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2013/12/11

Leon, tributo in onore di un amico fedele


Il 18 Novembre di quest'anno Leon ci ha lasciato, questa volta per sempre.
Altre volte ci aveva lasciato, anche per giorni, si infilava nel cancello lasciato aperto e spariva nella foresta, e poi rientrava dapo giorni di girovagare e lo sentivi fuori dalla recinzione quando chiamava per farsi aprire: wouff, wouff...

E’ impossibile che una persona che ha trascorso lunghi anni in compagnia del proprio cane possa restarne privo senza sentire di aver perso qualcosa di sé, anche se si tratta di un cane anziano. Se la morte arriva improvvisa, la perdita è straziante. Leon non era solo il cane di Melissa. Era anche il mio migliore amico. Aveva vissuto con noi per più di quattordici anni. Eravamo preparati a questo, sapevamo che prima o poi la morte di uno dei nostri cani sarebbe stata inevitabile. ma credevamo che Luna ci avrebbe lasciati prima. il fila brasileiro infatti vive dai nove ai dieci anni. Luna e' nata nel 2003, dieci anni li aveva raggiunti, il giorno della dipartita poteva essere vicino. Avevamo anche gia' chiesto al veterinario che fare nel caso che... perche' con i suoi cinquanta kg sarebbe stata difficile da gestire la sua morte e invece... 
Leon aveva, in un certo senso, determinato il nostro modo di vivere. Dopo la sua scomparsa, la sensazione di solitudine e' immensa. La prima sensazione che si prova, spesso è quella di non accettazione: “non è possibile” “non è vero”. Poi si deve affrontare la realtà.

La morte di un cane non è certo traumatica come la perdita di un familiare, ovviamente. Ma forse è proprio questo il lato più ostico della cosa. Il dolore lo dobbiamo spesso affrontare da soli, senza la comprensione del mondo esterno, senza poterci sfogare con chi ha motivi “più validi” per soffrire, quasi vergognandoci di star male per un cane. “E’ solo un cane” minimizzano in molti. Questo è davvero difficile da sopportare. “E’ solo un cane”, pensiamo alle volte anche noi, provando quasi un senso di colpa per il nostro dolore, perché inconsciamente lo mettiamo in competizione con quello che dovremmo provare per le persone che ci hanno lasciato.

Piangere e manifestare i propri sentimenti è, più che mai, imbarazzante. Gli psicologi dicono che dovremmo esprimere il dolore e non reprimerlo. Non è saggio isolarsi ed è umano piangere, ma tutte le persone ci invitano a non farlo. Siamo costretti a far finta di niente ed è tutt’altro che facile.

Non tutti gli umani reagiscono comunque allo stesso modo. Il dolore non si manifesta secondo uno schema fisso. Le varie reazioni possono sovrapporsi ed essere di diversa durata, a seconda della persona e delle circostanze.
La morte di un cane ancora giovane è senz’altro l’avvenimento più grave. Tutto d’un tratto, il nostro cane apparentemente sveglio e normale, non c’è più. Incidenti, avvelenamenti, malattie fulminati, sono le cause più comuni. La fonte della più grande felicità diviene di colpo quella del più sconfinato dolore. 

Razza strana l’essere umano, una sola forma un solo volto un solo colore del sangue, ma molto divisi tra noi, il bianco si sente superiore al nero, il ricco non può avere legami col povero, i diversi… tutto ciò che ci è diverso deve tenere le distanze dal nostro io, dal nostro saper essere super uomini, diverso, perché, e da cosa si e' diversi , se alcuni uomini sono diversi da noi ciò vuol dire che noi siamo diversi da loro, allora perché i diversi sono loro? Se noi siamo diversi allo stesso tempo da chi ci è diverso, quindi i diversi siamo noi? E i cani? Si sentono diversi anche loro?

Leon viveva con la sua Luna, anzi per dirla breve era Luna che viveva con Leon, lei era l'ultima arrivata nella sua vita, ingombrante e predominante fila brasileiro che pretendeva tutto dal piccolo beagle Leon. Eppure erano inseparabili, per questo adesso Luna non sa darsi pace, piange tutto il giorno nonostante siano passati i giorni.

