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2013/12/14

Tributo a Nelson Mandela


La notizia che Nelson "Madiba" Mandela, primo presidente nero del Sud Africa, era morto, l’ho appresa attraverso internet. Non guardo da diverso tempo programmi televisivi, sia perché non condivido la cultura televisiva della nazione che mi ospita, troppo simile a quella italica dalla quale ho preferito andar via, sia perché i soliti programmi televisivi non mi appagano a sufficienza, preferisco un buon film o documentario oppure leggere le news online. 

La mia reazione è stata di incredulità. Ho allora cercato la notizia su altri media, quasi sperando in una smentita. Il primo sentimento che ho provato è stato, a sorpresa, di risentimento. Ho sempre considerato positivamente la sua esperienza, già quando fu rilasciato dal carcere e anche durante la successiva e ovvia presidenza, anche durante poi il pensionamento forzoso, non era sua volontà ritirarsi ma gli fu imposto e comunque mi era sembrato giusto che facesse spazio ai giovani, nuove idee, nuove proposte e poi durante i suoi ultimi anni, tutto veniva a formare un quadro molto positivo di lui. Eppure ho provato un forte senso di risentimento. Mi chiedevo perché.

Dopo qualche introspezione, ho capito. Tutti i media elogiavano Mandela. Era diventato un santo. La stragrande maggioranza di coloro che in quei giorni hanno ricordato l’ex-presidente sudafricano lo ha eretto ad una sorta di “eroe planetario”. Un quotidiano di sinistra portoghese lo ha perfino paragonato a Gesù Cristo. Sicuramente ha vissuto per gli altri, ha anche perdonato coloro che lo avevano imprigionato, ha combattuto un regime brutale con parole di pace; ha ispirato molti sudafricani a unirsi, diventando un'icona per il mondo, e così via. Una lettura puramente agiografica della vicenda umana e politica di Nelson Mandela presenta, senza dubbio, un notevole fascino, ma rappresenta al tempo stesso un approccio non soddisfacente, perché non rende giustizia alla complessità della storia politica sudafricana. Eppoi certe notizie sembravano solo la ripetizione di un testo scritto da altri. Chi fa del proprio mestiere l’informazione dovrebbe essere obiettivo, dovrebbe fornire notizie corrette e non edulcorate per vendere più pagine di carta o abbonamenti internet o tv. Queste dovrebbero essere imparziali. È necessaria una visione più equilibrata.


Con Nelson Mandela se n’è andata una delle figure più importanti, conosciute e “simboliche” del ventesimo secolo. In primo luogo, Nelson Mandela è stato qualcuno che per davvero doveva essere ammirato, dato che fin dall'inizio la sua vita era piuttosto privilegiata (non sono pazzo, era una predestinato anche prima di essere imprigionato), decise di vivere e lavorare per il suo popolo, per farlo uscire da quello stato di schiavitù mascherata da libertà. Era un popolo libero solo a parole, nella realtà costretto a lavorare e servire quello dominante per poi essere ricambiato con la violenza e l’odio. Mandela combatteva contro quel destino avverso. Ciò non di meno era davvero un privilegiato. Il suo clan era quello di Madiba, un clan che ha fornito molti re per la sua Aba Thembu (Thembu=persone, regno di persone). Queste persone, a causa della loro lingua, furono chiamati "Xhosa", il popolo Thembu erano un popolo indipendente fino a poco tempo fa. Per chi ha sempre pensato al popolo bianco usurpatore delle terre africane vorrei aggiungere che contrariamente alla credenza popolare, la stragrande maggioranza dei neri in Sud Africa non sono nativi, ma sono arrivati a milioni dai paesi limitrofi solo dopo che i boeri crearono una nazione con una fiorente economia, vaste opportunità di istruzione e notevoli benefici medici. Era quindi sbagliato considerare il popolo nero indigeno dell’estremo territorio africano del sud e estraneo il popolo dei bianchi europei. In questa visione realistica l’unico popolo che avrebbe potuto vantare diritti territoriali fu quello dei boscimani, praticamente scomparso poche decine di anni dopo l’insediamento delle colonie boere nelle province del Capo di Buona Speranza. 

