovrebbe esserci.
Le donne, purtroppo da sempre, sono state considerate inferiori all’uomo e destinate all’obbedienza silenziosa e rispettosa. La donna viene ancora considerata un essere inferiore in molte nazioni, è spesso la religione la responsabile di questo, ma nel nome di questa religione nessuno cerca di cambiare. Le violenze contro le donne, i maltrattamenti, gli stupri, le molestie sessuali fanno rivivere alcune rappresentazioni sociali della donna che la cultura europea, e non solo europea, ha prodotto: il principio dualistico del rapporto sessuale, dove la donna è passività e l’uomo è attività. L’identificazione tra sessualità femminile e procreazione; la donna vista come asessuata, priva di desiderio e strumento del piacere maschile, a conferma di questo penso alla pratica dell’infibulazione, a tutt’oggi ancora praticata in molti Paesi sub-sahariani, una pratica barbarica, ancora lontana dall’essere debellata.
Le radici
La concezione della donna nell’antichità classica greca, si pensi agli scritti di Platone per esempio, è di considerarla inferiore all’uomo. Anche Aristotele si unisce al coro e la definisce per natura più debole dell’uomo visto che il corpo femminile è incompleto, menomato (di quale organo non è chiaro), tutto questo, secondo questi grandi saggi, autorizza la sottomissione femminile all’uomo. Sul piano culturale, lo stupro viene così identificato come atto lecito o illecito a seconda delle circostanze e dell’età o della situazione coniugale delle donne. Nella Bibbia lo stupro è un reato contro la proprietà, poiché la donna è proprietà di un uomo, e la pena prevista per gli stupri è quella di morte, pratica che evidentemente si è persa nel tempo, purtroppo a quel tempo non era solo per il violentatore, ma anche per la vittima della violenza sessuale, se questa era sposata. Se era invece vergine, non veniva considerata colpevole solo se violentata in luogo isolato, mentre se lo stupro avveniva in città, dove le grida avrebbero potuto udirsi, essa veniva considerata alla stessa stregua del violentatore e secondo una logica che farebbe urlare di disgusto chiunque: colpevole!
Nella antichità romana lo stupro non è considerato reato se viene compiuto dai vincitori sulle donne dei vinti, oppure se viene seguito dal matrimonio come per esempio nel famoso ratto delle Sabine. Durante il Medio Evo la liceità dello stupro e delle violenze sessuali sulle donne sono relative allo stato di verginità della donna stessa e alla sua classe sociale di appartenenza. Nel corso del Rinascimento si riteneva che, se la donna stuprata fosse rimasta incinta, la causa fosse dovuta al piacere da essa provato e quindi poteva essere giudicata colpevole. In Italia già dall’800 e fino al 1950 le ragazze minorenni stuprate venivano chiuse in riformatorio oppure avviate alla professione nelle case chiuse. Aberrante, da vergognarsi.
Negli avvenimenti bellici dell’età contemporanea quello che viene chiamato “stupro etnico” è molto diffuso. L’idea è che la donna sia corresponsabile dello stupro perché si suppone che durante la violenza sessuale vuole che si compia il rapporto sessuale e con il suo comportamento eccita l’uomo. L’idea che il rapporto sessuale è fondamentalmente un rapporto di violenza è stato costruito nel tempo artificialmente, ovviamente non esiste nessuna prova che possa suffragare questa informazione, semmai si è voluto giustificarne l’esistenza in un modo che potesse essere considerato accettabile. Il Cristianesimo riprende e conferma questa sottomissione, benchè dal punto di vista spirituale veda la donna uguale all’uomo. Ne abbiamo la conferma attraverso gli scritti di San Paolo, per lui il capo della donna è l’uomo. La donna non può insegnare, né imporre la sua volontà, ma deve rimanere in silenzio. Da questa concezione deriva la scelta cattolica di vietare alle donne le funzioni sacerdotali.
Lo stesso concetto si applica quando si tratta di stupro di gruppo, quando il branco di sbandati violenta una vittima, spesso giovane e appariscente. In questo caso c’è quasi sempre una lunga storia di rifiuti, di tentativi andati a vuoto. Per certo va considerata la premeditazione, il branco cerca e violenta non a caso, quasi mai, ma a colpo sicuro, identifica e colpisce chi già conosce, che sia la moglie, l’amante la fidanzata o una semplice amica o perfino solo conoscente di un membro dello stesso branco che ha subito il rifiuto della vittima come un’offesa personale grave.
Una nuova immagine della donna si instaura durante l’Illuminismo, grazie all’attività di donne dedite allo studio e all’arte, ma è una immagine che riguarda un’esigua minoranza. La maggioranza delle donne rimane relegata a compiti ausiliari. L’idea che la donna non desideri l’appagamento sessuale permane durante il Medioevo, il rinascimento e nei secoli successivi, al punto che nell’800 Rousseau nell’“Emilio” scrive che mentre “l’uomo è attivo e forte, la donna è passiva e debole”: da ciò deriva che la relazione tra i sessi ha un carattere di violenza. La cultura ottocentesca ritiene che la sessualità femminile venga appagata dal parto e dalla cura dei bambini e non abbia quindi, se non raramente, altri desideri da soddisfare. All’incirca cento anni fa Lombroso riteneva che “la donna è normalmente monogama e organicamente frigida”, mentre Moebius (psichiatra positivista del ‘900) scriveva che “ il cervello femminile è inferiore, per permettere alla donna di essere madre”.