Cosa avra' pensato il piccolo Leon negli ultimi giorni prima di morire? Per capire il comportamento di un cane è essenziale esaminare il modo in cui affronta la morte. Noi uomini sappiamo tutti che un giorno moriremo e ci comportiamo di conseguenza; il cane, invece, non ha il concetto della morte e quindi non può prevederla, per quanto malato si senta. Per un cane, o per qualunque altro animale, la malattia rappresenta qualcosa di spiacevole che lo sta minacciando. Se avverte dolore, si considera preda di un’aggressione. Per lui è diffìcile distinguere tra un tipo di dolore e un altro quando cerca di capire cosa c’è che non va. Se il dolore diventa acuto, il cane sa di essere fortemente in pericolo, ma se non vede da dove proviene il pericolo, non può voltarsi per affrontarlo e difendersi mordendo: non c’è niente contro cui prendersela. A questo rimangono soltanto due strategie alternative: scappare o nascondersi. Se il dolore sopravviene mentre il cane sta «pattugliando» il suo territorio, la sua reazione naturale sarà quella di cercare di nascondersi dal suo «aggressore» e, scorgendo un riparo lì vicino, o qualche altro nascondiglio l’animale vi si dirigerà e rimarrà lì nascosto da solo, aspettando che la minaccia svanisca o che il dolore cessi. Il nostro amico non osa uscire, Temendo che ciò che ha causato il dolore sia in agguato, e quindi rimane lì a morire da solo, in privato. Nonostante le osservazioni precedenti degli scrittori a proposito di questo argomento, nel momento della sua morte il cane non sta pensando ai sentimenti del suo padrone, ma semplicemente su come può proteggersi dal terribile e inosservato pericolo che gli sta causando tanto dolore.

OGM?

Qualunque attività umana non è a rischio zero, l'opportunità o meno di adottare una nuova tecnologia, qualunque essa sia, è legata all'analisi dei rischi e dei benefici. Anche gli OGM non sfuggono a questo principio: non avrebbe senso accettare gli OGM solo dopo aver accertato un rischio zero, poiché non sarebbe coerente con qualunque altra attività umana.
Esistono due linee di principio molto diverse in tal senso.
Nel 1993 l'Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (OECD) ha introdotto il principio della "equivalenza sostanziale" tra alimenti agricoltura tradizionale e alimenti OGM. Tale principio è stato approvato da una consultazione congiunta FAO/WHO nel 1996.
Il principio di equivalenza, ampiamente utilizzato in USA, è stato contestato da molti organismi scientifici, come la rivista Nature (vol. 401, 525, 1999) che lo ha definito "ai limiti della pseudoscienza".

Altri organismi, come la Royal Society canadese hanno proposto la sostituzione del principio di equivalenza con il "principio di precauzione", come elemento fondamentale in un campo in cui domina ancora l'incertezza dovuta all'ignoranza, alla scarsa conoscenza del funzionamento di un sistema biologico molto complesso. Tale principio non deve essere considerato come fattore limitante per la ricerca, ma come punto di partenza per il suo sviluppo, con l'obbiettivo di giungere alla totale sicurezza ambientale e alimentare.
Secondo il principio di precauzione, gli OGM non sono rischiosi in sè, bisogna valutare caso per caso, come accade per qualunque nuovo farmaco o alimento immessi sul mercato, il rapporto tra rischi e benefici e prendere le dovute precauzioni prima dell'immissione sul mercato, ed effettuare un monitoraggio attento dopo la commercializzazione.

Le accuse mosse contro gli OGM

Le principali accuse mosse nei confronti degli OGM sono elencate di seguito, va evidenziato che i pericoli reali associati alle biotecnologie non esistono.

Rischi per la salute


Gli alimenti OGM vengono accusati di essere potenziali allergenici. Qualunque alimento può scatenare una allergia nei soggetti predisposti, il problema quindi non è nell'alimento, ma nei soggetti che sono sensibili a tale alimento. Ci sono persone che sono morte per shock anafilattico ingerendo alimenti comunissimi come un arachide, ma non per questo le arachidi devono essere bandite dal commercio! Se un alimento OGM presenterà un tasso di allergenicità elevato potrà essere prontamente rimosso dal commercio, come avvenuto nel 1996, quando i ricercatori del Nebraska hanno rilevato che la soia geneticamente modificata con un gene della noce brasiliana prodotta dalla Pioneer Hybrid, era allergenica ad una parte significativa della popolazione. La Pioneer Hybrid ha saggiamente interrotto la commercializzazione di questo prodotto. Mio figlio era allergico al latte vaccino e questo fino ai tre anni, non ho sentito nessuno che abbia proposto di mettere fuori legge il latte vaccino o vietarne la vendita.