Mandela era un appartenente al popolo Thembu, di origine Bantu e provenienti dall’Africa centrale e non uno Zulu come molti media nostrani hanno indicato. Mandela è andato alle scuole private a pagamento, e frequentò Fort Hare, che era l'unica università per i neri in Sud Africa a quel tempo. Davvero un privilegiato.

E anche questo è parte del risentimento. I genitori di molti miei amici sudafricani bianchi erano rifugiati. Non avevano privilegi, i bambini dei rifugiati non andavano nelle scuole private ne tantomeno ammessi alle università di prestigio anche se di casta e certamente essi non avevano ne potevano vantare nessuna origine nobile di fantasia, reale o altro. Torniamo dunque a Mandela senza dimenticare che il rischio di una analisi affrettata è quello di sacrificare tanto l’analisi storica, quanto quella politica al bisogno collettivo (e mediatico) di costruire eroi e di evidenziare contrapposizioni manichee. 
Mandela presenta, nei fatti, non solo momenti “alti”, ma anche passaggi più controversi, incluso il ricorso a mezzi non sempre giustificati dai fini. E parlo della violenza. Naturalmente, quando una persona scompare, è buona regola parlare innanzitutto dei suoi meriti, almeno quando ciò è possibile, e nel caso di Nelson Mandela ciò è sicuramente possibile. Il più grande merito di Nelson Mandela è quello di aver gestito con notevole maturità la riconciliazione sudafricana, negli anni immediatamente seguenti alla fine dell’apartheid.


Mandela arrivò a un punto, comprensibile, dove decise di creare un movimento rivoluzionario comunista, per rovesciare il sistema con la violenza. Perché è meglio che si sappia. L’ANC e il suo braccio violento contro l’Apartheid era stato creato e voluto da Mandela, per rovesciare i dominatori bianchi boeri con gli stessi mezzi usati da questi contro la sua gente. Questa è la verità, lo stesso vincitore del Premio Nobel per la Pace e leader del Congresso Nazionale Africano (ANC) Albert Luthuli inorridì quando si seppe che alla base della campagna di violenze contro il regime c’era Nelson Mandela!(2)(3)

In seguito, e a malincuore, Luthuli diede una benedizione qualificata per la "Lotta di classe" (modificata per essere più appetibile per i sostenitori occidentali in "lotta per la libertà"). Luthuli era prima di tutto e sempre un cristiano e quindi comprensibilmente non entusiasta di fondare un'organizzazione di guerriglia marxista. Più tardi, diede la sua benedizione, ma non fu mai un sostenitore attivo della politica dell’ANC.

Nella cultura tradizionale africana esiste un complesso sistema di obblighi a incastro che vanno d’accordo con l'appartenenza a un clan o a una famiglia allargata. Questi includono legami matrimoniali, ma anche la spiritualità e l'organizzazione sociale. Luthuli, come cristiano, avrebbe messo se stesso al di fuori di questi legami, mentre Mandela è rimasto nel "sistema". Questo gli diede il tipo di influenza che non avrebbe altrimenti avuto.


In contrasto con Luthuli, Mandela sentì che la violenza era necessaria. Sentiva che tutte le altre vie per trattare con il governo dell'apartheid si erano esaurite, non era realmente così, fu portato a credere che fosse così, quindi creò Umkhonto we Sizwe (Lancia della Nazione), un'organizzazione guerrigliera di stampo comunista. Non è vero, quindi, che Mandela era un pacifista e poneva innanzitutto una resistenza pacifica contro l'apartheid. All’apparenza si, ma dietro le quinte, in una realtà che doveva restare nascosta fu tutto il contrario e lo scrivo qui senza il timore di essere smentito, queste informazioni derivano dai fatti, da fatti, concreti(1). Il Mandela di quel tempo era tutto a favore della rivoluzione armata. La domanda che sorge spontanea è: qual era lo scopo di questa rivoluzione? Era la democrazia? Ne dubito fortemente. Le loro parole a quel tempo (e che ora negano di averle mai pronunciate) erano pura terminologia comunista. Nessuno ha mai citato gente come Edmund Burke, Jean Jacques Rousseau e Thomas Jefferson. Hanno solo citato Marx, Lenin, Mao e gli altri killer professionisti. Tutti ideologi nei loro paesi, molti di loro ricusati dai loro stessi concittadini e morti in miseria. Lo stesso Lenin e poi Mao, leader acclamati da vivi e mal considerati una volta trapassati. Alcuni dei leader di ANC ancora citano queste mummie comuniste come la soluzione di tutti i mali non accorgendosi che il mondo cambia, è cambiato tanto rapidamente da permettere l’abbattimento dei muri veri, o virtuali, di divisione fra il mondo comunista e quello capitalista. 

