<bgsound loop='infinite' src='https://soundcloud.com/sergio-balacco/misty'></bgsound>

pagine

2014/03/05

2013

La notte di Capodanno per tradizione si butta il "vecchio" e si apre al "nuovo".
E nei primi giorni del nuovo anno siamo tutti pronti a lanciarci in nuovi obiettivi, sfide, propositi e piccoli e grandi desideri. Un nuovo anno, lo sappiamo, porta nuovi inizi, e uno stato che ci spinge a voler spezzare le cattive abitudini e diventare la persona che si vuole essere o almeno proviamo a incamminarci in quella direzione. Mantenere la rotta nel voler diventare una persona migliore durante tutto l'anno potrebbe non essere difficile se vi è un cambio di prospettiva, di motivazioni. Partire da noi stessi tuttavia non basta, bisogna guardare alle occasioni che la vita ci offre. Dobbiamo ricordarci però che un nuovo anno è solo una data sul calendario, nessun nuovo evento astronomico nè planetario. L'uomo ha identificato il trascorrere del tempo attraverso un mero calcolo matematico, naturalmente considerando la rotazione del pianeta nel nostro sistema solare giusto per avere un riferimento sicuro. Ma è proprio questa sicurezza, questo ripetersi all'infinito, anno dopo anno, o meglio questo continuo moto di rivoluzione attorno al sole, stella eterna, per quanto ci riguarda, fonte di vita e speranza, che deve far riflettere. Esso non ha mai fine, non ha tempo, non ha una meta ne un punto di inizio. Se, per assurdo, tutti gli abitanti della terra ordinassero alla terra, nello stesso momento, di cambiare rotta, resterebbero delusi, perché essa continuerebbe a seguire regole che nessuno ha scritto e ordinato. 


Fermatevi e riflettete.


Spesso si ha la tendenza a santificare automaticamente chi muore, dimenticando come per magia tutte le sfaccettature della loro personalità e dei loro trascorsi personali e pubblici. La verità è che non tutti i morti sono santi, anche se sono famosi: di certo hanno scritto la storia, spesso nel bene e qualche volta anche nel male. Senza voler sembrare troppo cinico, non posso non citare il detto "ogni giorno c’è qualcuno che trapassa", perché in questo 2013 la lista delle defezioni eccellenti sembra volersi allungare ogni giorno di più. 

Risulta dunque lungo e triste l’elenco dei morti famosi dell'anno appena passato. Si è aperto con la morte di Mariangela Melato a gennaio, a cui sono susseguiti una serie di altri celebri decessi, più o meno inaspettati. Alcuni sono deceduti a causa dell’età avanzata, come Giulio Andreotti, altri, invece, si sono spenti dopo una lunga malattia, come il presidente sudafricano Nelson Mandela. Quale che sia la causa, è certo che il mondo dello spettacolo, della musica, della religione, della cultura, della moda, della scienza, della politica e dello sport ha perso alcuni dei suoi migliori rappresentanti, tra cui l’amatissimo Don Gallo e la bravissima Mariangela Melato. 

Ricordiamoli così, in questa breve carrellata a cui seguiranno, per chi se lo merita, gli ultimi applausi alla memoria:


Nelson «Madiba» Mandela 
Politico, icona, Prenio Nobel per la Pace
(Mvezo, 18 luglio 1918 – Johannesburg, 5 dicembre 2013)


Uomo politico sudafricano e leader dell'African National Congress, è stato presidente della Repubblica Sudafricana, il primo eletto dopo la fine dell'apartheid, il regime di segregazione della popolazione di colore e contro il quale lo stesso Mandela ha combattuto per tutta la vita rivendicando parità di diritti per i neri. Incarcerato per oltre 25 anni, nel 1993 è stato insignito del premio Nobel per la pace.



Giulio Andreotti 
Politico
(Roma, 14 gennaio 1919 – Roma, 6 maggio 2013) 


È stato probabilmente il più noto - e controverso - tra i politici italiani della cosiddetta Prima Repubblica. Esponente di spicco della Democrazia Cristiana, è entrato in Parlamento a 26 anni e vi è poi rimasto fino alla fine dei suoi giorni (era senatore a vita). Più volte ministro, è stato otto volte presidente del Consiglio. Non è mai riuscito ad ottenere i consensi sufficienti per diventare presidente della Repubblica, nonostante sia stato più volte considerato un «papabile» per il Colle.



Margareth Thatcher 
Politico
(Grantham, 13 ottobre 1925 – Londra, 8 aprile 2013)


Chi non se la ricorda? È stata forse la donna più potente sel suo tempo. Britannica, membro di punta del partito conservatore, è stata premier fra il 1979 e il 1990, unica donna ad avere mai ricoperto quel ruolo. Soprannominata «lady di ferro» per la sua forte determinazione e intransigenza, ha affrontato tra le altre anche la crisi delle Falkland-Malvinas e della guerra lampo che ne è scaturita contro l’Argentina, da cui il Regno Unito uscì vittorioso.



Margherita Hack 
Scienziata
(Firenze, 12 giugno 1922 – Trieste, 29 giugno 2013) 


Astrofisica, docente all'università di Trieste, vegetariana, amante degli animali, attivista politica per i diritti delle donne, simpatizzante della sinistra. E' stata autrice di diversi libri e negli ultimi anni ha condotto un programma di divulgazione scientifica per ragazzi sul canale satellitare DeaKids. E' uscito postumo il suo ultimo libro "Italia sì, Italia no".



Peter O'Toole
Attore
(Connemara, 2 agosto 1932 – Londra, 14 dicembre 2013)


Leggere il suo nome forse vi dirà poco, ma il suo nome è legato per l’eternità al personaggio di Thomas Edward Lawrence, reso immortale nel film Lawrence d’Arabia di David Lean nel 1962. Grazie a quel film, Peter O’Toole diventa un sex symbolo assoluto a soli due anni dal suo esordio al cinema: da lì in poi è stato un crescendo in una carriera segnata dal record di otto nomination all’Oscar come migliore attore protagonista (mai vinto, purtroppo). Per rimediare, l’Academy nel 2003 gli ha conferito la statuetta alla carriera.