La biodiversità è intesa come insieme delle risorse genetiche disponibili in un certo territorio; quanto più grandi e differenziate sono tali risorse tanto maggiore è il potenziale di nuove coltivazioni e di nuovo cibo. Uno dei fattori principali della perdita della biodiversità negli ambienti naturali è sempre stato rappresentato dall’introduzione della pratica agricola. Questa, oltre trasformare i boschi e le praterie in monocolture, può attentare alla biodiversità delle specie selvatiche attraverso la diffusione del polline delle piante coltivate. Esistono esempi eclatanti di attentati alla biodiversità: uno su tutti, l'introduzione della Robinia pseudoacacia, introdotta per consolidare la massicciate dei treni, che si è diffusa in buona parte del paese a discapido della pianta autoctona Acacia.

Secondo alcuni le piante OGM potrebbero diventare infestanti e diffondersi nell'ambiente a discapito di altre. Questo può avvenire solamente se il gene introdotto conferisce un vantaggio selettivo nei confronti delle altre piante, cosa che attualmente non avviene e che può essere evitata con una banale sperimentazione. Nel caso poi che ci sia un vantaggio selettivo, allora è sufficiente inserire il transgene nel cloroplasti delle cellule: in questo modo il transgene non si trasmetterà nel polline e non ci sarà il rischio di diffusione dello stesso nell'ambiente.

OGM: perché non essere contrari


Il rischio zero non esiste neanche in agricoltura: i benefici del miglioramento agricolo sono stati sempre considerati di gran lunga superiori ai rischi. Il miglioramento delle specie coltivate è stato fino ad ora ottenuto attraverso l’incrocio e la mutagenesi che certamente non sono esente da rischi: con queste tecniche infatti i geni sono modificati a caso ed in modo incontrollabile. Una razionale proposta è quella di: "accettare la piante OGM se il loro rischio è uguale o inferiore a quello che oggi accettiamo per le piante prodotte con il miglioramento genetico tradizionale (incroci e mutazioni)".

E’ stato inoltre pubblicato sul numero 80 del Journal of Proteomics un lavoro dal titolo: “How much does transgenesis affect wheat allergenicity? Assessment in two GM lines over-expressing endogenous genes”. Il frumento fa parte dei cosiddetti “big eight allergens”, insieme a soia, uova, latte, pesce, molluschi bivalvi, nocciole e arachidi, ovvero gli alimenti che più spesso sono responsabili di allergie alimentari e, per alcuni di essi, anche respiratorie. Si stima che tra lo 0.1 e lo 0.4 % della popolazione mondiale sia allergica alle proteine presenti negli sfarinati a base di frumento, peraltro fondamentali, dato che si deve loro gran parte delle proprietà tecnologiche e nutrizionali di pasta, pane, biscotti e di tutti gli altri numerosi prodotti derivati dal frumento.

La possibilità di sviluppo di allergie è una delle maggiori preoccupazioni riguardo agli alimenti contenenti OGM, per cui, sebbene non vi siano frumenti OGM commerciali al momento, ve ne sono numerosi realizzati nei laboratori, ad esclusivo scopo di ricerca, ma non è escluso che frumenti OGM possano essere commercializzati nei prossimi anni. Allo scopo perciò di verificare se vi fosse una differenza nel livello di espressione delle proteine allergeniche in linee di frumento OGM disponibili nei laboratori che hanno condotto la ricerca in questione, sono state messe a confronto due linee di frumento transgeniche con i relativi genotipi non OGM, corrispondenti alle varietà di frumento duro Svevo e di frumento tenero Bobwhite.

