<bgsound loop='infinite' src='https://soundcloud.com/sergio-balacco/misty'></bgsound>

pagine

2013/05/06

Ruzzle Mania

Impossibile non averlo notato. È il rompicapo del momento e milioni di appassionati in 50 Paesi hanno già sviluppato una dipendenza da App. Sto parlando di Ruzzle, il gioco ideato da alcuni genialacci ragazzotti svedesi della Mag Interactive che ha fatto il vuoto fra le apps degli smartphones che sta avviandosi a diventare la mania, anzi il gioco mania del 2013. 

Ma cosa è in effetti il ruzzle?


Sembrerebbe più facile dire cosa non è, per esempio non è una disciplina sportiva, intesa come un'attività che esercita i muscoli, fa bruciare le calorie e rafforza lo spirito di squadra. E non è nemmeno una materia da studiare sui banchi di scuola ne tantomeno una disciplina professionale anche se chi l'ha inventata ha sicuramente saputo capitalizzare il frutto della propria conoscenza. 

È uno dei giochi più popolari del momento. Per giocare a Ruzzle non servono campi da prenotare o amici con cui fissare la partita. Bastano uno smartphone con connessione a internet e un avversario che può trovarsi pure dall’altra parte del mondo, che sarà indicato casualmente dal sistema informatico oppure da scegliere tra gli amici di Facebook. 

In principio era Il paroliere, poi diventato Scarabeo traducendo nella lingua di Dante lo Scrabble anglosassone. Questi erano due giochi da tavola, al tempo lo smartphone non si sapeva nemmeno cosa fosse, che tramite lettere casuali, richiedevano di comporre parole di senso compiuto il più lunghe possibile. Lo stesso principio si applica al Ruzzle, tutto è tuttavia trasferito sullo smartphone, rigorosamente touch meglio se retina display per aumentare la sensibilità del movimento, occorre trascinare il dito sul touch screen per due minuti e tre manche e totalizzare il punteggio più alto. 

Semplice? Nemmeno tanto. 

Intanto riuscire a vincere non è affatto facile, come in tutte le nuove attività che siano giochi che lavoro, serve la pratica. Il giochino per fortuna ha una opzione pratica che ci permette di giocare contro noi stessi senza mettere a rischio il punteggio e memorizzare le parole che maggiormente producono punti. Ora non vorrei dilungarmi sul come e perché si accumulano punti, per quello ci sono decine di siti internet che spiegano per filo e per segno ogni dettaglio del gioco fino a farci scoprire ogni e più recondito sistema legale per far punti. No, io vorrei parlare del giochino in se stesso inteso come strumento per distrarre la mente dai mille pensieri quotidiani che ci attanagliano primo fra tutti quello di come fare per arrivare alla fine del mese col misero stipendio al netto delle tasse che riusciamo a guadagnare. 

Un dato su tutti. Le combinazioni possibili, considerando che le lettere dell’alfabeto sono 26 e quelle a disposizione sono 16 sono tante, ben 5,311,735 ma non spaventatevi. Non è che in ognuna delle schermate vi ritroviate a dover indovinare oltre 5 milioni di combinazioni. No, per fortuna no. Il numero delle combinazioni possibili viene indicato dal giochino a fine partita e, di solito, non supera le 500 combinazioni per schermata. 

Ogni minuto libero diventa buono per cucire insieme lettere in versione “touch”. Addirittura, a dispetto del fair play, qualcuno ha già iniziato a barare: ultimamente spopolano le Apps create per risolvere in modo automatico qualsiasi schema proposto dal gioco. La vittoria è assicurata, ma che divertimento c’è? 

Qui entro in gioco io, non nel gioco in se stesso ma in una ponderata analisi della situazione. La dipendenza da gioco, in questo caso la Ruzzlemania potrebbe, se non abbiamo abbastanza carattere per non rimanere invischiati nel meccanismo perverso, portare gli individui che lo praticano di continuo verso una pericolosa dipendenza ne più ne meno come quella da gioco d’azzardo e scommesse per non parlare di droghe varie e il discorso sarebbe lungo, sfiorando la dipendenza dall’alcool, dalle droghe leggere e pesanti e via via attraverso una perversa spirale che porta gli individui che ne sono affatti verso una rapida e dolorosa fine. 

La Ruzzle Mania, se configurata dall’individuo che ne è schiavo, potrebbe diventare patologica e viene considerata come una vera e propria forma di “dipendenza senza droga”. Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali propone diversi criteri diagnostici per il "comportamento maladattivo legato al gioco d'azzardo" considerando che se sono presenti almeno 4 dei sintomi la dipendenza è conclamata e conviene rivolgersi a uno specialista prima che sia troppo tardi. In genere se vi sentite coinvolti in modo sempre crescente nel gioco, per esempio, se vi trovate continuamente a rivivere le esperienze trascorse di gioco, a valutare o pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare sistemi leciti o illeciti per vincere, se cercate di raggiungere un esagerato stato di eccitazione durante il gioco, se l’irrequietezza e l’irritabilità quando tentate di smettere diventano preda di voi stessi, se ricorrete al gioco come una fuga dai problemi o come conforto al senso di disperazione, di colpa, ansia, depressione; se mentite con gli amici della vostra situzione di dipendenza se infine compite azioni illegali per vincere sempre, se mettete a rischio o addirittura perdete una relazione importante, un lavoro, un'opportunità di formazione o di carriera a causa del gioco e se infine reiterati e inutili sforzi di tenere sotto controllo l'attività di gioco, di ridurla o di smettere di giocare non hanno ottenuto successo allora vuol dire che siete diventati schiavi del gioco in se stesso, siete in dipendenza e uscirne non potrebbe essere affatto facile. 

L’allarme sociale sulle problematiche legate al gioco riflette la diffusa percezione della crescente gravità del problema. Qual è la relazione tra gioco ed azzardo? Siamo sicuri che l’essere dipendenti di un gioco forse anche innocente come il Ruzzle non sia l’anticamera per diventare schiavi di ben altri giochi, che illudono di vincere, che facciano pendere la bilancia virtuale di riferimento più evidente (anche se non esclusiva) verso i giochi nei quali la componente casuale è preponderante? L’aleatorietà, cioè l’incertezza sull’esito, permette la scommessa, la scommessa determina la vincita o la perdita, vincite e perdite possono rinforzare o indebolire il desiderio di scommettere nuovamente. 