Stefano Borgonovo 
Calciatore
(Giussano, 17 marzo 1964 – Giussano, 27 giugno 2013)


Ex calciatore di Serie A nel Milan e nella Fiorentina, colpito da Sla, è stato uno dei testimonial delle battaglie contro questa malattia grazie alla fondazione creata nel 2008 che porta il suo nome. Dopo esser stato colpito dalla malattia Borgonovo è stato insignito di importanti riconoscimenti (Ambrogino d’Oro a Milano nel 2008, Abbondino d’oro a Como nel 2009 e Fiorino d’oro a Firenze nel 2010, benemerenza civica e massima onorificenza per un cittadino non fiorentino. Nel 2008 aveva dato vita alla Fondazione Stefano Borgonovo Onlus, che sostiene la ricerca per vincere la SLA, di cui egli stesso era affetto. Sempre nel 2008, Borgonovo aveva iniziato una collaborazione con il quotidiano sportivo La Gazzetta dello Sport.




Doriano Romboni 

Motociclista
(Lerici, 8 dicembre 1968 – Latina, 30 novembre 2013)


Ex motociclista professionista. una delle tre «frecce tricolori» degli anni Novanta assieme a Max Biaggi e Loris Capirossi. E' morto a seguito di un incidente a Latina durante le prove del «Sic Supermoto Day», meeting motociclistico organizzato in memoria di Marco Simoncelli.



Enzo Jannacci 

Cantautore
(Milano, 3 giugno 1935 – Milano, 29 marzo 2013)


Enzo Jannacci cabarettista e attore italiano, è stato uno degli interpreti della milanesità in chiave musicale, il suo successo è stato sempre di rilievo nazionale anche grazie alle numerosi partecipazioni a programmi televisivi. Tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del dopoguerra. Caposcuola del cabaret italiano, nel corso della sua cinquantennale carriera ha collaborato con svariate personalità della musica, dello spettacolo, del giornalismo, della televisione e della comicità italiana, divenendo artista poliedrico e modello per le successive generazioni di comici e di cantautori.

Autore di quasi trenta album, alcuni dei quali rappresentano importanti capitoli della discografia italiana, e di varie colonne sonore, Enzo Jannacci, dopo un periodo di ombra nella seconda metà degli anni novanta, è tornato a far parlare di sé ottenendo vari premi alla carriera e riconoscimenti per i suoi ultimi lavori discografici. È ricordato come uno dei pionieri del rock and roll italiano, insieme ad Adriano Celentano, Luigi Tenco, Little Tony e Giorgio Gaber.


Don Andrea Gallo 

Religioso
(Genova, 18 luglio 1928 – Genova, 22 maggio 2013)


Sacerdote, già partigiano, è stato fondatore della comunità di di San Benedetto al Porto di Genova, fortemente impegnata in campo sociale, in particolare nel recupero degli emarginati e delle prostitute. Di simpatie comuniste, è sempre stato considerato un prete anomalo e controcorrente. E' stato in prima fila al G8 di Genova del 2001al fianco di Dario Fo e Franca Rame. Ha scritto, come autore o con altri, anche una ventina di libri, tra cui l'autobiografia «Angelicamente anarchico».




Jack the Ripper



Erano le 3.45 del mattino del 31 agosto 1888, una donna è riversa a terra in un vicolo di Whitechapel, quartiere malfamato nel nord est londinese. La gola tagliata, profonde ferite all'addome e agli organi genitali. È l'inizio di una scia di sangue lasciata dietro di se da Jack the Ripper, ovvero «Giacomino lo Squartatore», che colpì almeno altre quattro volte prima di scomparire improvvisamente, come era apparso.
Senza mai venire identificato. Sospetti tanti, qualcuno arrivò anche a lambire la famiglia reale inglese, Oscar Wilde e Lewis Carrol, ma certezze nessuna. Si ipotizzò persino potesse essere Mary Pearcey che ammazzò e tagliò la testa alla moglie dell'amante e alla loro figlia. Dubbi per altro alimentati nel 2006 quando, secondo un team di esperti, le tracce di Dna lasciate sulle lettere spedite dal vero Jack the Ripper sarebbero appartenute appunto a una donna.

Era dunque una notte di fine estate quando il «più famoso» serial killer della storia prese a colpire le sue vittime, tutte prostitute, uccise in maniera raccapricciante. La prima dunque fu Mary Ann Nichols, 43 anni, trovata poco prima della 4 di notte in Buck's Row, di fronte ad uno dei tanti mattatoi di Whitechapel. Appena una settimana dopo, l'8 settembre, Ripper aggredì poco distante Annie Chapman, 46 anni, sempre colpita alla gola. Ma questa volta l'assassino aveva inferto con particolare ferocia, i tagli e le mutilazioni erano più profondi rispetto al primo delitto. Spuntò un testimone che aveva sentito gridare una donna e una bambina che indicò una striscia di sangue, probabilmente lasciata dai macabri trofei che Jack aveva portato con se. La polizia cominciò a pensare di avere a che fare con un maniaco e credette di individuarlo in John Pizer, un ebreo proprietario di una bottega per la lavorazione del cuoio. Le accuse caddero ben presto, ma l'uomo fu trattenuto in carcere per timore la folla potesse linciarlo.