La novità di questo lavoro risiede soprattutto nell’uso dei sieri di pazienti allergici al frumento (bambini e adulti, con allergia di tipo respiratorio o alimentare), che hanno permesso di misurare la quantità di proteine immunogeniche estratte dagli sfarinati mediante test ELISA e di effettuare delle analisi dettagliate di proteomica che hanno portato all’identificazione delle proteine immunogeniche stesse.
I risultati ottenuti da tale confronto hanno indicato che non esistono differenze sostanziali tra i genotipi OGM e le varietà commerciali, e che fondamentalmente esiste un’enorme variabilità tra gli individui allergici, sia verso le varietà commerciali che verso i genotipi OGM.

Sono state osservate, infatti, diverse combinazioni di situazioni: due proteine immunogeniche sono state rilevate solo in una linea OGM, ma non nella varietà coltivata corrispondente. E’ stata riscontrata però anche la situazione opposta, ovvero è stata osservata la presenza di specifiche proteine immunogeniche nella varietà coltivata, risultate invece assenti nella corrispondente linea OGM.
Inoltre, è stata rilevata un’estrema variabilità di risposta tra i diversi pazienti, sia nel numero, che nel tipo di proteine immunogeniche presenti, nonché della quantità delle singole proteine. 

I saggi ELISA infatti hanno mostrato che, dei 18 sieri testati, dieci non presentavano nessuna differenza a livello quantitativo nella reattività verso le frazioni proteiche estratte dalle due linee OGM e dalle rispettive varietà coltivate. Degli otto sieri rimanenti, cinque mostravano una maggiore reattività solo verso la linea OGM di frumento duro, ma non di tenero. I due restanti sieri mostravano una maggiore quantità di IgE contro le proteine presenti nella varietà di frumento tenero e non nella corrispondente linea OGM, mentre un altro siero mostrava una reattività leggermente superiore contro la linea di frumento tenero OGM rispetto alla varietà coltivata corrispondente.

L’analisi proteomica ha mostrato che tutte le proteine identificate corrispondevano ad allergeni già noti. Insomma, le differenze tra OGM e non OGM sembrano paragonabili, se non addirittura inferiori, a quelle osservate tra le cultivar commerciali Svevo e Bobwhite, per quanto riguarda la quantità e il tipo di proteine immunogeniche.
In conclusione, questi risultati hanno confermato che la transgenesi è solo uno dei fattori che devono essere valutati in relazione alle allergie. Infatti, per alcuni dei pazienti presi in esame, la linea GM è risultata addirittura contenente meno proteine coinvolte nelle allergie, rispetto alla corrispondente varietà commerciale, quindi non OGM, mentre per altri casi è stata riscontrata la situazione opposta.
Questo dimostra come non sia possibile prevedere o generalizzare l’effetto della transgenesi sulle allergie, e che ogni situazione andrebbe analizzata singolarmente, non solo nel caso degli OGM, ma anche delle varietà commerciali, quando queste siano già note per essere allergeniche.

(Gli autori della ricerca sono Roberta Lupi, Stefania Masci, Domenico Lafiandra, dell’Università della Tuscia, Corrado Rizzi dell’Università di Verona, Marco De Carli della Azienza Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine, insieme ai colleghi francesi Sandra Denery-Papini, Colette Larré ed Helene Rogniaux dell’INRA di Nantes e a Denise Moneret-Vautrin del Centro Ospedaliero J. Monnet di Epinal).

2013/12/08

Morte a Prato



Quei sette operai cinesi (dei quali 6 sconosciuti) che sono morti carbonizzati a Prato in un capannone sprangato, che anzichè essere un magazzino era diventato un dormitorio abusivo, sono già usciti dagli onori della cronaca. 
Danno fastidio alle nostre coscienze, ma soprattutto sono la dimostrazione della mancanza di assunzione di responsabilità personali in questo balordo sistema politico-amministrativo dove i “vertici” sono lautamente pagati per farlo, ma se la filano quando non fanno il proprio dovere.
Si annebbiano così le responsabilità di chi a Prato doveva intervenire per i controlli. Mentre se ne esasperano altri a colpire solo i pesci piccoli. 