Il giocatore diviene preda di un sintomo compulsivo, egli evidenzia una progressiva perdita della capacità di porre dei limiti al coinvolgimento nel gioco, potrebbe anche subire perdite economiche frequenti e sempre più vistose, assorbimento sempre più esclusivo nell’attività di gioco. La dipendenza da Ruzzle è solo il primo passo, esattamente come succede per le droghe leggere, quando si comincia a consumarle il passo successivo sono quelle pesanti e sempre più avanti alla ricerca di una soddisfazione interiore anche ludica che porterà coloro che diventano dipendenti cronici a situazioni psicotiche  con la perdita dell’esame di realtà fra i primi rischievidenti come giocare sempre e comunque anche in casi estremi quando il gioco stesso diventa dannoso nell’immediato, per esempio giocare mentre si guida un’auto. 

Diventare schiavi del gioco in tutte le sue forme, dal più innocente apparentemente come il Ruzzle fino ai giochi onerosi come le scommesse varie porta i soggetti a non considerare deleteri fenomeni quali la richiesta continua di prestiti, la scarsa attenzione o il disinteresse per le attività lavorative, di studio, professionali, sportive. 

È realmente questo che volevate quando avete iniziato a giocare a Ruzzle? Siete consapevoli dei rischi che state correndo? 

PS. Io gioco a Ruzzle mediamente una o due volte al giorno, adesso che lavoro all'estero, lontano da casa, quando rientro in albergo per distrarmi, nei weekend per la stessa ragione. Potrei essere a rischio? Potrei ma non è il mio caso, sono già arrivato a quella fase, abbastanza comune per quello che mi riguarda, di rigetto del gioco stesso. Una forma idiosincrasica di noia da gioco, che si manifesta dopo un certo periodo. Se prima giocavo dieci partite al giorno oggi ne gioco due, arriverò a giocarne una sola e probabilmente la voglia e l'interesse se ne andranno a cercare altri giochi maggiormente stimolanti o riempitivi di quel tempo libero che ho in relativa abbondanza quando il mio lavoro, come adesso, si svolge lontano dalla famiglia. 
Non ponete il gioco avanti a tutto, ricordatevi che prima esiste la famiglia, il lavoro, gli affetti, i divertimenti all'aria aperta, lo sport e molto altro ancora. Non dimenticatevelo.

2013/05/04

Il Giardino di Ninfa


Questo articolo, oltre a voler essere un'ode alla bellezza della natura, la natura verde e rigogliosa di un giardino curato dall'uomo, intende mettere in mostra le capacità di un amico che è anche fotografo. Lui, Patrizio Severini, è un fotografo di quelli di una volta, di quelli che esprimono la propria carica interiore con le immagini.
E' per me un onore mostrare i suoi scatti al Giardino di Ninfa. 

La storia del Giardino di Ninfa

Il Giardino di Ninfa custodisce le rovine di una città medievale, incendiata e saccheggiata più volte e poi abbandonata dai suoi abitanti. Oggi, intorno alle rive di un laghetto, sono rimasti i ruderi di un borgo fantasma, con le sue mura, le torri, le chiese e le abitazioni. Nel 1920 il principe Gelasio Caetani decise di bonificare questa proprietà, con l'intento di realizzare lo splendido giardino che ancora oggi si ammira. La sua opera fu proseguita da donna Lelia, ultima esponente della famiglia, che sistemò questo splendido parco romantico, ricco di specie esotiche e ornato da fantasiosi giochi d'acqua. Nel 1977, alla sua morte, Ninfa fu donata alla fondazione Roffredo Caetani.
Nel giardino si possono ammirare meli, ciliegi e magnolie.

Seppur nel territorio del Comune di Cisterna di Latina, Ninfa è strettamente legata alla storia della Famiglia Caetani e quindi a Norma e Sermoneta.

Ai margini della via Pedemontana Volsca che collegava Roma con il sud del Lazio, proprio sotto la rupe di Norma, al lato di un limpido laghetto formato dalle acqui del fiume Ninfeo, nel VII secolo d.C. si insediò un modesto nucleo di abitanti che avevano abitato la diruta Norba.

Nel 741 l'imperatore Costantino Copronimo donò al papa Zaccaria , Ninfa e Norma. Nel IX Secolo Ninfa fu in possesso dei Conti di Tuscolo e solo nel 1085 entrò a far parte dei possedimenti della Santa sede.

Nel 1159, proprio a Ninfa, Rolando Bandinelli venne incoronato Papa con il nome di Alessandro III nella chiesa di Santa Maria Maggiore, di cui restano le rovine.

La cittadina fu in possesso dei Frangiapane, degli Annibali, Ma Ninfa raggiunse l'apice a partire dal 1297 con Pietro Caetani, nipote di Bonifacio VIII, il quale incentivò sia l'attività edilizia che commerciale: i Caetani infatti la potenziarono con la costruzione di ben sette Chiese, oltre 150 abitazioni, due mulini per cereali, mura di cinta, il palazzo con una robusta torre.

Le fortune di Ninfa durarono fino al febbraio del 1382; in quell'anno travolta da lotte fratricide fu totalmente distrutta e non fu mai ricostruita. La malaria fece il resto disperdendo i pochi contadini rimasti sul posto. Ormai esisteva solo nel ricordo, tanto che nell'Ottocento veniva definita come la "Pompei del Medioevo" (Gregorovius).

Nel 1921 ci fu la svolta grazie a Gelasio Caetani, il quale iniziò la bonifica della zona e il restauro dei ruderi (e in particolare della torre del Municipio), avviando inoltre un recupero botanico attraverso la piantumazione di specie diverse sotto la guida della madre Aba Wilbraham Caetani.

L'opera fu poi continuata dal fratello Roffredo, dalla moglie di quest'ultimo, Marguerite Chapin Caetani e dalla figlia Lelia Caetani Howard. Il giardino è quindi il risultato di amorose cure e geniali interventi botanici indubbiamente favoriti da una microclima: il sito di Ninfa è infatti protetto a Nord dalla sovrastante rupe di Norma, mentre il fiume che ha qui la sua origine funge da regolatore termico.