Poi, nel rapido volgere di qualche settimana, altre tre donne furono trovate uccise: Elizabeth Stride, Catherine Eddowes, il 30 settembre, e Mary Jane Kelly, ultima vittima certa del «mostro», l'8 novembre. Altre sei uccisioni infatti vennero poi attribuite al serial killer, ma con ogni probabilità furono solo suggestioni, perché le vittime erano state effettivamente uccise a coltellate, ma mancavano il taglio alla gola, l'accanimento e le mutilazioni.
In quei mesi giunsero a polizia e giornali oltre 600 lettere: qualcuno si autoaccusava dei delitti, altri indicavano amici e conoscenti, altri ancora formulavano ipotesi e prospettavano scenari. Tre però sembravano scritte da qualcuno ben informato. In particolare una cartolina arrivata il 1° ottobre annunciò un doppio delitto, appunto quello Elizabeth Stride, Catherine Eddowes ammazzate la sera prima. Ed erano tutte firmate da Jack the Ripper, nome con cui poi passò alla storia.

La polizia brancolava nel buio, l'opinione pubblica era inferocita, la stampa si sbizzarriva sulle motivazioni e l'identità dell'assassino. Jack colpiva solo prostitute, pertanto le indagini si orientarono verso persone che in qualche modo potessero aver subito qualche torto o qualche danno da una di loro. Come Jacob Levy, macellaio ebreo, dunque abile con il coltello, che aveva contratto la sifilide da una di loro. Si credette di averlo individuato anche in George Chapman, condannato e impiccato per avere ucciso le sue tre mogli. Ma con il veleno e senza mai infierire sui corpi. Poi fu la volta di William Bury che il 4 febbraio 1889 strangolò e fece a pezzi la moglie la moglie Ellen Elliott, ex prostituta. Il 10 febbraio andò alla polizia e disse che la moglie si era suicidata ma fu subito smascherato, arrestato. Durante il processo risultò avesse aggredito altre prostitute. Prima di salire sul patibolo, Bury ammise il suo delitto ma respinse con decisione di essere lui the Ripper.

L'incapacità della polizia di venire a capo dei delitti convinse una parte dell'opinione pubblica che l'assassino fosse in qualche modo protetto. L'ombra del sospetto cadde sull'eccentrico Oscar Wilde e poi sul malinconico Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Dodgson, autore di «Alice nel paese delle meraviglie». Qualcuno puntò ancora in più alto indicando addirittura Alberto Vittorio di Sassonia-Coburgo-Gotha, duca di Clarence, nipote della regina Vittoria, figlio del futuro Edoardo VII, in quel momento secondo in linea di successione al trono. Anche lui avrebbe contratto la sifilide da una prostituta. Un sospetto che ferì profondamente la famiglia reale che ancora negli anni Sessanta ribadì come fosse fuori Londra durante quelle tragiche settimane.

Infine, ultima sospettata Mary Pearcey che il 14 ottobre 1990 aveva ucciso Phoebe Styles e la piccola Phoebe Hogg, moglie e figlia di Frank Hogg, di cui l'assassina era innamorata. Mary infierì su si loro con inaudita ferocia, usando un attizzatoio per tramortirle e un coltello per farle a pezzi. La polizia sospettò subito di lei e andò a perquisire la sua abitazione. Non fu necessario, le pareti erano piene di sangue come le armi usate per il duplice delitto. Nonostante si sia sempre proclamata innocente, il 23 dicembre 1890 salì sul patibolo, come del resto aveva fatto vent'anni prima suo padre, anche lui condannato per omicidio. Per la ferocia dimostrata entrò «di diritto» nel novero dei possibili Jack the Ripper. Una teoria che ha ripreso quota nel 2006 quando gli esperti dell'università australiana di Brisbane hanno potuto esaminare il Dna ricavato dalla saliva sotto i francobolli delle lettere spedite dallo Squartatore. Ebbene il loro responso è stato netto: la sequenza appartiene a una donna. Così, dopo oltre un secolo di dubbi, sospetti e supposizioni, invece che di «Giacomino lo Squartatore» ora dovremmo parlare di «Giacomina la Squartatrice».



Il capostipite dei serial-killer, il famigerato assassino di prostitute londinesi che divenne e restò famoso nel 1888, riuscendo a mantenere nascosta la sua identità nonostante la massiccia mobilitazione di Scotland Yard, e di tutti cronisti della capitale britannica, l’uomo passato alla storia del crimine con il soprannome di Jack the Ripper, Jack lo Squartatore, era dunque una donna? 


A dire il vero la scoperta conferma un’ipotesi già avanzata all’epoca dei delitti, ma come sono arrivati i ricercatori dell’istituto di medicina legale dell’Università di Brisbane, in Australia, a questo risultato?
Pare che sia stato possibile utilizzando un un nuovo metodo di analisi del DNA da loro messo a punto, chiamato Cell-Track ID: esso permette di amplificare centinaia di volte e individuare le tracce del codice genetico su documenti vecchi oltre un secolo. I ricercatori dell’università australiana hanno esaminato così una cellula della saliva usata per incollare il francobollo sulla lettera che il misterioso assassino aveva inviato alla polizia, firmando appunto Jack the Ripper.


“La prova assoluta dell’identità di Jack lo Squartatore ancora manca, perché anche se è possibile risalire al sesso dell’individuo, non possiamo trovare un nome certo”, ha detto, in un’intervista al quotidiano britannico The Independent, Jan Findlay, capo dell’equipe che ha eseguito l’indagine. Però, appurato che il misterioso Jack era in realtà una donna, sono stati riesaminati alcuni elementi dell’inchiesta di 118 anni or sono, fra i quali l’ipotesi espressa da Frederick Abberline, l’ispettore incaricato di coordinare le indagini, che l’assassino fosse un’assassina. Questo perché vari testimoni, circa un’ora dopo l’uccisione di Mary Kelly, la quinta e ultima vittima, assicuravano di averla vista camminare nelle strade dell’East End, la zona di Londra teatro dei delitti. Secondo l’ispettore Abberline l’equivoco si spiegava con il fatto che l’omicida era una donna che aveva indossato il mantello e il cappello della Kelly per lasciare indisturbata quella zona.
Mary Pearcey


Resta il mistero sull’identità dell’assassina, potrebbe trattarsi di Mary Pearcey come accennato sopra? Potrebbe ma, a questo punto la pistola fumante non esiste, restiamo nelle supposizioni e riscriviamo la leggenda, magari a Hollywood stanno già pensando a una nuova serie di film!