Torniamo per un momento a Mandela e a quel 1993. Io c’ero, ero li, a Johannesburg e poi a Cape Town. Io vidi con i miei occhi tutto e posso affermare con certezza e riportare al mondo quello che vidi e ho avuto modo di vivere. Nel 1993 il Sud Africa era un paese lacerato e quindi erano presenti tutti gli ingredienti per uno scenario di guerra civile. Gruppi paramilitari bianchi ben organizzati e pronti all’azione, una popolazione nera esasperata ed ideologizzata e violente contrapposizioni tra African National Congress e Inkhata nella provincia del Kwazulu-Natal. In questo delicato contesto si inserì Nelson Mandela, canalizzando i sentimenti rivoluzionari dei neri in un progetto gradualista ed al tempo stesso a conquistare presso l’elettorato bianco quel tanto di fiducia che bastava per legittimare il nuovo assetto politico. 

Parole, apparenza, fumo negli occhi, un camaleontismo collaudato. Il Mandela buonista volto di Giano bifronte che sorrideva al nemico bianco, mentre dall’altra l’MK e il Mandela reazionario girato dall'altra parte. L’ANC aveva aderito alla guerra fredda al fianco dell’Unione Sovietica, della Cina comunista che passavano loro le armi e gli esplosivi per uccidere innocenti, bianchi certo e boeri, ma sempre innocenti. Era una guerra contro un sistema, non solo ideologico ma totale. Bianco contro nero per l’annientamento finale. Che poi annientamento non ci fu, anche a causa di forti pressioni da parte di altre potenze schierate all’altro lato della barricata, gli Stati Uniti d’America in primo luogo. Si disse che a soffiare sul fuoco di liberazione sudafricano ci fossero gli USA. Niente di più falso. Era vero che agli americani il regime non faceva più comodo, era anche vero che cercarono in diverse occasioni di “scippare” il grande business dell’oro e dei diamanti ancora saldamente in mano a organizzazioni boere, ma era anche evidente che entrare come un elefante in una cristalleria nel fragile momento sudafricano equivaleva a distruggere quelle possibili opportunità di poter metter mano un giorno sulle grandi ricchezze della nazione arcobaleno come Desmond Tutu ebbe a chiamarla.


In quegli anni non tutti furono contrari al nuovo sistema che pensavano dovesse venire instaurato. Durante la fine dell’era coloniale, di cui una parte ha coinciso con la guerra fredda, molte persone altrimenti decenti erano disposte a tollerare i crimini del comunismo al fine di contrastare più efficacemente la Gran Bretagna, la Francia o il Belgio nelle loro lotte per l'indipendenza. In altre parole, coloro che hanno combattuto per i loro fondamentali diritti umani, della democrazia multipartitica e la libertà di parola, hanno combattuto idealmente a fianco dell’URSS che schiacciava i sogni di libertà e indipendenza del popolo ungherese! Quello non era il comportamento di un uomo di pace! Mandela e la sua organizzazione non erano nello stesso campionato come Mahatma Gandhi o il Dalai Lama!