Sono infatti migliaia di piante che ormai hanno attecchito e seguono un tranquillo ciclo vitale, sotto la guida di esterti tecnici e botanici. Insieme ai nostri ontani, salici, pioppi, olivi, querce, aranci, limoni, melograni, crescono l'azzurro "ceanothus" californiano, i grandi aceri nipponici, le betulle boreali, l'albero dei tulipani, l'acero dello zucchero, magnifici bambù, la splendida Gunnera manicata, i ciliegi cinesi, la calla etiopica.

Le fotografie di Patrizio Severini














I giardini di Ninfa sono aperti al pubblico il primo sabato e domenica del mese da aprile a ottobre. Per informazioni contattare: Tel: 0773-632231 
Orario di apertura: 09.00 - 12.00 / 14.30 - 18.00 
Luglio Agosto e Settembre : apertura dalle 9.00 alle 12.00 - dalle 15.00 alle 18.30

2013/05/01

E se fosse amore?



Quale amore dovrebbe essere se fosse? 

Troppo facile parlare d'amore. Tutti pensano che l'amore possa risolvere i problemi di questo mondo dove molti, ma non tutti, soffrono, in particolar modo gli italiani che, a leggere le loro storie sui vari social forums, stanno già con l'acqua alla gola, annaspando come disperati alla ricerca di una soluzione, qualsiasi essa sia, per restare a galla, per sopravvivere, e si attaccano anche all'amore per trovare lo stimolo giusto che permette di sopravvivere.

No, non parlo di quell'amore di forma opportunistica, io appoggio te e tu appoggi me e stiamo a galla in questo mare di molle e maleodorante liquido fecale che viene sparso teoricamente a grandi mani dai nostri indefessi politici ma che, in effetti deriva da noi stessi, da quello che abbiamo seminato negli anni passati e adesso tragicomicamente arrivato al pettine come un nodo.

La cicala canta l'estate e la formica lavora per cui l'inverno la formica gode e la cicala muore? No signori miei, stiamo parlando di differenti specie d'insetti, la cicala è destinata a una breve e intensa vita, orientata a tramandare la specie di musicali consaguinei che rallegrano il sottobosco. La formica invece tiene famiglia, molto numerosa, è amore, ma anche dedizione, quel sentimento che le permette di seguire giorno dopo giorno gli stessi passi, le stesse azioni per portare cibo alla comunità affinché tutti sopravvivano in armonia e senza calpestarsi i piedi l'un l'altro. 

E non ditemi che la formica, poverina, è una schiava della regina perchè potrebbe tranquillamente sgusciar via quando meno se lo aspettano per fare che poi non si sa, ma l'importante è l'amore, per se stessi in quel caso.

No, non parlo di questo amore, parlo invece di quello sublime, superiore, sopra ogni cosa per il quale gioisce l'anima e non solo quella. Quell'amore che ci permette di affrontare le prove più difficili e dure che la vita ci riserva prendendola, non dico sul ridere, ma almeno senza metterci a piangere e versare lacrime a scrosci che pare l'Arno nella piena del ‘65.

L'amore a tratti, fermi e decisi, l'amore a linea continua ma con qualche interruzione, per prendere fiato, l'amore che lega indissolubilmente un padre, non già una madre che d'amore ci deve vivere per forza, col proprio figlio.

Che un atto d'amore dice che il figlio è di tale padre e per quello che l'ama salvo poi verificare il dna e scoprire che non è ma.... Ma benvenga l'amore che passa sopra ogni cosa, anche sopra un paio di elicoidali filamenti che dicono tutto e non dicono niente.

Che poi amore diceva qualcuno che deve essere per sempre. E come fai a definire che è per sempre? Si comincia e non si sa quando finisce se finisce o forse si pensa che sia iniziata quella storia d’amore da perderci la testa per poi scoprire che era un calesse come un film del caro Nuti che col calesse è pure andato fuori di testa?

Il mio amore, vorrei dire, l’amore come lo intendo io deve essere casto e puro, suvvia, virtualmente, l’amore non si intende sempre quello fra un uomo e una donna, è amore come detto prima quello del padre col figliuolo ma anche del figliuolo col gatto cane o ranocchio, magari corrisposto a metà, magari solo frainteso ma c’è dedizione e comprensione e questo deve riempire i cuori e pensare che finché c’è amore esiste anche la speranza che tutto possa migliorare. 

Amore è dedizione, amore è anche arrendersi all'evidenza dei fatti, delle situazioni, della consapevolezza che tutto possa cambiare, in meglio o in peggio non è dato saperlo, in una forma che a noi è congeniale in un modo che si possa convivere con esso e arrivare a apprezzarlo, non bollire di rabbia e fastidio ma gioirne. L’amore è quello che avviene dopo l’irruzione casuale e sconvolgente nella nostra vita di un individuo, di un oggetto, di un pensiero reale o virtuale,  l'espressione di un concetto filosofico una casualità assoluta di un incontro fra due entità che si tramuta in un aspetto di un destino inatteso.

Io amo perchè sono vivo o amo per non morire. Non fraintendetemi, io amo, d'accordo.
E se amassi un calesse, torniamo a questo calesse di nutiana memoria, potrei esser giudicato pazzo? Per quale inverecondo motivo dovrei amare un calesse che non corrisponde se non con le sensazioni che io provo per lui, il calesse? Allora non  è amore ma reciproco interesse a convivere (ditemi poi come si fa) con un calesse che non parla, non ride, non piange e meno male, non mangia neppure.

Io amo il mondo, la vita, la famiglia e i figli, il mio lavoro e i sogni, i desideri inconfessabili e quelli che confesso, amo l'aria che respiro anche se mi avvelena giorno dopo giorno, amo l'acqua e la terra, amo il fumo dell'arrosto, amo il tuono e la tempesta, la pioggia e la neve e non odio nessuno. 

E' dunque amore?




Myanmar, ritorno nel paradiso.