Un esempio? Due mesi fa i NAS del Piemonte hanno attentamente visitato decine di aziende della zona del lago Maggiore e in una struttura alberghiera di Verbania, dopo attento sopralluogo durato ore, hanno riscontrato due reati gravissimi: 
1) A uno dei frigoriferi e congelatori dell’albergo (oltre una decina) mancava la firma dell’addetto attestante le temperature verificate nel giorno precedente il controllo. Forse non tutti sanno infatti che esternamente a ogni frigorifero due volte al giorno bisogna segnare la temperatura, quasi che  non ci si accorgesse immediatamente di eventuali guasti. 
2) Non è stato fornito il certificato attestante che l’apparecchiatura (seminuova) che deve provvedere alla sterilizzazione dei coltelli da cucina fosse a norma. Pochi lo sanno, ma i coltelli da cucina non possono (o non dovrebbero) essere lavati con gli altri quasi che anche qui non ci siano lavastoviglie moderne ad alta temperatura.  Che lo sterilizza-coltelli fosse a norma era evidente visto il tipo e la marca, ma l’attestazione non si è trovata e quindi per questi due gravissimi reati l’ammenda è stata di 6.000 (seimila) euro liquidabili in 2.000 euro “pronta cassa” con la netta sensazione che “comunque” si dovesse trovare qualcosa non a posto e soprattutto – appunto - per “far cassa”.

Vorrei allora sapere chi a Prato concede o abbia concesso le licenze edilizie e chi le verifica, quando l’Ufficio del Lavoro sia stato in quell’azienda a fare una verifica, come fosse possibile non solo avere personale “in nero” ma neppure identificabile e che cosa sia stato fatto (almeno dopo il disastro) per far chiudere aziende similari che platealmente lavorano fuori dalle regole, non fatturano, invadono il mercato di falsi, distruggono le nostre imprese con una concorrenza ovviamente spietata e soprattutto schiavizzano impuniti i propri dipendenti. 

Mi sarà sfuggito, ma non ho letto dell’arresto del responsabile di quell’azienda, ammesso che ci sia.

Non mi può bastare che alla locale Procura della Repubblica dicano “Il caos l’ abbiamo segnalato più volte, ma siamo impotenti” perché questa presunta impotenza non è accettabile quando si è pagati (bene) per controllare e a Prato ci saranno cento, mille aziende “sospette” non decine di migliaia e quindi se le attività non sono in regola per cose gravi si fanno chiudere e si espellono o si imprigionano i reesponsabili. 
Non se ne può più da una parte di vedere sfrontato sfruttamento e abusivismo e poi per contro di assistere ad una ricerca esasperata di “peli nell’uovo” pur di romper l’anima e taglieggiare gli imprenditori che più o meno cercano di seguire normative cervellotiche, assurde, costose e alla fine spesso del tutto inutili. Si vive nel terrore di sbagliare, di non conoscere qualche nuova “grida” edita dallo Stato, dalla Regione, dagli uffici provinciali o comunali, dall’ASL, dall’INPS e dall’INAIL, dall’Ispettorato del Lavoro, dai Vigili del Fuoco, dalle norme antinfortunistiche, dai Carabinieri del NAS.  

Oppure – a livello fiscale – dai vari Uffici che a volte si contraddicono tra loro.
Di solito gli imprenditori non sono mafiosi, ma purtroppo i veri mafiosi veri la fanno franca e oggi la mafia cinese è più infiltrata e pericolosa di quella di Corleone. Su queste cose è giusto che il Governo, lo Stato, la Magistratura  e le Forze dell’Ordine diano concretamente delle risposte perché non ci può essere ripresa economica davanti a queste evidenti, ingiuste, mafiose ed omertose diversità di comportamento ! 

Finale: a Prato, per quei poveri morti, adesso chi paga?
(fonte ilpunto)