Tuttavia Nelson Mandela non fu solamente un pacifista e pacificatore. Fu anche, nei fatti, il leader di un movimento che a lungo ha seguito strade politiche violente e aderito a visioni politiche marxiste e filosovietiche. Nella delicata questione sudafricana, l’African National Congress è stato per decenni parte del problema, non parte della soluzione. L’ideologia comunista dell’ANC e il ricorso alla violenza come strumento di lotta politica rappresentavano un elemento di assoluta incomunicabilità con l’opinione pubblica bianca che negli anni si compattava sempre di più a sostegno del National Party al governo come pure di partiti alla sua destra. Tanto più i neri erano visti come rivoluzionari, tanto più nel dibattito politico bianco si indebolivano le posizioni dei verligtes (riformatori) a favore dei verkramptes (conservatori) e tanto più il Sud Africa bianco percepiva di trovarsi di fronte alla scelta binaria tra comunismo e apartheid.

Andando quindi in ordine cronologico, quando nel 1942 Mandela si unì all’ANC un partito “gemello” di quello di Gandhi, ma dallo stile decisamente diverso, fondò al suo interno la Youth League; e qualche anno dopo diventa comandante dell’ala armata del partito, la Umkhonto we Sizwe, o Lancia della Nazione come detto precedentemente. Mi seguite? Non ci siamo persi nulla nella disanima dell’uomo Mandela. Mi si dirà che le persone cambiano, che adesso è troppo facile sparare sull’uomo Mandela che non può difendersi, che forse non sono informato a sufficienza o di parte. Nel 1962 Mandela viene arrestato a causa delle sue attività, e sommando due processi gli viene comminato l’ergastolo. Sulla base di un processo giusto, riuscì a evitare la condanna a morte. Questo è quanto ci dicono i media “ufficiali”. Ma nessuno ci dice il perché. Forse la commissione Amnesty International che rifiutò di appoggiare il suo caso sbagliò, ritenendo che Mandela non fosse un prigioniero politico ma un “terrorista violento, condannato nell’ambito di un giusto processo”?

Mandela fu arrestato e trovato colpevole non di volere la democrazia e la libertà, anzi di aver cercato di rovesciare il governo legalmente costituito e eletto dal popolo sudafricano seppur format dai soli bianchi. Senza dubbio egli aveva delle buone ragioni per volerlo. Nessun governo, democratico o meno, può tollerare chi cerca di rovesciare il sistema con la violenza. Quindi, Nelson Mandela trascorse 18 anni a Robben Island. Poi fu trasferito in condizioni molto più confortevoli nella prigione di Polsmoor e in seguito agli arresti domiciliari presso la prigione Victor Verster. Non meravigliatevi. Nelson Mandela un domicilio reale non l’aveva più da quasi trentanni, l’ultimo conosciuto era quello di una prigione, dorata rispetto alle precedenti dove aveva trascorso I suoi anni peggiori, sempre un luogo di detenzione.

Quando Mandela fu rilasciato, il mondo era cambiato e lui era abbastanza grande per cambiare con esso. Fu capace quindi di scavare in profondità nella cultura africana tradizionale, dove esisteva un concetto che meritava di essere ampiamente pubblicizzato. Si chiamava Ubuntu. Significa "umanità". Mandela, a differenza del suo predecessore Luthuli non era Cristiano, era stato battezzato ma non aveva abbracciato mai la religion Cristiana, non si riconosceva in essa, invece aveva utilizzato l'antico concetto di umanità. Come Gesù Cristo 2000 anni prima era pronto a riconciliarsi con i suoi ex nemici e aguzzini. Era pronto a mettere da parte qualunque sentimento personale che potesse aver avuto e considerare il bene comune di tutto il popolo del Sud Africa. E così Nelson Mandela spostato dall'essere solo un altro rivoluzionario comunista/socialista del Terzo Mondo cominciò a essere considerato uno statista. Lui stesso sentiva che poteva diventarlo, anzi agiva come se lo fosse. Il passo fu breve. Dopo la sua elezione, nel 1994, lavorò instancabilmente per unire i sudafricani, e vorrei dire che è riuscito in questa sua opera immane.

Rispetto profondamente Madiba e ora che è morto, posso senza remore salutare un uomo rispettabile che, attraverso la riconciliazione e la visione, ha contribuito a iniziare un nuovo capitolo nella storia del South Africa.