E se in passato, e in un passato niente affatto remoto, si pensi che lo stupro è stato dichiarato crimine di guerra dall’Onu solo nel 2008, la violenza sulle donne era strettamente connessa alla guerra, e utilizzata come strumento di offesa e di umiliazione, si è nel tempo evoluta assumendo tratti differenti. La spinta che ha portato a stupri di massa, sia che si del sacco di Roma a opera dei Celti, sia che si parli della seconda guerra mondiale, nel particolare delle truppe marocchine, alleate con i francesi, che ebbero tacita licenza di stupro sulla popolazione femminile, dopo aver sconfitto i tedeschi, si è progressivamente trasformata in una questione privata.
Lo stupro è la pratica di divertimento maschile più usata nel mondo e non solo occidentale.
Ho trovato in un sito su internet i numeri di questa violenza senza fine, si riferiscono alla sola Italia. È stato difficile trovare quelle cifre, perché chi le possiede non vuole condividerle con la gente, perché ci si rende conto che si tratta di un fenomeno molto diffuso, purtroppo non tutte le vittime ne parlano, non tutte denunciano anzi continuano spesso a vivere come in un incubo, Si autocondannano a subire un’esistenza contraria ai loro sogni, alle loro aspirazioni. Parliamo di donne sottomesse. Parliamo di donne perché, almeno in Italia, il fenomeno riconducibile ai minori viene inserito, considerato, assieme a quello della pedofilia anche se, spesso, troppo spesso sono due problemi che hanno radici lontane, anche simili, legati alle stessa cultura, probabilmente le stesse origini, medesime cause scatenanti con un diverso orientamento sessuale, comunque sempre identificabili con precisione. Purtroppo la pedofilia rappresenta un altro grosso problema del nostro viver civile, comprendere anche le violenze sui minori in questo, per me rappresenta un grosso errore, perché non viene ben compreso dalla gente, il violento non viene così emarginato, isolato.
Le donne che subiscono violenze vivono quasi schiavizzate, il pregiudizio contro le donne ha radici molto antiche. E tuttora è vivo, presente, respirabile perfino nella nostra società apparentemente cosi’
moderna e aperta. Per anni e anni non si è mai parlato di questi argomenti, un velo di silenzio ha sempre avvolto come un sudario la verità. Parliamo di triste omertà della vergogna di aver subito una violenza. Da parte dei media solo per vigliaccheria, un opportunismo referenziale a un sistema marcio dentro. Vediamo oggi i risultati di questo, lo stupro dopo oltre 2500 anni non è morto e sepolto, anzi è più vivo che mai e i risultati di questa nostra politica, nostra in quanto umanità, sono sotto gli occhi di tutti.
E non pensiate che si parli del solo stupro. C’è una violenza virulenta, senza fine, il desiderio di fare del male, di annichilire, di soggiogare i più deboli alle volontà dei più forti. Lo sappiamo che non sono loro i più forti, non psicologicamente, ma si sentono drammaticamente forti e impunibili. Le istituzioni poi aggiungono un ulteriore fardello, un carico di responsabilità che dovrebbe far riflettere, la ricerca del silenzio, la pratica di non rendere pubblico il disagio di tante donne e bambini, adolescenti lasciati spesso soli con un carico difficilmente sopportabile. Non ci si meravigli poi dei suicidi in epoca adolescenziale. Il silenzio non aiuta a star meglio, ma lascia semplicemente sola la persona con la propria sofferenza. Lo stupro e gli altri crimini sessuali costituiscono un grave attacco all'integrità fisica e mentale delle vittime e alla loro autonomia sessuale e non parlo solo delle donne. Tali reati sono violazioni dei diritti umani e pregiudicano il godimento di altri numerosi diritti tra cui quelli alla salute fisica e mentale, alla sicurezza personale, all'eguaglianza nella famiglia e a un'eguale protezione legale di uomini e donne da parte della legge. È dovere dello Stato perseguire in modo efficace tutti i crimini perpretati in nome di una soddisfazione personale gratuita a danno dei più deboli, inclusa la violenza sessuale, e assicurare l'accesso alla giustizia e alla riparazione attraverso il sistema giudiziario anche se, in effetti, e come sempre, tutto si riconduce alla constatazione che non è un problema di leggi ma culturale, di una cultura che è globalmente maschilista.
E veniamo al dunque, al motivo principe di questo articolo: come si combatte questa cultura maschilista?
Bella domanda, comincio affilandomi le unghie, digrigno i denti e mordo, accuso, offendo. Entro nella coscienza della gente, di quelli che potrebbero far qualcosa ma non fanno, di quelli che devono trovare subito una soluzione ma non si muovono dalle posizioni assunte, perché hanno paura di dover schiodare il deretano da quelle sedie sulle quali sono incollati. È un problema di cultura, non solo spiccia, non solo della gente ma anche delle istituzioni, dei governi, della fame nel mondo, delle cattive abitudini, della paura delle conseguenze, dell’emarginazione.