2013/11/26

Odio per sempre

L’odio, non c’è altro motivo. E l’elettorato l’ha capito benissimo. Questo intestardirsi della sinistra sulla decadenza di Berlusconi, il tentativo di cancellarlo dalla scena politica alla prima occasione utile, di liberarsi del nemico che li ha sempre sconfitti alle elezioni, la dice lunga sull’immaturità politica del Partito democratico. Non bastano le battute di Renzi e l’atteggiamento serioso di Letta a stordire l’opinione pubblica perché anche il più distratto degli italiani sa che siamo alla vendetta, al piatto da consumare freddo, alla legge del West, chi estrae per primo la pistola resta vivo. Nessuno voleva obbligare i cosiddetti democratici a votare a favore del Cav, si chiedeva solo di far pronunciare la Corte costituzionale (che non è certo un organo di Forza Italia) sul nodo cruciale della retroattività. Niente da fare, dagli all’untore, bruciamo lo stregone.  Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti, nonostante i goffi tentativi del Pd di nasconderla: in questa Italia il fondatore delle Brigate Rosse, Renato Curcio, è stato chiamato a Bologna come “docente” di un corso sulla sofferenza lavorativa; Cosimo Mele, l’ex parlamentare Udc, è passato dalle notti con le escort alla poltrona di sindaco di Carovigno; Cicciolina è stata parlamentare dei radicali quando era pornostar e ora viene invitata alle manifestazioni politiche e agli eventi di beneficenza; Piero Marrazzo, l’ex governatore del Lazio travolto dallo scandalo dei trans, è tornato al lavoro, non alla scrivania ma direttamente in video, con una trasmissione su Raitre. L’unico espulso a vita – per una sentenza discutibile e discussa – è Silvio Berlusconi. Non perché sia giusto espellerlo e neppure perché pochi credono che uno come lui abbia evaso l’uno per cento di tasse. Ma perché fa comodo alla sinistra. (cit. secolositalia.it)

2013/11/05

Africa oggi, Europa domani!

Condivido con voi alcune note stese durante un viaggio africano dove è continuo il contatto con una realtà economica e sociale che ogni volta mi porta quasi naturalmente a rendermi conto di come l’organizzazione del mondo sia sempre più assurda e fondamentalmente sempre più ingiusta. Mentre le polemiche italiane si perdono lontane sullo sfondo sfuocato via internet, in questi giorni ricordo ben altri problemi dio da una povertà assurda, ingiustizie clamorose e in generale un costante peggioramento della situazione che coinvolge buona parte dell’Africa ma anche di altri miliardi di persone. 
Le tragedie come l'ultima di Lampedusa non sono che la punta dell'iceberg, la cartina tornasole di quello che oggi avviene nel continente africano. 

Possiamo decidere di infischiarcene e di pensare solo o innanzitutto a noi stessi, di alzare muri, di ignorare la realtà, ma non credo che possiamo sfuggirne, o almeno a me non riesce, soprattutto se la si vede e la si tocca con mano. E’ comunque un atteggiamento miope non parlare di questi problemi globali, di accantonarli dal dibattito collettivo visto che il mondo è di tutti e questi problemi ci coinvolgeranno sempre di più, noi e le prossime generazioni cui stiamo preparando un disastro economico ed ambientale e quindi è assurdo far finta di niente. Credo di avere il dovere di darne almeno testimonianza cercando di coinvolgere persone, sottolineando che ci sono alcuni elementi di fondo che credo debbano essere presi a base di un ragionamento che ciascuno è poi libero di continuare all’interno della propria coscienza.

Il primo è che quando ero bambino la terra aveva 2 miliardi di abitanti, ora ne ha 7 e si prevede saranno 11 per la fine del secolo. Il pianeta, razionalizzando, può permettersi di sfamarci tutti ma non può più vivere di spreco alimentare ed energetico con tutti i problemi conseguenti.
La seconda considerazione è che oggi il 20% dell’umanità consuma l’80% delle risorse e se questo 20% diventasse anche solo il 30% saremmo alla bancarotta ambientale. La terza constatazione  – e l’Africa e l’Asia ne sono l’esempio più lampante – è che molte di queste società non sono in grado di cavarsela per una sostanziale inefficienza del loro “sistema” interno che a livello nazionale scimmiotta in peggio i nostri schemi democratico-parlamentari,  spesso recuperandone solo gli aspetti peggiori o esteriori, ma  senza poi neppure tentare di concretizzare quei correttivi che, almeno in parte, dovrebbero garantire la giustizia e la trasparenza nella nostra società “occidentale”. Immagino tante ironie vista la situazione italiana nell’affrontare l’argomento, ma da noi non capita comunque che ti fermi un poliziotto ed apertamente ti minacci chiedendoti dei soldi solo per lasciarti proseguire, o che vi sia assoluta insicurezza di vita, nessun controllo o garanzia economica o finanziaria, nessuna prevenzione sul lavoro o rispetto per la vita umana. 