Ma si dice spesso che era una visione viziata e lo era veramente. 

Non voglio tuttavia costruire un santuario per il presunto santo. 
Saluto lo statista. Onore delle armi.

Riposa in pace, Madiba!

Note:








2013/12/11

Leon, tributo in onore di un amico fedele


Il 18 Novembre di quest'anno Leon ci ha lasciato, questa volta per sempre.
Altre volte ci aveva lasciato, anche per giorni, si infilava nel cancello lasciato aperto e spariva nella foresta, e poi rientrava dapo giorni di girovagare e lo sentivi fuori dalla recinzione quando chiamava per farsi aprire: wouff, wouff...

E’ impossibile che una persona che ha trascorso lunghi anni in compagnia del proprio cane possa restarne privo senza sentire di aver perso qualcosa di sé, anche se si tratta di un cane anziano. Se la morte arriva improvvisa, la perdita è straziante. Leon non era solo il cane di Melissa. Era anche il mio migliore amico. Aveva vissuto con noi per più di quattordici anni. Eravamo preparati a questo, sapevamo che prima o poi la morte di uno dei nostri cani sarebbe stata inevitabile. ma credevamo che Luna ci avrebbe lasciati prima. il fila brasileiro infatti vive dai nove ai dieci anni. Luna e' nata nel 2003, dieci anni li aveva raggiunti, il giorno della dipartita poteva essere vicino. Avevamo anche gia' chiesto al veterinario che fare nel caso che... perche' con i suoi cinquanta kg sarebbe stata difficile da gestire la sua morte e invece... 
Leon aveva, in un certo senso, determinato il nostro modo di vivere. Dopo la sua scomparsa, la sensazione di solitudine e' immensa. La prima sensazione che si prova, spesso è quella di non accettazione: “non è possibile” “non è vero”. Poi si deve affrontare la realtà.

La morte di un cane non è certo traumatica come la perdita di un familiare, ovviamente. Ma forse è proprio questo il lato più ostico della cosa. Il dolore lo dobbiamo spesso affrontare da soli, senza la comprensione del mondo esterno, senza poterci sfogare con chi ha motivi “più validi” per soffrire, quasi vergognandoci di star male per un cane. “E’ solo un cane” minimizzano in molti. Questo è davvero difficile da sopportare. “E’ solo un cane”, pensiamo alle volte anche noi, provando quasi un senso di colpa per il nostro dolore, perché inconsciamente lo mettiamo in competizione con quello che dovremmo provare per le persone che ci hanno lasciato.

Piangere e manifestare i propri sentimenti è, più che mai, imbarazzante. Gli psicologi dicono che dovremmo esprimere il dolore e non reprimerlo. Non è saggio isolarsi ed è umano piangere, ma tutte le persone ci invitano a non farlo. Siamo costretti a far finta di niente ed è tutt’altro che facile.

Non tutti gli umani reagiscono comunque allo stesso modo. Il dolore non si manifesta secondo uno schema fisso. Le varie reazioni possono sovrapporsi ed essere di diversa durata, a seconda della persona e delle circostanze.
La morte di un cane ancora giovane è senz’altro l’avvenimento più grave. Tutto d’un tratto, il nostro cane apparentemente sveglio e normale, non c’è più. Incidenti, avvelenamenti, malattie fulminati, sono le cause più comuni. La fonte della più grande felicità diviene di colpo quella del più sconfinato dolore. 

Razza strana l’essere umano, una sola forma un solo volto un solo colore del sangue, ma molto divisi tra noi, il bianco si sente superiore al nero, il ricco non può avere legami col povero, i diversi… tutto ciò che ci è diverso deve tenere le distanze dal nostro io, dal nostro saper essere super uomini, diverso, perché, e da cosa si e' diversi , se alcuni uomini sono diversi da noi ciò vuol dire che noi siamo diversi da loro, allora perché i diversi sono loro? Se noi siamo diversi allo stesso tempo da chi ci è diverso, quindi i diversi siamo noi? E i cani? Si sentono diversi anche loro?