Per anni solo le femministe e altri gruppi di attiviste per il rispetto e l’applicazione delle leggi per i diritti umani hanno parlato a lungo di cultura dello stupro e hanno intrapreso campagne contro il sistema, tempo perso inutilmente perchè è come se non si fosse fatto nulla. Molti paesi europei e fra questi l’emancipata Inghilterra, hanno ancora il tasso di condanne per stupro più basso d’Europa, e le donne vittime di violenze passano ancora e spesso per colpevoli, e tra le persone l’idea di poter combattere con successo questa cultura è sbiadita. C'è rassegnazione in questo comportamento, sintomo di una incapacità di risolvere il problema andando alla radice. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento dell’infiltrazione della cultura dello stupro nella vita quotidiana. La parola la si legge spesso anche su facebook ma erroneamente intesa, non per accusare ma per fomentare. Per chi dovrebbe tutelare la nostra integrità c’è l’erronea convinzione che le donne vestite in un certo modo, che bevono troppo, che si atteggiano, che si mettono in mostra, è normale siano violentate, e ci sono comici famosi che hanno continuato a usare la parola “rape” come un intercalare delle loro battute.
Ma se la cultura dello stupro continua a diffondersi, la controffensiva femminista è la sola a farsi sentire. E se da una parte mi rendo conto quanto essa sia radicata nella nostra società, dall’altra sono fermamente convinto che il fenomeno debba essere affrontato, sfidato e vinto e abbiamo tutte le armi affilate, possiamo farcela, serve la collaborazione di tutti, non solo delle potenziali vittime, ma anche e soprattutto delle istituzioni, della polizia, carabinieri, esercito e marina e mettiamoci anche l’aviazione. Ma perché questo accada, quello che dobbiamo affrontare non è facile. Per cominciare, bisogna tornare indietro, a quello che alcuni potrebbero definire come le nozioni di base e considerare ciò che costituisce lo stupro in sé.
Innanzitutto bisognerebbe tornare indietro nel tempo e identificare il momento in cui fosse possibile definire come nozione di base ciò che costituisce lo stupro. È prima necessario scindere in due periodi ben distinti la violenza dello stupro nella società antica e in quella moderna. Non si tratta di voler giustificare il passato, parlo dell’antica Grecia o del tempo dei Romani, includo i vari Rinascimento, Illuminismo, Oscurantismo, le grandi guerre, il fascismo e il nazismo. Voglio semplicemente dividere in due il calendario. Da una parte il passato, con tutte le contraddizioni, le credenze, le conoscenze che al tempo erano permesse. Dunque un passato che possiamo analizzare, sezionare, ma non possiamo più cambiare, quello è e quello rimane. Dall’altra il presente, la nostra storia di questi anni, noi esseri umani dell’era globale, incapaci di prendere seriamente in considerazione la risoluzione del problema, incapaci di trovare una onorevole via d’uscita, eppure scandalizzati giorno dopo giorno leggendo quello che succede, non solo in Italia, nel mondo intero.
Perchè lo stupro?
Cosa conduce allo stupro? Quale può essere quell’oscuro meccanismo che alberga nella mente di alcuni individui che spinge a abusare della propria forza e violentare, prendere senza il consenso quanto di più intimo ci sia in una persona? Come si determina questa situazione, qual’è la molla che fa scattare la libido umana al punto tale da prendere con la forza quello che non è permesso? Lo stupro non deve esserre considerato alla stregua di un furto, se rubo un quadro di valore ho compiuto un reato, una volta recuperato il quadro e rimesso al suo posto, per il quadro non ci sono conseguenze. Lo stupro no, lascia per sempre i segni nella vittima, non solo quelli fisici ma anche psicologici. Quindi ritorna la domanda perchè lo stupro?
Perchè si arriva allo stupro? Lo so che sto girando attorno a questo argomento, che non approfondisco, mettetevi nei piei panni, non è affatto facile trovare una giustificazione a un’atto compiuto da altri, alle ragioni perchè si arriva anche e solo a desiderarlo prima ancora di compierlo. Affronto dunque il problema ponendo me stesso nel confronto con l’ipotetico stupratore. E naturalmente mi riferisco a quella frase del criticatissimo poliziotto canadese che disse a una vittima di uno stupro: “Vi stuprano perché vi vestite come puttane”. Io vivo in Vietnam, d’estate le temperature salgono e penso salgano anche quelle umane, spesso si sfiorano i 45°C, la gente si difende come può, short e t-shirts sono la normalità, chi dispone di maggiori risorse indossa capi di lino, chi non ha questa fortuna si sveste. Donne in pantaloncini corti da urlo sono la normalità in Vietnam, ovunque si vada: al mercato, in motoretta, la commessa del negozio abituale, la farmacista. Pensate che tutta questa disponibilità di gambe e sederi al vento sfoci in altrettanta violenza? No, assolutamente. Attenzione, non sto dicendo che in Vietnam non si assista al fenomeno, purtroppo esiste anche qui, ma la causa scatenante, diversamente da quello che ha affermato il poliziotto canadese, non risiede nel modo di vestire delle donne, le cause sono altre, certo il vestire aumenta il rischio ma non possiamo dire sia la causa scatenante. Quella va ricercata nella cultura della gente. Non solo leggendo il passato, ma specialmente guardando al presente. Mi spiego meglio. Lo stupro è il frutto finale di una serie di insegnamenti. Attenzione noi non insegnamo ai nostri figli a stuprare le donne, no di sicuro, semmai sono i nostri comportamenti che preludono a un comportamento violento quando loro diventeranno adulti.