Sud Africa: consigli di viaggio



E’ noto che il Sud Africa è un paese ad alta criminalità: le statistiche su crimini violenti e reati contro la proprietà (furti e rapine), sono fra le più alte al mondo.
E’ quindi naturale che chi ha intenzione di trascorrere una vacanza ma anche di trasferisi per vivere si ponga questa domanda: quale sarà l’effetto della criminalità sulla mia vita quotidiana? Sappiate che la criminalità violenta è concentrata maggiormente nelle zone urbane economicamente depresse come le township e i quartieri poveri e popolosi, ma furti e rapine a mano armata con o senza violenza possono capitare ovunque. Se Cape Town è ritenuta la meno pericolosa delle grandi città sudafricane, Johannesburg è all’altro estremo, anche se, secondo le statistiche, la criminalità è ora in diminuzione.

La stampa internazionale tende a drammatizzare la situazione a fini sensazionalistici, ma è vero che la disparità di ricchezza all’interno del paese è realtà quotidiana e causa diretta di molti crimini. Non c’è dubbio quindi che se vi recate in South Africa per le vostre vacanze da sogno o decidiate di trasferirvi dovrete abituarvi ad essere vigilanti e prendere alcune precauzioni. 

La criminalità è un problema certo, i potenziali turisti ignorano, come scritto precedentemente, che la maggior parte di essi si verificano nelle townships povere del South Africa, che sono raramente frequentate dai turisti e spesso le poche visite sono guidate e scortate dalla polizia così da annullare o ridurre a un minimo gli incidenti. E' invece vero che i visitatori del Sudafrica affrontano gli stessi rischi di coloro che visitano i Caraibi o raggiungono la vecchia e cara (in tutti i sensi) Europa dove potrebbe essere probabile incontrare malfattori pronti a svuotare le tasche al turista distratto. 

Con le dovute precauzioni, invece un viaggio in South Africa, il più bel paese nell'Africa australe, sarà sicuro, piacevole e anche divertente.

Rapine

C'è un enorme divario tra ricchi e poveri in Sud Africa. Politiche economiche di sfruttamento dei precedenti governi durante l'apartheid hanno portato povertà diffusa, la quale alleva il crimine, e la convivenza dei ricchi e indigenti ha portato ad una ridistribuzione della ricchezza attraverso informale rapine. 
Mentre nessun piano è infallibile, non ci sono tattiche di buon senso per ridurre la probabilità di essere bersagliati. Al solito sarebbe buona regola evitare di indossare gioielli vistosi, tenere la fotocamera fuori vista fino a quando si desidera utilizzarle, e optare per luoghi dove la sorveglianza è continua nell'arco delle 24 ore. I distributori di denaro contante (in prossimità c'è sempre un cartello con su scritto ATM) sono in South Africa un punto caldo per le rapine, così quando è necessario ritirare i soldi, sarebbe meglio cercare un bancomat in un centro molto frequentato della città o all'interno di un centro commerciale. Se possibile, prelevare il denaro durante il giorno, in ultima analisi spesso i grandi hotel hanno un bancomat all'interno della propria struttura proprio per non mettere in pericolo i clienti, approfittatene. 
E ricordatevi di non accettare mai l'aiuto di nessuno quando ritirate  il vostro denaro e buona regola è mettere subito i biglietti nel vostro portafoglio.

Sicurezza sulle strade

Mentre Johannesburg è tristemente nota per il furto d'auto, l'incidenza di questo tipo di crimine è ancora relativamente basso nel resto del Paese. La maggior parte dei turisti che visitano le città maggiormente attive troveranno il traffico troppo caotico, sempre meno di quanto avvenga in Europa o negli USA, ma a livelli mai visti in altri Paesi africani, inoltre le strade mettono soggezione, sia per via del senso di circolazione a sinistra come nel Regno Unito, sia per le regole che spesso non sono le stesse a cui siamo abituati, prendere in considerazione di affittare un'auto è positivo ma pensar bene dove andare, munitevi di mappe, meglio di un GPS e non fidatevi troppo dei passanti, potrebbero darvi, in buonafede, indicazioni fuorvianti.

Pur non essendo il pericolo elevatissimo conviene sempre prendere semplici precauzioni quando si è alla guida come attivare la chiusura centralizzata e non lasciare oggetti in vista sul sedile laterale. La vigilanza va poi raddoppiata quando cala il buio, in particolare se siete appena arrivati in città assicuratevi di conoscere bene il percorso per evitare di smarrirvi in una zona poco raccomandabile. Se avete paura di perdervi o guidare di notte, rimanete in albergo, il pericolo potrebbe essere rappresentato dai taxi, spesso poco affidabili, insomma, considerate che nonostante tutta la modernità da cui siete circondati, vi trovate comunque in Africa, dove tutto è possibile.

Al di fuori di Johannesburg, la minaccia più grande sulle strade è lo stile di guida di certi Sudafricani, spesso sono poco esperti o guidano in modo aggressivo. Se siete poi una di quelle persone che ama litigare quando siete al volante pensateci bene, spesso chi avete di fronte non è assolutamente quello che possiate mai pensare di trovarvi davanti, senza considerare che molto probabilmente è armato e non ha alcun problema a utilizzare l'arma di cui dispone. Per cui guidate sempre tranquillamente, rispettate i limiti di velocità, date strada a chi ve la chiede con insistenza, arrivare vivi un secondo dopo è molto meglio che non arrivare affatto. In caso di incidente e se pensate di aver ragione chiamate la polizia stradale e barricatevi nell'auto fino al loro arrivo, normale misura di prudenza. Ricordatevi anche se si affitta un'auto, che bisogna conoscere le regole della strada.  