Leon viveva con la sua Luna, anzi per dirla breve era Luna che viveva con Leon, lei era l'ultima arrivata nella sua vita, ingombrante e predominante fila brasileiro che pretendeva tutto dal piccolo beagle Leon. Eppure erano inseparabili, per questo adesso Luna non sa darsi pace, piange tutto il giorno nonostante siano passati i giorni.

Cosa avra' pensato il piccolo Leon negli ultimi giorni prima di morire? Per capire il comportamento di un cane è essenziale esaminare il modo in cui affronta la morte. Noi uomini sappiamo tutti che un giorno moriremo e ci comportiamo di conseguenza; il cane, invece, non ha il concetto della morte e quindi non può prevederla, per quanto malato si senta. Per un cane, o per qualunque altro animale, la malattia rappresenta qualcosa di spiacevole che lo sta minacciando. Se avverte dolore, si considera preda di un’aggressione. Per lui è diffìcile distinguere tra un tipo di dolore e un altro quando cerca di capire cosa c’è che non va. Se il dolore diventa acuto, il cane sa di essere fortemente in pericolo, ma se non vede da dove proviene il pericolo, non può voltarsi per affrontarlo e difendersi mordendo: non c’è niente contro cui prendersela. A questo rimangono soltanto due strategie alternative: scappare o nascondersi. Se il dolore sopravviene mentre il cane sta «pattugliando» il suo territorio, la sua reazione naturale sarà quella di cercare di nascondersi dal suo «aggressore» e, scorgendo un riparo lì vicino, o qualche altro nascondiglio l’animale vi si dirigerà e rimarrà lì nascosto da solo, aspettando che la minaccia svanisca o che il dolore cessi. Il nostro amico non osa uscire, Temendo che ciò che ha causato il dolore sia in agguato, e quindi rimane lì a morire da solo, in privato. Nonostante le osservazioni precedenti degli scrittori a proposito di questo argomento, nel momento della sua morte il cane non sta pensando ai sentimenti del suo padrone, ma semplicemente su come può proteggersi dal terribile e inosservato pericolo che gli sta causando tanto dolore.

OGM?

Qualunque attività umana non è a rischio zero, l'opportunità o meno di adottare una nuova tecnologia, qualunque essa sia, è legata all'analisi dei rischi e dei benefici. Anche gli OGM non sfuggono a questo principio: non avrebbe senso accettare gli OGM solo dopo aver accertato un rischio zero, poiché non sarebbe coerente con qualunque altra attività umana.
Esistono due linee di principio molto diverse in tal senso.
Nel 1993 l'Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (OECD) ha introdotto il principio della "equivalenza sostanziale" tra alimenti agricoltura tradizionale e alimenti OGM. Tale principio è stato approvato da una consultazione congiunta FAO/WHO nel 1996.
Il principio di equivalenza, ampiamente utilizzato in USA, è stato contestato da molti organismi scientifici, come la rivista Nature (vol. 401, 525, 1999) che lo ha definito "ai limiti della pseudoscienza".

Altri organismi, come la Royal Society canadese hanno proposto la sostituzione del principio di equivalenza con il "principio di precauzione", come elemento fondamentale in un campo in cui domina ancora l'incertezza dovuta all'ignoranza, alla scarsa conoscenza del funzionamento di un sistema biologico molto complesso. Tale principio non deve essere considerato come fattore limitante per la ricerca, ma come punto di partenza per il suo sviluppo, con l'obbiettivo di giungere alla totale sicurezza ambientale e alimentare.
Secondo il principio di precauzione, gli OGM non sono rischiosi in sè, bisogna valutare caso per caso, come accade per qualunque nuovo farmaco o alimento immessi sul mercato, il rapporto tra rischi e benefici e prendere le dovute precauzioni prima dell'immissione sul mercato, ed effettuare un monitoraggio attento dopo la commercializzazione.

Le accuse mosse contro gli OGM

Le principali accuse mosse nei confronti degli OGM sono elencate di seguito, va evidenziato che i pericoli reali associati alle biotecnologie non esistono.