E mi rimetto in discussione. Ai miei tempi, al tempo in cui io sono stato un bimbetto di qualche anno, era uso comune - una cattiva abitudine mi si farà notare - dicevo era abitudine malmenare i figli se questi si comportavano male. In genere il babbo, cattivo di turno, si toglieva la cinghia dei pantaloni e con quella provvedeva alla punizione nei confronti del figliuolo discolo. Altri genitori andavano oltre, legavano il colpevole al letto e con la cinghia, ma anche con il battipanni (evoluzione) picchiavano con determinazione il malcapitato. So di alcuni che poi restavano a digiuno per interi giorni come punizione di qualcosa, ne sono certo insignificante, che avevano commesso.
Nel corso della mia adolescenza non ero proprio considerato uno stinco di santo, qualche scappatella c’è stata, qualche botta l’ho presa e forse meritata, almeno secondo il metro di misurazione di allora. Di buono da dire c’è che la nostra, mia e di mio fratello, educazione fu sempre esemplare, scuole di primordine, buoni tutori, eccellenti maestri. Dove non arrivarono le botte arrivò il buon senso e il rispetto per gli altri.
Credete che sia stato così per tutti? Cioè tutti abbiano avuto la fortuna di una famiglia unita, di genitori che si volevano bene tra loro e lo volevano ai propri figli? Pensate che questo sia, o non sia dipende dai punti di vista, la causa scatenante per sviluppare la violenza in tempi successivi?
Ritengo non sia solo nella famiglia che nascono certe deviazioni, ma che comunque la famiglia abbia delle sostanziose responsabilità, è infatti il primo ambiente dove i giovani uomini di domani formano il carattere. Non diamo la colpa alle cattive compagnie, alla scuola, all’oratorio o alla Chiesa. È nella famiglia che nascono questi comportamenti che col tempo vanno a acquistare maggiore forza. Non voglio addossare la colpa a madri e padri di gente violenta che forse aveva nel DNA le ragioni scritte da millenni per essere così, però è evidente come certe attitudini violente, non parlo solo di percosse fisiche ma anche psicologiche, certe privazioni, certe accuse più o meno velate, certi comportamenti sono all’origine della formazione caratteriale del bimbo che crescerà in un certo modo, sfuggendo a determinate responsabilità imposte dalla comunità, possiamo anche dire dal sistema ma, quest’ultima affermazione non mi rincuora nello scoprirlo. Spesso ci si sofferma sulle manifestazioni più macroscopiche e drammatiche, mentre ogni giorno in qualsiasi relazione fra uomini e donne, fra adulti e minori, si nascondono piccole ma non meno gravi espressioni che evocano la violenza. Se la violenza è una malattia, bisogna prestare attenzione ai suoi sintomi. Proprio attraverso di essi è possibile risalire ai modelli sociali e culturali che la alimentano, modelli di cui generalmente vi è scarsa consapevolezza, soprattutto nei giovani. La violenza e i maltrattamenti nell'ambito famigliare dunque sono comunque una contraddizione perché proprio la struttura familiare, fatta di amore, condivisione, di comprensione e solidarietà dovrebbe essere la forma sociale più lontana dalle forme di violenza sorte alle cronache in questi ultimi tempi causa la recrudescenza del fenomeno stupri ma non solo, parliamo di omicidi, altri abusi sessuali anche e soprattutto verso i minori, i maltrattamenti fisici e le violenze psicologiche. Questa contraddizione purtroppo c'è e attraversa le età, i luoghi, le condizioni socio-economiche, le diverse appartenenze etniche e va considerata nelle dinamiche, nei diversi contesti, con i soggetti, autori e vittime, che le esprimono.
La legge
E le istituzioni come affrontano il problema? Come si pongono nei confronti di chi esprime se stesso attraverso la violenza, attraverso lo stupro? Cominciamo col dire quello che non fanno. Lo stupratore in Italia difficilmente viene incarcerato, succede nei casi più gravi, quando c’è l’evidenza, quando ci sono le testimonianze, quando non esistono scappatoie legali, in tutti gli altri casi gli arresti domiciliari con limitazioni varie della libertà personale vengono applicate e, con esclusione dei recidivi, dopo aver applicato le riduzioni di pena, spesso il violentatore torna libero. Purtroppo in Italia predomina una mentalità sessuale maschilista, confusa e inquieta, turbata da antiche superstizioni e da incontrollate passioni, viziata da correnti, banali e pigramente accettate opinioni, spesso avallate e incentivate da comportamenti di singoli parlamentari cosiddetti “machi” o “celoduristi”. La legge 609bis e successive integrazioni, stabilisce pene giudicate lievi se confrontate con quelle inflitte ai colpevoli in altri Paesi europei. In particolare indica che chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
E qui verrebbe da chiedersi dove alberga quell’uguaglianza, affermata dalla Costituzione ma troppo spesso negata nella pratica dalla politica, primo e eclatante esempio di una diseguaglianza sociale, dalla giustizia che sembra spesso cieca di fronte ai messaggi che giungono dall’Europa, essa offende in primo luogo le donne che sono le principali destinatarie, e purtroppo non le uniche, della violenza sessuale. L’uguaglianza non esiste nei fatti a causa, soprattutto, di una mentalità distorta, troppo spesso torbida, che in maggiore o minore misura sopravvive in molti di noi italiani, senza alcuna distinzione, poveri o ricchi, famosi e non famosi, anche nelle stesse vittime, anche nelle donne che continuano, lucidamente e coraggiosamente, a combatterla. Siccome questa distorta mentalità sopravvive, tutti dobbiamo vigilare con un’attenzione critica e autocritica continua, affinché non riaffiorino pregiudizi ancestrali molto pericolosi. Questo perché proprio i tanti tabù che avvolgono il sesso e che sono gli stessi che purtroppo incoraggiano gli inclini alla violenza, dissuadono le stesse vittime dall’esigere giustizia. E questo, in un paese civile, non è bene che accada.