Diffidate dai taxi minibus, quei furgoni bianchi sono spesso condotti da autisti neri o di origini indiane e guidano senza licenza e quel che è peggio spesso anche senza patente di guida. Le loro tariffe sono fisse, per questo i conducenti cercano di massimizzare i profitti guidando letteralmente come pazzi, a velocità insostenibili e spesso senza rispettare le regole della strada. Gli incidenti sono all'ordine del giorno con molte vittime innocenti.

Sicurezza delle donne

Avrete sicuramente letto di un alto tasso di aggressioni a sfondo sessuale e di stupri che innalzano i tassi delle statistiche, sappiate che questi non riguardano i turisti (salvo quelli che se li vanno cercare) poichè non rientrano negli obiettivi degli stupratori o aggressori. Come per gli omicidi, la stragrande maggioranza delle violenze verso le donne si verifica nelle township. Nonostante queste premesse le donne che visitano il South Africa dovrebbero essere prudenti come in qualsiasi altro Paese al mondo. I sudafricani che vivono al di fuori delle città tendono ad essere conservatori, sia nella mentalità che nell'abbigliamento. Fuori delle aree urbane, le donne dovrebbero coprirsi per evitare sguardi indesiderati. Molte donne sudafricane viaggiano solo su minibus, treni e nei propri mezzi, ma i visitatori - uomini e donne- saggiamente dovrebbero viaggiare in gruppo.

Malattie

Mentre le zanzare, come nel resto del mondo, mordono durante i mesi estivi, la maggior parte del South Africa è esente da malaria. Se state programmando un viaggio al Kruger National Park o in altri settori selvatici nella parte settentrionale del paese, portare con voi le pillole per prevenire la malaria è una buona idea. Se si decide di non assumere preventivamente le pillole, sarebbe meglio dotarsi di appositi repellenti e coprire le caviglie e i polsi. L'unico altro rischio per la salute è l'HIV, con più di un quarto dei sudafricani infetti. Se avete intenzione di impegnarvi in attività sessuali, proteggetevi adeguatamente.

Escursioni e Water Safety

Come il recente incidente occorso a Michael Schumacher insegna, non occorre andare in South Africa per incorrere in un incidente, anche le montagne di casa nostra riservano pericoli che, spesso, non sappiamo nemmeno possano esistere. La saggezza e la prudenza quando praticate le vostre attività sportive preferite devono accompagnarvi sempre, a maggior ragione se siete lontani dal vostro ambiente preferito. Oltre a essere saggi, i visitatori in South Africa devono anche essere consapevoli dei rischi naturali. La Table Mountain (Montagna della Tavola) a Città del Capo, una delle attrazioni turistiche più popolari in South Africa, detiene più vite del monte Everest, secondo Lonely Planet di Città del Capo. E' raro che passi una settimana senza che si verifichi un grave incidente durante un'escursione per pura fatalità. Non solo, spesso sono i turisti stessi che prendono inutili rischi e il risultato è sempre lo stesso: tornare a casa
in una cassa di zinco. Spesso è solo una questione di abbigliamento appropriato per le escursioni, troppo spesso ci si dimentica di portare un telefono cellulare per chiamare il
personale di soccorso in caso di emergenza. L'acqua lungo la costa è generalmente fredda, solo in estate raggiunge temperature accettabili, il South Africa  è bagnato dall'Atlantico meridionale a ovest e dall'Oceano Indiano sempre meridionale a est, l'Antartide non è lontana, la temperatura dell'acqua risente della vicinanza del Polo Sud, episodi di annegamento e morti da ipotermia sono purtroppo comuni senza dimenticarci degli squali e altre minacce marine che esistono da sempre nei mari tropicali, in questo l'Australia tiene buona compagnia al South Africa. Quando possibile, evitate di nuotare e navigare in aree contrassegnate come pericolose, per la vostra sicurezza.


Trattamento medico

Cape Town, recupero in mare
Gli ospedali privati ​​nei centri urbani del Sud Africa offrono cure mediche di primo livello. Se si stanno visitando aree remote, meglio procurarsi saggiamente una assicurazione di viaggio, che copre generalmente il costo di un trasporto in elicottero, se avete bisogno di essere trasportati in un ospedale attrezzato di solito in una grande città per il trattamento. Chi è alla continua ricerca di emozioni adrenalitiche faccia la massima attenzione: molti piani di assicurazione di viaggio non coprono gli sport d'avventura come la mountain bike, la discesa in corda doppia, il kite surf o anche escursioni fuori dai sentieri noti. Se rinunciate alla vostra assicurazione di viaggio, controllate con il vostro assicuratore usuale per vedere se gli ospedali in South Africa sono coperti dalla vostra assicurazione. Buona norma sarebbe aggiornare i numeri di telefono e i nomi e tenerseli sempre a portata di mano quando siete in viaggio in modo da poter indirizzare il soccorso con precisione.

Vi auguro una magnifica vacanza in South Africa!

2014/03/03

Fuggite Sciocchi!



L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali... 

L'unica cosa amaramente buona di questa crisi è che ho capito come nascono le dittature, che SI, è proprio vero, più che da una violenza dei padroni derivano dalla tentazione dei servi, dall’ignoranza dalla mediocrità e dall’ignavia della gente (eh, ma io cosa posso farci! Suicidati stronzo, così almeno ti levi dai coglioni!); e a cosa dovrebbe servire la cultura umanistica: a insegnarti con chi hai a che fare affinché tu possa fare/ripetere meno erroripossibili. Infatti è per questo che l'hanno piano piano distrutta sostituendola con le favole sulle puttane di un vecchio, e disfide tra 22 milionari che danno calci ad un pallone alle dipendenze di due miliardari in partite truccate come gli incontri di Wrestling!