Rischi per la salute


Gli alimenti OGM vengono accusati di essere potenziali allergenici. Qualunque alimento può scatenare una allergia nei soggetti predisposti, il problema quindi non è nell'alimento, ma nei soggetti che sono sensibili a tale alimento. Ci sono persone che sono morte per shock anafilattico ingerendo alimenti comunissimi come un arachide, ma non per questo le arachidi devono essere bandite dal commercio! Se un alimento OGM presenterà un tasso di allergenicità elevato potrà essere prontamente rimosso dal commercio, come avvenuto nel 1996, quando i ricercatori del Nebraska hanno rilevato che la soia geneticamente modificata con un gene della noce brasiliana prodotta dalla Pioneer Hybrid, era allergenica ad una parte significativa della popolazione. La Pioneer Hybrid ha saggiamente interrotto la commercializzazione di questo prodotto. Mio figlio era allergico al latte vaccino e questo fino ai tre anni, non ho sentito nessuno che abbia proposto di mettere fuori legge il latte vaccino o vietarne la vendita.

La biodiversità è intesa come insieme delle risorse genetiche disponibili in un certo territorio; quanto più grandi e differenziate sono tali risorse tanto maggiore è il potenziale di nuove coltivazioni e di nuovo cibo. Uno dei fattori principali della perdita della biodiversità negli ambienti naturali è sempre stato rappresentato dall’introduzione della pratica agricola. Questa, oltre trasformare i boschi e le praterie in monocolture, può attentare alla biodiversità delle specie selvatiche attraverso la diffusione del polline delle piante coltivate. Esistono esempi eclatanti di attentati alla biodiversità: uno su tutti, l'introduzione della Robinia pseudoacacia, introdotta per consolidare la massicciate dei treni, che si è diffusa in buona parte del paese a discapido della pianta autoctona Acacia.

Secondo alcuni le piante OGM potrebbero diventare infestanti e diffondersi nell'ambiente a discapito di altre. Questo può avvenire solamente se il gene introdotto conferisce un vantaggio selettivo nei confronti delle altre piante, cosa che attualmente non avviene e che può essere evitata con una banale sperimentazione. Nel caso poi che ci sia un vantaggio selettivo, allora è sufficiente inserire il transgene nel cloroplasti delle cellule: in questo modo il transgene non si trasmetterà nel polline e non ci sarà il rischio di diffusione dello stesso nell'ambiente.

OGM: perché non essere contrari


Il rischio zero non esiste neanche in agricoltura: i benefici del miglioramento agricolo sono stati sempre considerati di gran lunga superiori ai rischi. Il miglioramento delle specie coltivate è stato fino ad ora ottenuto attraverso l’incrocio e la mutagenesi che certamente non sono esente da rischi: con queste tecniche infatti i geni sono modificati a caso ed in modo incontrollabile. Una razionale proposta è quella di: "accettare la piante OGM se il loro rischio è uguale o inferiore a quello che oggi accettiamo per le piante prodotte con il miglioramento genetico tradizionale (incroci e mutazioni)".

E’ stato inoltre pubblicato sul numero 80 del Journal of Proteomics un lavoro dal titolo: “How much does transgenesis affect wheat allergenicity? Assessment in two GM lines over-expressing endogenous genes”. Il frumento fa parte dei cosiddetti “big eight allergens”, insieme a soia, uova, latte, pesce, molluschi bivalvi, nocciole e arachidi, ovvero gli alimenti che più spesso sono responsabili di allergie alimentari e, per alcuni di essi, anche respiratorie. Si stima che tra lo 0.1 e lo 0.4 % della popolazione mondiale sia allergica alle proteine presenti negli sfarinati a base di frumento, peraltro fondamentali, dato che si deve loro gran parte delle proprietà tecnologiche e nutrizionali di pasta, pane, biscotti e di tutti gli altri numerosi prodotti derivati dal frumento.