Ottanta fotografie scattate in Myanmar, un terra affascinante e unica, poco o niente raccontata e riprodotta. La grandiosita' della Shwedagon Paya di Yangon con la sua cupola dorata alta 100 metri che racchiude all'interno una ciocca di capelli di Buddha. La fierezza delle donne e degli uomini dello Stato Shan che aspirano, come altri gruppi etnici presenti nel Paese, all'indipendenza. Il lago Inle con i suoi villaggi costruiti su palafitte, gli orti galleggianti, i pescatori di etnia Intha, la "foresta" di stupa di Indain. Le antiche capitali Amarapura, Ava e Mingun adagiate lungo le sponde dell' Irrawaddy, nel distretto di Mandalay. La valle di Bagan costellata da migliaia di stupa, un luogo senza tempo dove il moderno non e' mai arrivato. Le maestose Ananda, Shwe Sandaw, Shwezingon e Sulamani pagoda, la dorata Bu paya, e le centinaia di templi di tutte le dimensioni che celebrano ogni giorno la gloria di Buddha. Ma il Myanmar e' anche un paese al cui popolo manca il bene piu' prezioso: la libertà. Una giunta militare ha oppresso per anni la sua gente e ancora tenta di dominare, assimilare e sfruttare i gruppi etnici presenti nel paese. Le foto di questa galleria sono dedicate al premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia, per anni privata della sua libertà e eletta al parlamento del proprio paese aspettando il ritorno alla vita dell'ex Birmania, terra di misteri e di fascinoso oriente.


























2013/04/24

Il mio bambino



Il mio bambino

Tu sei la gioia della mia vita.
Tu sei il sorriso della mia anima.
Tu sei Amore puro.
Più di quanto potrai mai conoscere.
Tu sei la mia benedizione di Dio.
Tu sei il mio dono dall'alto.
Tu sei la mia prova di lui.
Tu sei la sua grazia e amore.

2013/04/21

In nome del Popolo Sovrano


Anche se il titolo pare richiamare l'omonimo film qui non si parla di films ma di questioni serie.

L'ispirazione per scrivere questo articolo mi è venuta dopo che ho letto le motivaioni del popolo bahrainita che manifestava contro il governo oligarchico degli sceicchi che governano la piccola isola Stato. Nel 2011 sull’onda dei grandi moti di rinnovamento che stavano prendendo piede nel mondo arabo, anche i cittadini del Bahrain scendevano in piazza per chiedere maggiore democrazia e rispetto dei diritti umani e civili. L’assenza di una concreta risposta del governo alla richiesta di riforme sociali e civili spinse la protesta a concretizzarsi nella grande manifestazione a Pearl Square. Le domande dei manifestanti erano precise: scioglimento dell’Assemblea nazionale, rilascio degli oppositori e attivisti incarcerati, abrogazione della Costituzione del 2002, restrizioni al potere che la famiglia reale detiene all’interno del Governo, eleggibilità del Primo Ministro, indipendenza dei giudici, libertà di espressione e di stampa. Condivisione delle ricchezze del paese e degli introiti che da esse derivano con tutto il popolo e non con la sola classe al potere. L’aumento della ricchezza non ha avuto, però, una sufficiente distribuzione all’interno della società e ha finito per privilegiare esclusivamente il settore privato –in particolar modo nei servizi finanziari e nell’immobiliare– finendo per generare malcontento diffuso nella società. Il sit-in pacifico dei manifestanti venne disperso da un violento raid notturno delle forze di sicurezza che lasciò a terra numerose vittime e diede inizio alla lunga serie di scontri. 

Per tappare qualche falla del proprio sistemala classe regnante fu costretta a approntare un sistema di welfare  teso a mantenere la calma nelle varie fasce della popolazione utilizzando la grande ricchezza data dallo sfruttamento delle risorse del sottosuolo. Un esempio di tale politica fu la devoluzione di un contributo una tantum agli abitanti all’inizio dei disordini per ristabilire la tranquillità all’interno della popolazione. Probabilmente non bastava.

Una nazione è costituita principalmente dal territorio ove la nazione esiste e dal popolo che forma quella nazione stessa. L’Italia ante 1861 era formata da piccoli o grandi Regni e Monarchie, dallo Stato Pontificio, Ducati e Gran Ducati. L’Italia come nazione non esisteva ancora, ciò non di meno era abitata da un popolo che si sentiva coeso, facente parte della stessa “razza” italica. Presto o tardi, era implicito, si sarebbe trovata la via per unirsi in un unica grande nazione.
Fu il popolo a volere, a desiderare che si trovasse la via dell’unione, fu Garibaldi e Mazzini e gli altri carbonari e no insieme ai Savoia che attuarono questa volontà popolare per far nascere una nazione, senza il popolo i suddetti personaggi avrebbero tuttalpiù organizzato un torneo di briscola.  

Il popolo dunque è sempre sovrano. La nazione esiste perché esiste il popolo e non viceversa. Gli stessi politici non sono altro che parte del popolo che si eleva a rappresentate di questo e ne esplicita i voleri senza arrogarsi alcun diritto accessorio che non sia l’espressione della volontà popolare. Mettersi sotto i piedi la volontà popolare, anche se si ha ricevuto un mandato dal popolo a essere rappresentato, altresì induce il popolo a non accettare le scelte dei propri rappresentanti e a rigettarne i modi e le scelte. Diviene evidente, spiegandolo in parole povere che se io esprimo la mia preferenza per un partito piuttosto di un altro attraverso il voto, le mie motivazioni della scelta non sono semplicemente campate in aria ma si devono adeguare perlomeno a un programma che quel partito politico o rappresentante dello stesso ha prodotto prima che potessi avvalermi del suffragio universale, cioè del mio diritto di voto.

Se tu politico mi convinci in campagna elettorale che farai di tutto per cambiare lo status della casta politica al potere, che abolirai alcune tasse che a me danno fastidio, che mi rimborserai le tasse ingiustamente pagate, che agirai secondo un preciso programma non puoi venirmi a dire una volta eletto che gli equilibri sono cambiati e il tuo programma elettorale va modificato magari togliendomi dei diritti o le aspettative che io, elettore, chiedevo a te delegato a rappresentarmi. 