Sulle cause dell’avidità delle persone: Tito Lucrezio Caro (de RerumNatura, libro III)
(..) Infine l'avidità e la cieca brama di onori, che forzano i miseri uomini aoltrepassare i confini del giusto, e talora, come compagni e ministri di delitti, adoprarsi notte e giorno con soverchiante fatica per assorgere a somma potenza - queste piaghe della vita, in gran parte è il timore della morte che le nutre. 
Infatti comunemente il vergognoso disprezzo e l'amara povertà paiono remoti da una vita dolce e stabile, e quasi già sostare davanti alle porte della morte; e gli uomini, mentre costretti da fallace terrore vorrebbero essere già fuggiti lontano da essi e lontano averli scacciati, col sangue dei concittadini ingrossano le proprie sostanze e avidi raddoppiano le ricchezze, accumulando strage su strage; crudeli si rallegrano del triste funerale di un fratello e per le mense dei consanguinei provano odio e terrore.
In simile maniera, nascendo dallo stesso timore, spesso li macera l'invidia che alla vista di tutti colui sia potente, attragga gli sguardi colui che incede con splendido onore,
mentre essi si lamentano di voltolarsi nelle tenebre e nel fango.
Alcuni periscono per brama di statue e di rinomanza; e spesso a tal segno per paura della morte prende gli uomini odio della vita e della vista della luce, che si danno con petto angosciato la morte, dimenticando che la fonte degli affanni è questo timore, questo fa strazio del senso d'onore, questo rompe i vincoli dell'amicizia - e insomma induce a sovvertire la pietà. Già spesso infatti gli uomini tradirono la patria e i cari genitori, cercando di evitare le regioni acherontee. Difatti, come i fanciulli trepidano e tutto temono nelle cieche tenebre, così noi nella luce talora abbiamo paura di cose che per nulla son da temere più di quelle che i fanciulli nelle tenebre paventano e immaginano prossime ad avvenire.; e a cosa dovrebbe servire la cultura umanistica: ad insegnarti con chi hai a che fare affinché tu possa fare/ripetere meno errori possibili. 
Infatti è per questo che l’hanno piano piano distrutta.

Sul metodo tedesco di accumulare denaro
Fedor Dostojevski – (Il Giocatore)
(..) "Ma scusate" gli risposi, "non so davvero che cosa sia più disgustoso: se la sregolatezza dei russi o il metodo tedesco di accumulare denaro con un onesto lavoro." 
"Che idea assurda!" esclamò il generale. "Che idea russa!" esclamò il francese. Io ridevo e avevo una voglia terribile di attaccar lite. 
"Io preferirei trascorrere tutta la vita in una tenda kirghisa," esclamai, "piuttosto che inchinarmi all'idolo tedesco." "Quale idolo?" gridò il generale, cominciando a infuriarsi sul serio.
"Il metodo tedesco di ammucchiare ricchezze. Non sono qui da molto tempo, però quello che ho già avuto modo di vedere e di constatare, rivolta il mio sangue tartaro. Giuro che non voglio virtù come queste! Ieri sono riuscito a fare nei dintorni un giro di forse dieci miglia. Ebbene, è precisamente come si legge nei libriccini moralisti tedeschi illustrati; ovunque, in ogni casa, c'è il suo 'Vater', straordinariamente virtuoso e eccezionalmente onesto. Così onesto che fa paura avvicinarglisi. Io non posso soffrire gli uomini onesti che fa paura avvicinare. Ognuno di questi 'Vater' ha la propria famiglia, e la sera leggono tutti a alta voce dei libri istruttivi. Sopra la casetta stormiscono olmi e castagni. Il sole tramonta, c'è la cicogna sul tetto e tutto è insolitamente poetico e commovente... Voi, generale, non irritatevi, ma permettetemi di raccontare le cose in maniera un po' patetica... Io stesso mi ricordo che mio padre buon'anima, sotto i tigli del giardinetto, leggeva anche lui alla sera, a me e a mia madre, libri di quel genere... Posso quindi giudicare di queste cose con cognizione di causa. Ebbene, ognuna di queste famiglie, qui, è completamente sottomessa e schiava del padre.
Tutti lavorano come bestie, e tutti ammucchiano denaro come giudei. Mettiamo che il 'Vater' abbia già messo da parte una certa quantità di 'gulden' e punti sul figlio maggiore per trasmettergli il mestiere o il campicello; per questo non danno dote alla figlia, e lei resta zitella. Sempre per questo vendono il figlio minore come servo o lo mandano a fare il soldato, e aggiungono questo denaro al capitale di famiglia. Davvero, qui si fa così: mi sono informato.Tutto questo si fa unicamente per onestà, per un sentimento eccessivo di onestà, al punto che anche il figlio minore, venduto, crede di non essere stato venduto se non per onestà; e questo è proprio l'ideale, quando la vittima stessa è contenta di essere portata al sacrificio. E poi? Poi succede che neppure per il figlio maggiore le cose vanno bene: lui ha una certa Amalchen alla quale è unito con il cuore, ma che non può sposare perché non sono ancora stati ammucchiati 'gulden' sufficienti. E allora pure loro aspettano onestamente e si avviano anch'essi al sacrificio con il sorriso sulle labbra. E intanto le guance di Amalchen si sono incavate e sono avvizzite. Finalmente, dopo quasi vent'anni, il patrimonio si è accresciuto e i 'gulden' sono stati ammucchiati in modo leale e onesto. Il 'Vater' benedice l'ormai quarantenne figlio maggiore e la trentacinquenne Amalchen dal seno flaccido e dal naso rosso... E allora il 'Vater' piange, fa la morale e passa a miglior vita. Il figlio maggiore si trasforma a sua volta in un virtuoso 'Vater' e ricomincia la stessa storia. Dopo una cinquantina o una sessantina di anni, il nipote del primo 'Vater' realizza effettivamente un notevole capitale e lo trasmette al proprio figlio, questo al suo, quest'altro al suo e, dopo cinque o sei generazioni, viene fuori il barone Rotschild in persona oppure Hoppe e Co. o il diavolo sa chi. Ebbene, signori, non è forse uno spettacolo meraviglioso? La fatica di un secolo o di due secoli, di generazione in generazione: pazienza, ingegno, onestà, dirittura morale, carattere, fermezza, calcolo, cicogna sul tetto! Che volete di più? Niente è più sublime di questo, è proprio da questo punto di vista che costoro iniziano a giudicare il mondo intero e a condannare a morte i colpevoli, cioè quelli che appena appena non somigliano a loro. Ebbene, signori, ecco dunque di che si tratta: io preferisco debosciarmi alla russa o arricchirmi alla roulette.
Non voglio essere Hoppe e Co. tra cinque generazioni. A me il denaro è necessario per me stesso, e non considero me stesso come un indispensabile accessorio al capitale. So di aver detto un mucchio di spropositi, ma è così. Queste sono le mie convinzioni."
"Non so se ci sia molto di vero in quello che avete detto,"osservò pensieroso il generale, "ma so con certezza che cominciate a farelo spiritoso in maniera insopportabile, non appena vi si permette di uscire un pochino dai limiti..." Ma, come sempre, non completò la frase. Se il nostro generale cominciava a parlare di qualche cosa che fosse un tantino più serio dei soliti discorsi di ogni giorno non finiva mai di dire il suo pensiero. Il francese ascoltava con noncuranza, con gli occhi spalancati. Non aveva capito quasi niente di ciò che avevo detto.
Polina mi guardava con suprema indifferenza. Sembrava che, non soltanto non avesse sentito me, ma neppure una parola di quanto si era detto a tavola.