Lo so che da noi c’è la crisi, che innanzitutto dobbiamo pensare a noi stessi e a difendere il nostro status sociale, ma non avete un’idea che cosa sia la “crisi” (permanente) in oltre metà del mondo.
D'altronde la prima volta che arrivai in Nigeria c’erano circa 21 milioni di abitanti e oggi forse sono 80. Nessun governo, nessun statista, nessuna società potrebbe realizzare comunque in questa situazione sufficienti servizi di base e in altre zone va anche peggio perché quel poco che c’è è distrutto da guerriglia, malattie e disastri vari. La prima cosa da fare è quindi secondo me stabilizzare il numero degli abitanti del pianeta o non ci sarà possibilità di riprendersi. Non è impossibile farlo anzi è relativamente facile anche senza impiegare mezzi coercitivi o violenti ma innanzitutto con l’istruzione, l’educazione, la volontà di aiutare finalmente le donne di questo pianeta che sono di solito le peggio trattate in troppe società. 

La seconda questione è “come” aiutare da parte dei paesi ricchi e qui il bilancio è desolante visti gli sprechi, gli eccessi, il cattivo esempio che diamo nella gran parte dei casi. Ci sono tanti casi positivi anche eroici – e lo vedo soprattutto a livello di impegno religioso dove persone hanno sacrificato a questo fine tutta la loro vita - ma sono stupende eccezioni perché a fallire non sono di soliti i piccoli progetti o le realtà locali ma soprattutto le organizzazioni internazionali, la banca mondiale, gli aiuti di stato che vengono sciupati, dispersi, depredati alimentando un moltiplicarsi ignobile della corruzione. L’Italia ha grandemente ridotto le cifre della sua cooperazione internazionale - che molto spesso peraltro erano soldi spesi male - ma la filosofia che sta alle spalle della “cooperazione” (per esempio a livello europeo) parte con obiettivi magari anche positivi ma poi si ferma perché resta a livello di mega-infrastrutture. Sono opere quasi mai capite e vissute a livello della gente che poi dovrebbe usarle, oltre ad avere un pessimo rapporto costo-risultati e nessuna manutenzione, il che garantisce di solito il loro pronto fallimento. 

Quanti sanno che una notissima organizzazione dell’ONU spende in costi di gestione interni il 79% del proprio bilancio? Non solo, l’ignoranza e la povertà alimentano la distruzione ambientale di quello che resta e non sono solo fenomeni d’immagine come gli elefanti ammazzati per recuperarne le zanne, ma - per esempio - una pesca sfrenata e incontrollata che a ogni latitudine impoverisce il mare oltre ogni limite, ma usando poi comunque solo una parte del pescato che in buona parte viene poi sottoutilizzato o distrutto. Milioni di pescatori poveri vivono con ridicole quantità di pescato giornaliero, ma super-pescherecci prosciugano il mare “spianando” fondali e distruggendo in modo sistematico gli habitat dalla riproduzione marina applicando mezzi di pesca elettronici su larga scala.  Chi se ne preoccupa? Sembra nessuno e questo vale anche per l’uso scriteriato della (poca) acqua buona che c’è, per una gestione assurda dei rifiuti, per una agricoltura che obbedisce a criteri di sfruttamento e non di sostenibilità generale, per una politica energetica folle. Il mondo ogni anno per agosto “va in riserva” rispetto a quanto è in grado di autoprodurre e questo deficit è un pauroso rischio per le prossime generazioni. 

Credo che serva qualche idea, a cominciare però da una denuncia “politica” di quanto sia stata sciocca una decolonizzazione accelerata senza mettere in piedi prima delle strutture locali affidabili e minimamente competenti. Anche questo è un costo pagato alla “democrazia” (o alla demagogia?) che quasi sempre è solo  di facciata. Non ci sono più i “colonialisti” ma le multinazionali e il risultato è stato ben peggio. Il colonialismo aveva portato allo sfruttamento di popoli e di ricchezze naturali con le  “concessioni” che i governi colonialisti davano ai propri supporter, oggi sono le multinazionali senza volto e senza responsabili che gestiscono prezzi, economie, e speculazioni sulle materie prime dettando le leggi del commercio mondiale.