Sono io che comando non tu. Sono io che decido come e dove tu devi agire e non tu, io attraverso quel programma che tu mi hai fornito e che io, con il mio voto, ho sottoscritto. Un patto silenzioso fra me e te per il rispetto della nostra legge e quella generale in favore del nostro paese, tutto il resto è aria fritta, buono solo a produrre chiacchiericcio domenicale come le comari davanti alla chiesa alla messa delle undici e mezza. 

L’Italia è l’unico paese dell’Europa allargata il cui popolo subisce le scelte della propria classe politica, mentre non riesce a imporre le proprie scelte con il risultato che il malcontento è sempre presente in qualsiasi discorso a cominciare dal clima fino allo sport. 

Il popolo è sovrano dunque? No, non è sovrano, non esercita la propria sovranità come è previsto nella costituzione. Una domanda logica sarebbe: ma che c’è scritto nella Costituzione?   

L'articolo 1 recita :"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione."

Non sono un giurista o uno studioso di diritto, vorrei provare comunque a specificare il significato intrinseco e politico di quest'articolo. Innanzitutto partirei dal concetto che l'Italia è una repubblica democratica. Ciò significa che i nostri rappresentanti vengono eletti e che, proprio per questo motivo, non è possibile ricoprire ruoli per ereditarietà e, soprattutto, non è possibile che la carica sia vitalizia ma limitata ad un tempo fissato dalla legge. 

Ma la nostra Repubblica non è più, da parecchi anni, rappresentativa della sua popolazione, anzi risulta essere più simile ad un consiglio d'amministrazione di un grande gruppo aziendale per il cui controllo si azzuffanno centri di potere che manovrano i loro azionisti (tifosi) promettendo chissà quali cambiamenti o piani di rilancio aziendale. I nostri governanti hanno dimenticato di aver redatto la peggior legge elettorale della nostra storia che ha sottratto, di fatto, al popolo sovrano tanto decantato, la possibilità di scegliere con una preferenza personale il proprio rappresentante parlamentare. 

Questi abili falchi della politica hanno sudolamente impasticcato i propri concittadini con le loro strategie di marketing ideologico, che sanno più di reclame che di altro, che sanno più di evanescente che di concreto, e hanno messo su una legge ingiusta che permette loro di designare i rappresentanti parlamentari semplicemente inserendoli al posto giusto e nel collegio giusto. Così per loro il popolo sovrano per finta è diventato un'idea pubblicitaria, un ideale di plastica che ricorda ahimè infausti periodi della nostra recente storia e la nostra res pubblica non è più una cosa di tutti ma solo una cosa di qualcuno che si nutre esclusivamente del potere che è stato lui affidato.

E non pensiate che appartenere concettualmente a una democrazia abbia un significato per qualcuno e una serie di veri da rispettare per qualcun altro. Intanto democrazia non significa nulla. E’ solo una parola vuota, usata come specchietto per le allodole. Se davvero volesse dire qualcosa, allora il popolo sarebbe sovrano. Si dovrebbero designare direttamente i rappresentanti del popolo e mandarli in Parlamento, invece di essere costretti a scegliere fra quelli indicati dai partiti. 

L'articolo 1 allora andrebbe riformulato così: 
"L’Italia è un paese demagogico fondato sull’ignoranza e sull’incapacità di reagire del suo popolo."

Un popolo che non si accorge neppure che i propri diritti fondamentali vengono violati tutti i giorni. Un popolo che non alza la testa. Un popolo che assiste distratto e svogliato allo spettacolo offerto da una classe dirigente peggiore dei cittadini che si arroga il diritto di rappresentare. 
Un popolo morto, in attesa di essere sepolto insieme alla Carta Costituzionale che altri uomini, con la schiena più dritta, con le palle grosse come macigni, hanno preteso e ottenuto, affinchè noi, i figli che avevano in mente, la difendessimo con le unghie e con i denti, insieme a quella libertà cui abbiamo abdicato in nome delle televisioni al plasma e dell’abolizione dell’ICI per beccarci poi l'IMU che e' peggio. 

Un popolo disposto a barattare la sua dignità con il senso del ridicolo, che esulta se il tiranno che lo giostra compra una casa, l’ennesima, per sè e per i suoi cortigiani, anziché pretendere una più equa redistribuzione della ricchezza che non veda il 95% della popolazione schiacciata da un 5% di super-individui che divorano ogni risorsa e prospera a discapito di intere piantagioni di esseri umani, cui non resta che gioire per il letame che generosamente gli viene elargito. Un popolo che dimentica di avere firmato, a centinaia di migliaia, per un disegno di legge di iniziativa popolare, per chiedere almeno una parvenza di legalità, per chiedere se non altro di potersi continuare a illudere di vivere in una democrazia, impedendo perlomeno ai condannati, a chi ha dimostrato di non avere rispetto per le leggi, di farsele su misura. 

Un popolo complice di un Parlamento che accatasta 350 mila firme come scartoffie senza valore sugli scaffali impolverati delle cantine del Senato, mentre il Senato stesso è occupato da briganti che si permettono di dichiarare che della politica non gli importa nulla, perché sono lì soltanto per non andare in galera. Un popolo come e peggio delle cricche che lo governano, a cui non importa di niente se non del Suv, del Rolex, della settimana bianca, delle scarpe trendy, degli occhiali firmati, dell’ultimo modello di smartphone, della scheda grafica per il pc, di contendere al vicino di casa un metro in più nel vialetto di accesso al villino a schiera, di conoscere le persone giuste per saltare la coda in Comune, al concorso abilitante, in ospedale, all’ufficio di collocamento, di fottere un appalto facendo a gara chi fa i regali più costosi all’appaltatore, di organizzare festini al solo scopo di vantarsi degli invitati, magari contendendosi la presenza di un’oca che guadagna ventimila euro a foto solo grazie al suo chirurgo plastico, di un ragazzotto dalle cosce grosse che guadagna trentamila euro al giorno solo perché tira calci ad un pallone, mentre il mondo va a puttane come e peggio di berlusconi e tutti a salvarlo di giorno su internet ma solo fino a quando non è il momento di stapparsi una birra sul divano, la sera davanti alla Champions League.