Bertold Brecht 
Sull'ignavia della gente

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,

e non c’era rimasto nessuno a protestare.


Evidentemente stiamo riflettendo un po’ tutti sulla stessa cosa: sta nascendo una dittatura, in Europa? A volte, mentre sento le notizie, ho dei flash di voci future “Ma noi non sapevamo, ma noi non volevamo!”, chissà se è la sindrome di Cassandra, o soltanto memorie di un passato ancora recente.


Lo stesso concetto di dittatura non è antico: nessuno si sognava di chiamare “dittatori” il re Sole, il Papa o l’imperatore di turno. E’ un concetto nuovo.
Fatto sta che l’abbiamo introiettato molto bene, al punto che vediamo dittatori dovunque, persino in leader democraticamente eletti (vedi Chavez o Ahmadinejad) o addirittura in comici col blog. Ma quando si tratta di noi, eeh: la dittatura è l’elefante nella stanza. Nessuno riesce ad accorgersene.

Forse perché si tratta di una declinazione di dittatura finora inedita. Nell’immaginario, il dittatore ha una faccia cattiva, impone le sue idee al popolo con gli eserciti, e sbatte i dissidenti in gabbia o alle torture. Ora sembra che non ce ne sia più alcun bisogno: il dittatore non ha un nome e cognome, anzi si nasconde in una massa amorfa di oscuri burocrati. L’esercito di cui si serve? Stampa, media e politici compiacenti o corrotti. L’arma principale? La shock economy, eventi che terrorizzano i cittadini e li rendono consenzienti a qualsiasi nefasto provvedimento passi per indispensabile. I dissidenti? Nessun problema: li si lascia a sbraitare nel recinto di Internet, che danno vuoi che facciano. Una dittatura il cui scopo è l’impoverimento generalizzato e il controllo da esso derivante, non ha bisogno di sparare un colpo: stiamo consegnando tutto senza fiatare.

Qualcuno obietterà che non è vero, che tanti si stanno accorgendo di ciò che accade. 
Ah si? Beh io non credo. Come scrive ancora Bagnai nel suo libro, quando i partigiani andarono in montagna non si preoccuparono dell’inflazione, della perdita di potere d’acquisto, del mutuo in euro. Quando c’è da combattere si combatte, costi quel che costi. Noi non siamo ancora pronti. Siamo ancora come quelle famiglie ebree che nel ‘36 consegnavano l’oro, consegnavano i pianoforti, pensando che presto sarebbe finita e peggio di così non poteva andare. E invece, si è visto com’è andata.
Noi stiamo consegnando oro e pianoforti per paura dei finti mostri che ci hanno dipinto, e alla fine perderemo tutto senza avere più nulla per cui combattere. Vogliamo davvero ridurci così?

L’Europa è una dittatura, bisogna uscirne il prima possibile. Senza chiedersi cosa sarà della bolletta della luce o della rata del mutuo, perché non ci lasceranno né luce né casa. Siamo in mano a dei pazzi furiosi e l’unica è svignarsela, le difficoltà successive le affronteremo poi, ci penseremo dopo come si sono detti i partigiani scalando la montagna. Ora il pensiero è uno, e uno solo, e questo dobbiamo chiedere con forza a chi ci rappresenta:

Fuggite, sciocchi!

(fonte Goofynomics)

2014/02/22

LMAO

Indovinate quale e' il comico?


Non è corretto giudicare Renzi prima che si confronti con i fatti, ma la composizione del nuovo governo mi lascia molto perplesso. Vedo soprattutto una sapiente alchimia tra le diverse anime del PD che esprime il 75% dei ministri e - mentre furoreggiano gli applausi per le tante donne e i giovani di governo - mi permetto di osservare che la “qualità” non sembra davvero eccelsa.  Tutti i “big” sondati hanno dato forfait e alla fine all’Economia è andato un Padoan discutibile nei suoi rapporti con le banche d’affari e agli Esteri la graziosa (e sconosciuta) on. Federica Mogherini responsabile esteri del PD di pressoché nessuna esperienza internazionale anche se – leggiamo – fa addormentare le due figlie ogni sera al suono della musica di “Bella Ciao”. 