Ma allora perché ogni nazione “ricca” non torna ad adottare una o più nazioni povere e anziché polverizzare interventi non le aiuta sul serio, dall’inizio alla fine, dalle strutture politiche a quelle giudiziarie, dai consigli economici a diventarne mercato di sbocco a prezzi onesti dei loro prodotti, dall’obbligare all’istruzione? per dimostrare che un miglioramento si può avere se si si osservano delle regole condivise da tutti e non regalando, ma verificando man mano la crescita dei singoli paesi con in testa la solita parola chiave: darsi delle regole e farle osservare.

Ma perché a livello planetario non si impongono regole che appunto valgano per tutti? 

Pare che il 30% dei miliardari di dollari siano cinesi e se da una parte è curioso che questo sia il frutto di una rivoluzione che si dice tuttora “comunista” dall’altro si assiste – soprattutto in Africa – ad una rapina naturale che non ha paragoni con il fu colonialismo. La Cina, comunista a parole e iper capitalista nei fatti, sta disboscando il pianeta, distrugge mari e sottosuolo, se ne frega dell’effetto-serra, tratta da schiavi buona parte dei propri abitanti e quelli dei paesi intorno, invade il mondo con prodotti più o meno contraffatti, distrugge le aziende “nostre” come quelle di migliaia di realtà locali con una manodopera sottopagata e sfruttata… e noi non abbiamo l’attenzione, il coraggio, la volontà nemmeno di parlarne. 

Ma possibile che l’Europa che si vanta (o si vantava) di essere la coscienza civica del mondo non riesca neppure a controllare il proprio import? Se la terra è ormai un villaggio globale si devono imporre regole globali o siamo degli ipocriti e per di più saremo sconfitti come spesso già oggi siamo sudditi e non cittadini perché manovrati nei gusti, nei consumi, nelle scelte… vogliamo rendercene conto? E ancora più poveri e sconfitti sono e saranno i miliardi di poveracci che stanno peggio di noi, gli schiavi senza nome di oggi… altro che non cercare di scappare via Lampedusa, o di arraffare con la violenza quel poco che si può se ne capita l’occasione. Essere schiavi del consumo, del telefonino ipertecnologico, dei gusti di massa, dei giochi mangiasoldi come di una iperspesa per l’abbigliamento e quindi accettando per buone le mode come ci vengono proposte o le notizie come vengono diffuse (o non diffuse), è il grande limite di una società capitalista che uccide sé stessa perché accentra in troppe poche mani la gestione del pianeta, non ha più sistemi di autocontrollo e soprattutto ha perso quei valori che stanno alla base di una convivenza equa, soprattutto in un mondo sempre più “stretto”. In campo ambientale il quadro è ancora più nefasto: consumiamo in modo sconsiderato – Europa e Usa in testa – ma almeno con un riferimento di leggi più o meno osservate ma in Asia non è così, in Cina l’inquinamento è pauroso ma tollerato (o imposto) all’interno e nei paesi-satellite. Un disastro.

So benissimo che queste righe possono essere oggetto di critiche infinite, che ci sono mille obiezioni fondate e che in poche righe è difficile riassumere i concetti, ma servano almeno come spunto di silenziosa riflessione personale e alla domanda concreta “ma in questo disastro, io personalmente che cosa posso fare?” credo che la risposta più corretta sia almeno prenderne coscienza, reagire con scelte di consumo individuale più logiche e poi affrontare intorno a noi almeno un caso concreto, un piccolo problema, dandoci ciascuno un obiettivo diretto che magari è nella propria città o nel caseggiato davanti a noi - e non necessariamente al di là di un oceano - per risolvere o almeno cercare di risolvere “quel” problema. Far crescere questa coscienza di reciproca appartenenza ad un mondo globale, chiedere che il problema sia considerato a livello politico e dei governi è diventato indispensabile perché con questo atteggiamento di minor menefreghismo generale forse non avremo cambiato il mondo, ma sicuramente avremmo cominciato a farlo, ma prima di tutto avremo migliorato noi stessi.