In Svizzera i disegni di legge di iniziativa popolare sono una cosa seria. In Svizzera il Parlamento fa le leggi e se alla gente non piacciono, la gente alza il dito medio e le fa abrogare. Qui il dito medio lo alzano i ministri, dopo avere bruciato la bandiera e offeso l’inno nazionale. Qui la gente firma, e con quelle stesse firme al Senato ci fanno i rotoli di carta igienica per il culo di Bersani, di Berlusconi, Monti e di Napolitano. L’Italia del popolo sovrano s’è desta, ma si è riassopita subito dopo.

Bisognerebbe cambiare queste leggi che ci opprimono, bisognerebbe che non fosse più possibile vedere le stesse facce finché morte non le elimini dal parlamento, sarebbe auspicabile che nessun cittadino italiano possa candidarsi in Parlamento se condannato in via definitiva, o in primo e secondo grado in attesa di giudizio finale. Che nessun cittadino italiano possa essere eletto in Parlamento per più di due legislature. La regola dovrebbe essere applicata subito e essere valida retroattivamente. I candidati al Parlamento devono essere votati dai cittadini con la preferenza diretta.

Forse io ci sarò, ma l’importante è che ci siate voi, perché io sono uno e non conto niente: voi siete il popolo sovrano.

2013/04/20

Stefano Rodotà, il Presidente del Popolo (una occasione mancata)


La notizia è di pochi minuti fa: il dodicesimo Presidente eletto della Repubblica Italiana è Stefano Rodotà. 

Avremmo voluto disperatamente lui, l'abbiamo proposto sul web, ovunque si potesse esprimere il nostro parere. Ancora una volta la politica avulsa da ogni criterio logico ha vinto votando per un candidato che nessuno sa se mai arriverà alla fine del mandato. 

Il nuovo presidente è Giorgio Napolitano, una minestra riscaldata, una storia ormai vecchia e sepolta, lo sfascio di un Paese che credeva di entrare di diritto nel G8 e invece nemmeno entra nella credibilità della gente, delle istituzioni, una ruota di scorta per non perdere quel contatto con il popolo che non esiste più. Peccato, una grande occasione persa.

Non scrivo di Napolitano, lo conosciamo tutti, scrivo di Stefano Rodotà e di quella grande occasione che la politica italiana non ha saputo cogliere al volo per creare un pizzico di credibilità.

Questo il pezzo che avevo scritto per Rodotà Presidente, avevo un sogno, ora terribilmente infranto.

"Non si tratta di una novità beninteso, in queste ore l'avevamo capito tutti che sarebbe stato il suo nome quello da eleggere, nonostante le critiche della destra, nonostante la poca convergenza della sinistra, nonostante la paura che la sua elezione avrebbe provocato squilibri importanti all'interno del suo stesso partito di provenienza, il PD che in queste ore di passione ha mostrato tutta la propria incoerenza e disorganizzazione a gestire la nazione. Se ne ricordino gli elettori quando saranno costretti a vitare nuovamente a breve, molto vicino nel tempo, perché è evidente che questa sinistra che non è stata capace di formare un governo non è stata capace nemmeno di presentare un nome condiviso dalle parti per l’elezione del Presidente della Repubblica, il rappresentante e garante supremo di questo Paese."

Stefano Rodotà tuttavia rappresenta una novità eclatante, per la prima volta, anche se indirettamente, egli sarebbe stato il primo Presidente eletto per volontà del Popolo Sovrano. 

Non siamo ancora all'elezione diretta del Presidente, ci arriveremo con il tempo. Per ora accontentiamoci di quello che sono riusciti a proporre e imporre in parlamento Beppe grillo e il suo M5S e, già che ci siamo, parliamo del Movimento 5 Stelle, il movimento politico voluto da Beppe Grillo, comico d’antan, politico d’adozione che ha saputo muovere le masse contro lo stato politico attuale, per rovesciarlo, per rimandare tutti a casa, per cambiare l’incambiabile, l’imputrescibile, il marcio che aleggia da sempre sulla politica italiana. Aria nuova si dirà, aria nuova si dice.
Sono state le Quirinarie, una sorta di votazione online voluta dal Beppe nazionale a decidere chi doveva essere l’eletto. Rodotà non era il primo nella classifica, prima di lui Gabbanelli e Gino Strada ma, entrambi, hanno preferito farsi da parte. Diventare Presidente della Repubblica è una cosa seria, non si tratta di un incarico adatto a tutti, entrambi se ne rendevano conto. Stefano Rodotà come terzo in classifica è quindi diventato il primo eleggibile, il primo eletto dal popolo.
Una prima assoluta per chi vorrà finalmente metter mano alla costituzione e cambiare le regole per l’elezione del presidente che deve essere eletto dal popolo.

Basta con queste strategie partitiche, politiche, inciutiche, destrorse o sinostrose, basta con questi esercizi 

Chi è Stefano Rodotà?

Personalmente non lo conosco, per saperne di più pesco in rete, sono tuttavia al corrente di quello che ha fatto, bene, per il proprio paese e di quello ne parlerò in seguito.

Giurista, professore emerito di Diritto Civile alla Sapienza di Roma, parlamentare sul finire degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, Rodotà è stato un politico ma viene percepito come una figura fuori dagli schemi dei partiti. 

Ha fatto parte del Partito Radicale guidato da Mario Pannunzio, ma rifiutò la candidatura in Parlamento proposta da Marco Pannella nella seconda metà degli anni Settanta. Accetta invece quella del PCI, eletto come indipendente nel 1979 e nel 1983. 
Nel 1992 quarto e ultimo 'giro' in Parlamento: assume il ruolo di vice di Oscar Luigi Scalfaro (poi eletto al Quirinale) alla presidenza della Camera. 
La Seconda Repubblica non lo vede fra i protagonisti della politica, decidendo di tornare all'insegnamento universitario. 
Negli anni che seguono è stato Presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali (1997-2005), Presidente del Gruppo dei garanti europei (2000-2004), membro del Gruppo europeo per l'etica delle scienze e delle nuove tecnologie (1993-2005), membro della Convenzione per la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (2000).

Come si è distinto nel mondo politico e nella vita civile Stefano Rodotà?