E sbirciando in casa degli altri paesi europei scopro, non senza disgusto se pensiamo a quello che succede in Italia, che la questione oltre le Alpi viene affrontata con ben altre armi, con maggior forza, con più coraggio. In Francia la legge sulla violenza sessuale è stata modificata nel 1990: è perseguito come tale ogni atto di penetrazione sessuale di qualsiasi natura, commesso o tentato sulla persona altrui con violenza, costrizione, minaccia o sorpresa. La pena prevista va da un minimo di 10 anni ad un massimo di 20 (il doppio rispetto all’Italia), con la possibilità della reclusione a vita in caso di aggravanti o stupri di gruppo (proprio così, maggior forza contro lo stupro di gruppo, l’esatto contrario delle giustizia italiana dove la Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di stupro di gruppo il giudice non è più costretto a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell'indagato, ma può applicare misure cautelari alternative). In Belgio la legge, votata all’unanimità nel 1982, definisce lo stupro come un atto commesso su una persona in qualunque modo non consenziente. Non vi è l’obbligo della vittima di dimostrare che vi sono state minacce di morte e che si è opposta fortemente alla violenza, basta che dimostri che non vi era il consenso. La vittima ha il diritto all’anonimato e all’assistenza da parte dello Stato. In Spagna nel 1989 la legge sulla violenza sessuale inseriva quel tipo di reati tra i delitti contro la libertà sessuale e non, come in precedenza, contro l’onestà. Punisce il reato con una pena che va da un minimo di 12 ad un massimo di 30 anni. Per poter iniziare l’azione penale è sufficiente la denuncia della persona lesa oppure di un suo ascendente diretto, di un rappresentante legale o custode di fatto. Il successivo perdono della parte lesa non estingue l’azione penale. Chi viene riconosciuto colpevole deve anche risarcire le vittime. In Lussemburgo la legge distingue gli atti atti di libidine violenta dallo stupro e prevede condanne fino a 15 anni di reclusione, mentre in Irlanda, per questo genere di reato, è previsto l’ergastolo.
Sempre tornando con la mente ai casi di violenza sulle donne, i rapporti e le statistiche agghiaccianti provenienti dai rifugi e dai centri per le donne che subiscono violenza, ci fanno capire, prima di tutto, che abbiamo bisogno che la legge, i tribunali, riconoscano l’incitamento all’odio e la cultura della violenza su base di genere, cioè nei confronti delle donne in quanto tali.
Solo in Italia sono quasi sette milioni le donne vittime di violenza. Il 23,7% di loro ha subito violenze sessuali. Il 18,8% ha subito violenze fisiche. Il 4,8% ha subito stupri o tentati stupri. Il 18,8% ha subito comportamenti persecutori. Sette milioni di donne subiscono e continuano a subire violenza psicologica, non solo in passato, anche oggi, mentre scrivo questo articolo di denuncia.
E’ una questione tanto antica, quanto delicata e spinosa. Per le tante, ingiuste, violenze che le donne, i bimbi, gli adolescenti provano oggi si cerca un capro espiatorio. Ma proprio perché la violenza sui deboli non è un male moderno, al contrario presente solidamente nella tradizione e nella mentalità del passato, sarebbe bene prima di puntare il dito, in qualunque direzione, riflettere su questo. E non correre mai il rischio di lasciare in secondo piano la sofferenza di chi subisce violenza.
Come combattere lo stupro?