La possibilità di sviluppo di allergie è una delle maggiori preoccupazioni riguardo agli alimenti contenenti OGM, per cui, sebbene non vi siano frumenti OGM commerciali al momento, ve ne sono numerosi realizzati nei laboratori, ad esclusivo scopo di ricerca, ma non è escluso che frumenti OGM possano essere commercializzati nei prossimi anni. Allo scopo perciò di verificare se vi fosse una differenza nel livello di espressione delle proteine allergeniche in linee di frumento OGM disponibili nei laboratori che hanno condotto la ricerca in questione, sono state messe a confronto due linee di frumento transgeniche con i relativi genotipi non OGM, corrispondenti alle varietà di frumento duro Svevo e di frumento tenero Bobwhite.

La novità di questo lavoro risiede soprattutto nell’uso dei sieri di pazienti allergici al frumento (bambini e adulti, con allergia di tipo respiratorio o alimentare), che hanno permesso di misurare la quantità di proteine immunogeniche estratte dagli sfarinati mediante test ELISA e di effettuare delle analisi dettagliate di proteomica che hanno portato all’identificazione delle proteine immunogeniche stesse.
I risultati ottenuti da tale confronto hanno indicato che non esistono differenze sostanziali tra i genotipi OGM e le varietà commerciali, e che fondamentalmente esiste un’enorme variabilità tra gli individui allergici, sia verso le varietà commerciali che verso i genotipi OGM.

Sono state osservate, infatti, diverse combinazioni di situazioni: due proteine immunogeniche sono state rilevate solo in una linea OGM, ma non nella varietà coltivata corrispondente. E’ stata riscontrata però anche la situazione opposta, ovvero è stata osservata la presenza di specifiche proteine immunogeniche nella varietà coltivata, risultate invece assenti nella corrispondente linea OGM.
Inoltre, è stata rilevata un’estrema variabilità di risposta tra i diversi pazienti, sia nel numero, che nel tipo di proteine immunogeniche presenti, nonché della quantità delle singole proteine. 

I saggi ELISA infatti hanno mostrato che, dei 18 sieri testati, dieci non presentavano nessuna differenza a livello quantitativo nella reattività verso le frazioni proteiche estratte dalle due linee OGM e dalle rispettive varietà coltivate. Degli otto sieri rimanenti, cinque mostravano una maggiore reattività solo verso la linea OGM di frumento duro, ma non di tenero. I due restanti sieri mostravano una maggiore quantità di IgE contro le proteine presenti nella varietà di frumento tenero e non nella corrispondente linea OGM, mentre un altro siero mostrava una reattività leggermente superiore contro la linea di frumento tenero OGM rispetto alla varietà coltivata corrispondente.

L’analisi proteomica ha mostrato che tutte le proteine identificate corrispondevano ad allergeni già noti. Insomma, le differenze tra OGM e non OGM sembrano paragonabili, se non addirittura inferiori, a quelle osservate tra le cultivar commerciali Svevo e Bobwhite, per quanto riguarda la quantità e il tipo di proteine immunogeniche.
In conclusione, questi risultati hanno confermato che la transgenesi è solo uno dei fattori che devono essere valutati in relazione alle allergie. Infatti, per alcuni dei pazienti presi in esame, la linea GM è risultata addirittura contenente meno proteine coinvolte nelle allergie, rispetto alla corrispondente varietà commerciale, quindi non OGM, mentre per altri casi è stata riscontrata la situazione opposta.
Questo dimostra come non sia possibile prevedere o generalizzare l’effetto della transgenesi sulle allergie, e che ogni situazione andrebbe analizzata singolarmente, non solo nel caso degli OGM, ma anche delle varietà commerciali, quando queste siano già note per essere allergeniche.

(Gli autori della ricerca sono Roberta Lupi, Stefania Masci, Domenico Lafiandra, dell’Università della Tuscia, Corrado Rizzi dell’Università di Verona, Marco De Carli della Azienza Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine, insieme ai colleghi francesi Sandra Denery-Papini, Colette Larré ed Helene Rogniaux dell’INRA di Nantes e a Denise Moneret-Vautrin del Centro Ospedaliero J. Monnet di Epinal).