Ecco la ragione per cui molti italiani vedrebbero bene questo personaggio al Quirinale. Intendiamoci, tutti portano acqua al proprio mulino ma Rodotà lo ha fatto con stile e grazia, con il rispetto delle istituzioni, con quell’amore che si chiede a tutti i cittadini per la propria patria. Le posizioni espresse da Rodotà su alcuni temi 'caldi' del dibattito politico di questi anni, lo indicarono come un candidato appetibile per l'ala sinistra del Pd e per il MoVimento Cinque Stelle. Fu tra le personalità più esposte nel contrastare il ddl bavaglio sulle intercettazioni proposto nella scorsa legislatura dal governo Berlusconi (che riprendeva un altro disegno di legge, se possibile ancora più limitante per la libertà di informazione, voluto dal ministro Mastella durante il governo Prodi). 

Nel 2010 è stato un sostenitore di una proposta di legge costituzionale sull'articolo 21 (denominato articolo 21bis): "Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale".

Nel 2009 sul caso Eluana Englaro Rodotà prese posizione contro il ministro della Giustizia Angelino Alfano. “Posso anche fare il guardiano del giardino del diritto ma non si può distruggere il giardino della democrazia: la Corte Costituzionale ha detto più volte che non si può intervenire su un atto giurisdiszionale" le parole di Rodotà.

Nei primi anni Novanta fu protagonista di uno scontro con il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga a proposito della lotta antimafia in Sicilia. Alle invettive del Capo dello Stato ("piccolo arrampicatore sociale"), Rodotà rispose: "La smetta di raccontare falsità sul mio conto, io la smetterò di dire la verità sul suo". 

Intervistato prima delle Elezioni del 24-25 febbraio ha spiegato: "C'è una rabbia sacrosanta e giustificata, nata dalla scomparsa dell'etica pubblica che ha eroso le basi della democrazia. Il circuito di fiducia tra cittadini e istituzioni è fondamentale e va ripristinato. In questi giorni sento di nuovo dire 'non siate moralisti'. È una posizione che non condivido. Credo, infatti, che si debba essere fermissimi nella ricostruzione della morale pubblica". 



2013/04/19

Un Bravo Ragazzo!

Suo figlio Dzhokhar Tsarnaev è quasi sicuramente uno dei terroristi che il 15 Aprile ha terrorizzato Boston alla maratona e il resto della nazione e per suo padre non può che esser considerato “un angelo”, un bravo ragazzo.

"Mio figlio è un vero angelo" ha detto ai media che l’hanno intervistato, Anzor Tsarnaev, padre di Dzhokhar, il ragazzo di 19 anni cui la polizia sta dando la caccia per l'attentato
alla maratona di Boston del 15 Aprile; il secondo presunto responsabile, il fratello Tamerlan, è stato ucciso dalla polizia. "Dzhokhar è uno studente al secondo anno di medicina, ha raccontato il padre da Makhachkala una località situata in Daghestan (Russia), è un ragazzo molto intelligente. Lo aspettavamo qui per le vacanze". A riprendere le parole dell'uomo sono state tutte le tv statunitensi.

Dzhokhar Tsarnaev, sospettato di essere uno dei due che ha lasciato le bombe a Boston, facendole esplodere in mezzo alla gente che gioiosamente attendeva la fine della maratona ha anche frequentato con profitto la Cambridge Rindge and Latin School e non nelle classi speciali ma in quelle normali, quelle frequentate dai cosidetti WASP, questo bravo ragazzo ha ricevuto addirittura una borsa di studio. Ecco, io non me lo spiego o forse si, perché questo nostro modo di vivere tutto inquadrato, dove sei buono e bravo se ti comporti in una determinata maniera che non significa sia quella corretta, solo quella che piace a chi ci sta sulla testa, ecco che se sei così inquadrato allora sei bravo mentre se non vuoi sottostare a delle regole ossessive allora sei cattivo.

Ma quando mai impareremo che l’abito non fa il monaco? Che comportarsi bene, essere bravi a scuola, simpatici e benvoluti da tutti non ci eleva a bravi ragazzi a tutti i costi, anzi, tutto ciò non fa altro che nascondere quello che ognuno di noi porta dentro di se, isolarlo, mistificarlo, far sembrare ciò che non è, almeno fino a quando si scopre che il bravo ragazzo si è sporcato le mani di sangue, ancora peggio se sangue innocente.

Io già me lo vedevo quel padre di questo “bravo ragazzo” dichiarare alla tv prontamente intervenuta per intervistare il frutto della sua educazione “Mio figlio è un angelo. Giornali e televisioni lo hanno definito un killer ma non è così, non è un mostro. La nostra è una famiglia perbene. Siamo profondamente addolorati per quello che è successo, degli innocenti hanno perso la vita e non so cosa daremmo per riportarli in vita.”

Sono frasi che si sentono sempre quando a uccidere sono stati dei ragazzi, bravi non si sa quanto, ragazzi che hanno scambiato una lotta di religione come la loro lotta, ragazzi che non hanno capito da che parte sta la verità, dove si combattono i sopprusi, chi sono i colpevoli o i mandanti della ferocia di certe guerre. Ragazzi che confondono l’essere giovani e forti e arrabbiati con un misto di fede e verità che uccidono e annientano solo per il gusto di dire “sono stato io”. Anche se nessuno dirà questo.

L’apparenza delle persone, il loro comportamento, il loro successo sociale, spesso non corrisponde alla persona che è dentro veramente. Che può essere tutto e niente altro che un “vestito”, una copertura. E prima o poi quello che era dentro viene fuori e può diventare anche un essere inferocito pronto a uccidere nel nome di una qualche ideologia.

E torniamo sempre a quella violenza dalla quale vorrei tenermi lontano, non parlarne più e invece scopro con orrore che in nome di questa violenza che si compiono efferati delitti, contro la gente, con chi niente ha da spartire con questi pazzi, che uccidono e nemmeno pensano per un attimo, un solo attimo a quello che stanno facendo. Mi pongo l’interrogativo di come il disagio si trasforma nella decisione di riempire una pentola a pressione di esplosivo. La causa è l’ideologia o la violenza? Il fratello maggiore era un musulmano rigoroso, seguiva le prediche dell’Imam, era un accanito lettore delle pagine di siti islamisti. Ma anche un violento, uno che non si appagava solo con il pugilato, uno che picchiava la fidanzata per sentirsi vivo, forte, per sfogare istinti repressi, di violenza, di odio.