Non ho la bacchetta magica, non sono in grado di affermare con sicurezza quello che sia possibile e necessario per limitare il fenomeno, si parla inoltre di una attitudine diffusa a livello mondiale. Abbiamo anche visto che nonostante le pene inflitte, inclusa la carcerazione a vita e in alcuni Stati anche la pena di morte, a vari livelli e in varie nazioni non cambia di molto lo scenario mondiale, lo stupro e la violenza sulle donne e sui minori ci sono da sempre e probabilmente dovremo portarci questo fardello sulle spalle per i secoli a venire. La violenza non nasce solo da un impulso, i latini lo chiamarono raptus, nella lingua italiana un raptus è quando arriva un ordine incontrollabile al cervello, chi lo riceve colpisce e può colpire chiunque, senza distinzioni. La violenza nasce dalla premeditazione, dal voler sottomettere, dal soggiogare un altro essere ai nostri voleri. La cultura però permette questa inibizione, bisogna quindi entrare più in profondità nella psiche umana e studiare meglio i comportamenti. Cercare di ridurre certe manifestazioni che poi sfociano nell’atto violento, bestiale, uno stupro. Nel nostro Paese forse è possibile fare qualcosa di valido. Siamo da sempre un modello del diritto, al combattimento preferiamo il dialogo, ci siamo sempre battuti per far riconoscere i diritti dei più deboli - magari a parole e poi non nella pratica - ma le buone intenzioni ci sono, esistono. Quindi non vedo perchè non si possa partire da noi per cambiare i numeri e vederli drasticamente ridurre.
Questa proposta dunque nasce da una accurata analisi, dopo aver visto, letto e parlato con molta gente al proposito, ho elaborato una serie di azioni che potrebbero, nel lungo periodo, cambiare lo scenario, almeno in Italia, e fornire un esempio da seguire al resto del mondo, i risultati arriveranno col tempo e chissà che non si riesca a ridurre il tragico trend. Ecco dunque il mio “decalogo” applicabile subito, senza indugi, da criticare se volete, da modificare, pensate comunque che ogni allegerimento potrebbe venire a danno vostro e delle persone che vivono con voi.
1. La donna non è un oggetto, la donna non va considerata un nostro possedimento ma rappresenta, come disse uno famoso, l’altra metà del cielo, del nostro cielo. Non siamo soli su questa terra, condividiamo tutti, maschi e femmine una madre e un padre. Ma è la madre di cui stiamo parlando, una madre che ha prodotto una nuova vita attraverso la partecipazione e l’affetto di un uomo. Non nascondiamo questo aspetto, sappiamo tutti da dove veniamo, ne siamo consapevoli. Detta così sembrerebbe banale, la procreazione spiegata ai bimbi delle elementari. Ma non ci sono altri metodi efficaci per spiegare. È così e per fortuna non possiamo cambiare lo stato delle cose. La donna ha i nostri stessi diritti, le nostre stesse possibilità di esistere e condividere le risorse del pianeta come gli uomini, non perchè questo diritto le viene concesso ma perchè è acquisito al momento della nascita. Ognuno ha un compito su questo pianeta, uomini e donne li dividono equamente, mettiamocelo in testa.
2. Nuova legge contro le violazioni dei minori e delle donne, pene variabili da 15 a 30 anni, secondo la gravità per reati di aggressione, violenza e stupro perpetrati dai singoli. Aumento delle pene pari al 30% se nei confronti di minori. Le stesse pene ma a partire dai 12 anni e comunque fino a 30 se compiuti nell’ambito di un gruppo. Anche in questo caso aumento delle pene del 30% se i reati sono nei confronti dei minori. Piena applicazione delle pene senza sconti di legge, carcere in isolamento per tutta la durata della condanna, nessun allegerimento o riduzione della pena per buona condotta, eventualmente applicazione di tutti gli strumenti per aggravare legalmente la pena stessa. Ergastolo sia nei confronti dei singoli che del gruppo in caso di recidività. La nuova legge deve rendere obbligatorio il giudizio immediato (entro tre mesi) a carico di chi e' stato denunciato per violenza sessuale e deve vietare il giudizio di comparazione tra attenuanti e aggravanti in tutti i casi di violenza sessuale.
3. Derubricazione delle vittime per compartecipazione anche nei casi dubbi, la vittima è la parte offesa, non esistendo il consenso, non può esserci pena per lei. Alcune sentenze della Corte di Cassazione hanno sentenziato che certi atteggiamenti anche provocanti della donna sono all’origine della violenza, ciò è invece totalmente infondato, nello stupro c’è quasi sempre premeditazione, attraverso l’osservazione della vittima designata anche per lungo tempo, ricordiamoci che un buon 70% degli stupri, delle violenze che sfociano in uno stupro avvengono in seno all’ambiente famigliare. Che sia un amico, ex fidanzato, marito, fratello, padre o cugino. È irrilevante come la donna si vesta e come si possa comportare nel breve o medio periodo prima di subire l’aggressione è insignificante e non contribuisce a una accelerazione dell’aggressione stessa.
4. Semplificazione della procedura per denunciare una violenza, uno stupro. Per poter iniziare l’azione penale deve essere sufficiente la denuncia della persona lesa oppure di un suo ascendente diretto, di un rappresentante legale o custode di fatto. Il successivo perdono della parte lesa non estingue l’azione penale. Chi viene riconosciuto colpevole deve anche risarcire alle vittime il danno biologico, partendo da un minimo di €500,000 imposto per legge.
Ndr: qualcuno potrà ovviamente pensare che si tratta di una cifra esagerata ma non è così, non lo è. Chi subisce uno stupro porterà per sempre dentro di se i segni di quell’aggressione, sia a livello psicologico che fisico, molte vittime sono state costrette a abbandonare le famiglie, i figli, i luoghi dove abitavano. Molte hanno trovato rifugio in case e organizzazioni che le proteggono perchè troppo spesso la vittima viene giudicata allo stesso livello dell’aggressore, la gente tende a accomunare, a dividere la responsabilità in parti uguali fra aggressore e vittima. Un marchio indelebile per il resto dell’esistenza, forse la cifra minima non lo cancellerà però potrà servire a ricrearsi una esistenza lontano.