Avranno mai pensato al padre Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev quando posavano a terra le borse contenenti le pentole a pressione poi fatte esplodere in mezzo alla gente? Hanno mai pensato i fratelli Tsarnaev a quello che stava per succedere? Alle vite spezzate in nome di una assurda ideologia di morte?

Scusatemi se qui apro una parentesi, nessun credo religioso prevede il martirio o la morte di innocenti come ultima speranza, come sacrificio estremo. Tutte le religioni, comprese quelle estremiste sono per la vita. Non esiste il sacrificio attraverso la morte di se stessi e nemmeno degli altri. Sono delle forzature, delle storpiature di un pensiero religioso che nulla ha a che vedere con il mondo reale, con la vita di tutti i giorni, con la gente che lavora, vive e cresce per un futuro che spera migliore anche se, spesso e troppo spesso aggiungerei, migliore non è. Ma non stiamo tutti lì a seminare bombe e terrore e sofferenza se la nostra vita non assume il profilo che speravamo, se qualcuno ci taglia la strada reale o metaforica della nostra vita. Se così fosse le bombe e gli omicidi sarebbero una atroce normalità della nostra vita. Non lo sono, sono invece una aberrazione, un atto criminale da condannare.

Chi sono i fratelli Tsarnaev? Leggo sul web che erano tre volte emigrati: dalla Cecenia all’Asia Centrale poi in Russia infine in America. Una vita facile forse all’origine, una confusa passione per l’Islam sullo sfondo, ma anche per i soldi e la vita facile. Una passione per la musica, i viseoclip, per le ragazze, come tutti alla sua età, vestiva come tutti, felpa e jeans, magari portati bassi in vita, scarpe con i lacci slacciati e tanta rabbia dentro. Adesso fugge Dzhokhar Tsarnaev, solo e abbandonato da tutti, abbandonato dal fratello che ha dovuto soccombere alla forza della polizia che lo ha freddato davanti all’Università; fugge e mentre fugge dalla polizia che lo cerca in una Boston paralizzata dal terrore starà pensando a quello che ha fatto? A quale scempio ha contribuito nella vita normale di una città che guardava al futuro con serenità? A quelle giovani vite spezzate? Come possa essere diventato un mostro, un terrorista, un pericolo pubblico questo 19enne dalla faccia d’angelo? Come hanno fatto due bravi ragazzi a diventare i criminali più ricercati d’America? Avevano legami con la guerriglia? Traumi familiari della guerra cecena? Miseria? Razzismo?

Riportano i media che Ramzan Kadyrov, il presidente Ceceno, ieri si rifiutava di commentare la tragedia di Boston e postava su Instagram, la sua ultima passione, foto della preghiera del venerdì con lodi alla misericordia di Allah.

Forse sarebbe piaciuta ai fratelli Tsarnaev.

2013/04/18

Eletto il Presidente della Repubblica!




Hanno eletto il nuovo Presidente della Repubblica.

Sarebbe bello che dal Parlamento uscisse una fumata, bianca o verde, magari rossa o del colore che volete voi per dire al vulgo: Habemus Presidente. Come se fosse il Papa.

Me lo dicono tutti, lo leggo sui rotocalchi, di quelli che si leggono tutti di un fiato mentre la mattina si va stretti stretti inscatolati a forza in autobus-tram-metro sempre pieni da fare paura. 
L’ho letto su internet sempre abbondante di notizie tutte da verificare. L’ho letto sul giornale della mia vicina che non compra mai il giornale per cui mi viene il dubbio - atroce che dire? – che sia vecchio. 

Una notizia dell’ultimo minuto, secondo, attimo, fresca come un uovo di giornata, fresca come sono tutte le questioni che riguardano il nostro mondo politico che quando arrivano a noi son già  diventate vecchie, riutilizzate, rimaneggiate, inciuciate, arrangiate affinchè i soliti fessi non abbiano a scoprire la verità. 

La notizia dell'elezione ufficiale del nuovo Presidente della Repubblica, non si ancora bene se sia quella repubblica dove si coltivano solo banane o quell’altra dove i poveri fabbricano le auto che vendono ai ricchi i quali poi non le pagano e in cassa integrazione ci vanno i poveri. I ricchi in galera mai, altrimenti che son ricchi a fare?

Abbiamo il Presidente, evviva, adesso che si fa?. Non ci siamo neppure svegliati dall’ubriacatura del nulla delle elezioni di febbraio, elezioni che come ben sapete non han prodotto alcun governo ma solo tante chiacchiere e soldi, i nostri soldi, buttati via. Ma allora il Presidente chi lo elegge? Lo eleggono i deputati, i senatori, anche quelli a vita. Non capisco la differenza che ci sia fra i senatori cosidetti a vita e i senatori semplici.

Mi si dirà che è lapalissiano, sono a vita tutti quelli che non vengono eletti, che stan li seduti sempre a scaldare la poltrona, non servono a nulla ma stanno li, anche loro a succhiare una bella fetta dei nostri soldi. Mi chiedevo che differenza ci sia, visto che i senatori che non sono a vita son sempre gli stessi da decenni, immobili rappresentanti di un mondo che non c’è. 

Non c’è l’Italia dei poveri perché il vento della crisi l’ha portata via, non c’è l’Italia dei lavoratori perché non avendo più il diritto di lavorare nel proprio paese hanno perso uno degli ultimi diritti che avevano e son tornati a casa, con le tasche vuote. Non c’è più l’Italia dei sogni, se li sono portati via i politici, affamati come erano di sogni di gloria, poi non ne hanno ricavato nulla e si sono accontentati dei sogni di soldi.

Ma chi lo vota il Presidente?
Un parlamento di eletti che non ci rappresenta visto che un governo ancora difetta?

Evviva il Presidente eletto. Chi? 
D’Alema perbacco, il re degli inciuci.
Scommettiamo?

God save the Queen. Dicono in Inghilterra, chiediamo a Dio che salvi anche l’Italia dai pescecani?

GOD SAVE ITALY! 
PLEASE, AS SOON AS POSSIBLE.