5. Sensibilizzazione dell’opinione pubblica e informazione, la promozione di attività di educazione, di prevenzione e di cura. Spesso le violenze o gli atteggiamenti violenti hanno origine all’interno delle famiglie, l’esposizione a questo nel lungo periodo porta l’uomo a identificarssi in essi e a comportarsi allo stesso modo nel corso della vita. Il figlio del ladro non significa che diventi un ladro a sua volta, ci sono però buone probabilità che succeda. Il figlio del mafioso abbiamo visto quanto sia facile che ripercorra le impronte paterne, questo perchè l’essere mafioso fa parte di una cultura, esserlo equivale a sentirsi più forti e invincibili, il poter sfidare le istituzioni porta a queste convinzioni, diventa una caccia al gatto con il topo e, purtroppo, in questi casi spesso vince il topo. Negli ultimi anni, in Italia abbiamo assistito ad una inversione delle situazioni, il gatto Stato è diventato più forte, il topo mafia (tutte le mafie italiche) ha perso credibilità, per dirla all’inglese ha perso appeal, è più debole e sta venendo meno il sostegno della gente, quella più ignorante, quegli individui che con l’omertà, la vigliaccheria e le paure delle conseguenze le sostenevano. Lo stesso sistema si può attuare per combattere la violenza nei confronti delle donne e in egual modo dei minori. Isolare gli aggressori, metterli nell’angolo, additarli, screditarli, rendere loro la vita pubblica difficile, metterli nella condizione di sentirsi vittime a loro volta, la gente li giudica e il giudizio è sempre di condanna, sia quelli conclamati, condannati, incarcerati, sia quelli potenzialmente in grado di produrre danno. Bisogna far capire che sono braccati, che non ci sarà mai pace finchè non saranno dietro le sbarre o non saranno stati annientati, ridotti a uno stato vegetale. Bisogna far capire tutto questo ai bimbi partendo dalle scuole, con tatto, con garbo, affinché imparino a discernere il bene dal male, a condannare gli stupratori e tutti quelli che compiono violenze, anche in famiglia, a denunciarli, fossero anche mamma e papà. Così si estirpa il male alla radice, serve tempo ma ci sono grandi possibilità di riuscita.
6. Non devono essere solo gli individui a modificare un modo di essere che favorisce la violenza, ma il cambiamento di politica deve essere attuato sia a livello famigliare che sociale. Certi modelli culturali vanno modificati, è impensabile e dannoso per chi ha minor controllo dei propri istinti sessuali vedersi praticamente sbattuti in faccia in ogni dove corpi di donne più o meno vestiti, sui siti internet, nei giornali, cartelloni stradali, pubblicità. Non dico che bisogna tornare a una cultura proibizionista, sarebbe la cura peggiore ma limitare certe manifestazioni che urtano la sensibilità è possibile. Un esempio, leggo spesso il sito di un telegiornale nazionale che da una decina di anni è anche su internet. La rubrica “culi e seni” in mostra - non si chiama così ma ci siamo capiti - continua a mostrare appunto donne in abiti discinti, a proporre servizi sul lato B migliore, a indagare nella vita delle donne, a inventarsi improbabili storie di avvenenti personaggi pubblici famosi, quasi come un voyeur, giustificando questo sotto il capppello della notorietà. È ora di finirla, non dico che sia necessario darci un taglio, di far sparire tutto il nudo femminile dai media, dico soltanto che un sito d’informazione dovrebbe limitarsi a fornire notizie, informazioni di carattere generale, cronaca, cronaca nera, politica, spettacolo e cultura, anche sportive ma non scendere nel volgare, nel gossip, nella messa in mostra di nudità più o meno velate solo per attirare visite dei soliti marpioni, per creare audience. Detto fra noi, il tormentone che da mesi continua a proposito dell’ex consigliera lombarda, francamente, ha rotto le palle.
7. Certezza della condanna. Per ogni 950 stupri solo 100 vengono denunciati. Di questi, solo 30 presunti stupratori finiscono davanti a un giudice e solamente in 10 casi si aprono le porte del carcere. I casi di falsa accusa sono soltanto 2. Su 950. Molti stupratori tornano liberi, non vengono incarcerati, non scontano la loro giusta pena. Si dirà che è colpa della solita giustizia all’italiana. Non è sempre così, la percentuale è applicabile a molti Paesi, sia europei che nel resto del mondo e prevalentemente occidentali. Spesso un buon avvocato risolve molti problemi, spesso il giudice non condanna secondo la legge ma utilizza un metro di giudizio molto maschilista, molto personale, spesso le prove fornite non sono abbastanza o il beneficio del dubbio si insinua nella mente di chi dovrebbe giudicare. Alla fine, alla vittima restano i problemi fisici, psicologici, l’emarginazione della gente soprattutto se il fatto avviene in aree culturalmente e socialmente degradate.
8. Bisogna ricordarsi che quando le ferite del corpo saranno rimarginate e apparentemente tutto sarà come prima, comincerà il momento più difficile e complicato per il pieno recupero di una donna violata. Il cammino per ritrovare fiducia in se stesse e negli altri sarà drammaticamente lungo. Perché lo stupro è uno di quei reati che coinvolge tutta la persona, il suo rapporto col corpo, la fiducia nel mondo. Molte persone, a torto, confondono lo stupro con il sesso, errore grossolano, in questo modo si colpevolizza la donna, socialmente viene portato avanti da secoli un’errata idea che, a proposito di sesso, la donna è colpevole sempre in qualsiasi frangente e situazione, tuttavia l'uomo può concedersi di tutto. Lo stupro, però, con il sesso non spartisce nulla. Chi stupra, chi violenta, non è mai interessato a ottenere il piacere fisico. Lo scopo è uno solo, è aberrante lo so, ma riguarda la volontà di imporre un essere umano a un altro essere umano. È tutta una questione di dominio, una conquista forzata, una dimostrazione di forza che culmina col pieno possesso del dominato, è un pensiero fisso «la voglio è mia, la possiedo con la forza, con ogni mezzo.» Il bisogno di prevalere supera ogni condizionamento, sfocia sempre nell’imposizione dellla violenza, del volere di un individuo. E quando succede che una donna soccombe alla cattiveria di chi è intenzionato a violarla per soddisfare le proprie voglie e sentirsi superiore, ecco che quella donna si spegne. Smette di essere ciò che era prima. Proprio perché non si tratta di sesso, ma di violenza. Psicologica, oltre che fisica.
9. Incrementare i Centri Antiviolenza, in Italia esiste un numero telefonico (1522) facilmente contattabile nel caso si subisca uno stupro, una violenza. È necessario il supporto di queste strutture, perchè come detto precedentemente, il 70% delle aggressioni avvengono nell’ambito familiare. Per questa ragione aiutare chi ha subito violenza è difficile, complesso. Bisogna anche incrementare e potenziare le altre strutture specializzate di assistenza alle vittime, spesso private, deve essere fondamentale, come già accaduto nel corso degli anni passati, la collaborazione tra le strutture sul territorio, sia che siano private, per esempio le case delle donne, che da sempre in Italia si sono occupate di accogliere ed aiutare le vittime di violenza domestica, sia pubbliche compresi gruppi di volontariato sociale disponibili a attivarsi immediatamente in relazione a questi temi e a portare all’attenzione dei cittadini attraverso informative nelle scuole, nelle chiese, in tutti i luoghi di lavoro e di riunione collettiva i temi rilevanti e utili alla prevenzione.
10. Le vittime inella maggioranza dei casi, sono costrette a lasciare il proprio ambiente, impossibile continuare a vivere negli stessi luoghi dove si è siluppata la violenza che non sempre sfocia in uno stupro ma si trascina in un tempo anche lungo. Una vittima di stupro va ascoltata, rispettando i suoi tempi, mai pressata a raccontare, la violenza in se genera confusione, per rimuovere in lei il triste ricordo è necessaria l’opera incessante di psicologi e specialisti che sappiano proporsi, mediatori dell’anima che siano in grado di restituirle fiducia, che credono al racconto della vittima. Dare giudizi diventa controproducente, va ripetuto sempre che che non esiste nessuna giustificazione alla violenza.
So che non sarà facile, ma se mai si inzia, mai ci si libererà da questo cancro che ci corrode dentro.
“La violenza contro le donne è forse la più vergognosa violazione dei diritti umani. E forse è la più diffusa. Non conosce confini geografici, culturali o di stato sociale. Finché continuerà, non potremo pretendere di realizzare un vero progresso verso l’eguaglianza, lo sviluppo e la pace”.
Kofi Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite“A World Free of Violence Women”Global Videoconference, 8 Marzo 1999, Nazioni Unite
Nota dell’autore: L’immagine, che come mia abitudine pongo all’inizio dei miei articoli, non rappresenta una donna e neppure un bambino in qualche modo protagonisti incolpevoli delle vicende qui narrate. I massmedia italiani hanno la pessima abitudine di inserire spesso l’immagine di una donna violata, un volto nascosto, un atteggiamento sottomesso, di paura, terrore, ansia, sgomento quando trattano, nei loro articoli, lo stupro. È sempre la donna a essere mostrata, mai l’uomo, mai il colpevole. Questa volta voglio controvertire questa abitudine che non condivido, la mia immagine rappresenta invece un uomo, indubbiamente si tratta di un’immagine violenta, dura, di quelle che non vorremmo mai vedere. Rappresenta il massimo castigo per chi, con svariate scuse, fa della propria violenza e desiderio una pratica di vita spesso impunibile. La figura tristemente appesa a un cartello autostradale era uno stupratore messicano, al secolo Eladio Martinez Cruz, evirato dai narcos e lì appeso per ricordare a tutti, casomai lo avessero dimenticato, la fine che si fa, che si dovrebbe fare, quando la violenza coinvolge donne e bambini, quando, per soddisfare propri bisogni sessuali si usano gli altri attraverso un uso continuato della violenza per soddisfarli. Anche se non vogliono condividere, anche se sono indifesi, soprattutto se sono innocenti. Che serva di lezione.