 Se penso che per farle posto è stata cacciata senza neppure un “grazie” Emma Bonino unanimemente apprezzata in tutto il mondo, ottima interprete della crisi siriana, persona integerrima e di grande esperienza, anche se con la questione dei maro' non ha voluto intromettersi mai troppo, mi sembra che veramente siamo fuori strada. 

Avrei voluto presentare i miei auguri a Renzi, se non fosse che lui rappresenta un governo gestito da altri dietro le quinte, un altro burattino nelle mani dei poteri forti e della germania da cui mi dissocio totalmente, io su 4 anni di durata di questo governo non ci scommetterei 10 centesimi e soprattutto non vedo nulla di sostanzialmente diverso dal governo Letta se non un nuovo accordo con Berlusconi per un sistema elettorale che riempirà ancora una volta il Parlamento di “nominati”. 

Certo c’è l’immagine, sempre questa “l’immagine” che segue passo passo il correre di Renzi, ma visto che con l’immagine alla fine non ci si inzuppa il pane né si risolve la crisi vedremo come  Renzi effettivamente se la caverà su queste cose serie.

PS. Qualcuno dei miei affezionati lettori mi ha domandato il perché  del titolo.
LMAO dall'inglese (laughing my ass off) significa sostanzialmente "Far ridere il mio culo".
Viene in genere utilizzato per indicare un gran divertimento, di solito esagerato, di qualcosa (LMAO si legge in genere in discussioni online, o in un messaggio istantaneo).
Matteo Renzi con le sue incoerenti dichiarazioni degli ultimi mesi a proposito degli italiani e del governo si merita evidentemente il termine. Fa ridere perché non è credibile, gli italiani se ne accorgeranno presto. Speriamo che poi si ribellino veramente mandando a fare in c... la casta politica una volta per tutte.




2014/02/21

Lacrime e Sangue




Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia, come conferma anche la testimonianza resa dal prof. Alain Parguez, altro importante protagonista degli eventi di quegli anni.  E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese.

Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anni dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: l’Italia. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.

E’ questa la drammatica testimonianza di Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato, resa sia in occasione del primo meeting MMT di Rimini (24-26 febbraio 2012) sia, in seguito, a Claudio Messora per il blog “Byoblu”.

Leggiamo come ascoltare dalla sua voce cosa accadde in quegli anni di cui egli fu co-protagonista.

All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco.

Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».

Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave:

l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”;
l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di      Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione      eversiva fondata da Renato Curcio, ma le Br di Mario Moretti, «fortemente      collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani      e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più      potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva      minacciato Moro di morte poco tempo prima».
Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo.

Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa.

A congelare la democrazia italiana avrebbe poi provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.  Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale.

Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il Paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».

Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato.

L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».

Alla caduta del Muro di Berlino, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese, “promosso” nel club del G7, era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici». E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Si giunge così allo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.

Le banche sono un altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie speculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattrocento trilioni. Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose».

La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».

Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva a immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».

Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite».

Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A soffrire è l’intero sistema-Italia, fin da quando – nel lontano 1981 – la finanza pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato non solo la moneta, ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.

Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile.

Esistono, secondo Galloni, vie d’uscita? E se sì, quali?

Anzitutto bisogna archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il concetto del debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico».

L’alternativa è procedere come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco. 

La domanda è: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia, ma anche contro gli altri popoli e Paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?».

O forse, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro.

Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale: «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti. «Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”.

Purtroppo non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy in poi, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «a aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.

E l’odiata Germania? Non diventerà mai leader, afferma Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta.

Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando a affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.

Prima, però, bisogna mandare casa i sicari dell’Italia e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il Paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Lo scopo di avere meno moneta circolante e salari più bassi è forse quello di contenere l’inflazione? Falso: gli USA hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981».

Il passo fondamentale, da attuare subito, è una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate.

La scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute».

Naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine». (fonte)

Il terzo colpo, la fine. Nel libro Morire di austerità, Lorenzo Bini Smaghi, l’ex board della Bce che oggi presiede la Snam Rete Gas, ha scritto che nel 2011 Silvio Berlusconi aveva “ventilato in colloqui privati con i governi di altri Paesi dell’Eurozona l’ipotesi di una uscita dall’euro”.

Per questo, sarebbe poi stato costretto a dimettersi da Palazzo Chigi.

In realtà, il Cavaliere non si sarebbe solo limitato a “ventilare” questa ipotesi, ma aveva addirittura già avviato le trattative in sede europea per uscire dalla moneta unica. A rivelarlo è Hans-Werner Sinn, presidente dell’istituto di ricerca congiunturale tedesco, Ifo-Institut, durante il convegno economico Fuehrungstreffen Wirtschaft 2013 organizzato a Berlino dal quotidiano Sueddeutsche Zeitung.

Tocchi l’Europa e muori. Più si mettono insieme i pezzi del puzzle, più sembra chiaro che quello che inizialmente sembrava un vero e proprio attacco speculativo ai danni dei nostri titoli di Stato per far cadere il governo Berlusconi, adesso assume i toni di una resa dei conti ai danni del Cavaliere.

L’allora presidente del Consiglio sarebbe stato fatto fuori perché, per non voleva far morire il Paese dell’austerità imposta dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, aveva deciso di tirar fuori l’Italia e gli italiani dal giro della moneta unica. Quella moneta unica, l’euro, che un altro ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, aveva super valutato gettando l’economia del Belpaese nella recessione.

Come riporta anche l’Huffington Post, Sinn ammette che, nell’autunno del 2011, Berlusconi aveva “avviato trattative per far uscire l’Italia dall’euro”. Intervenendo in un dibattito sulla crisi economica e sugli effetti disastrosi che stava avendo sui paesi meridionali dell’Eurozona, il presidente dell’Ifo-Institut ha ammesso di “non sapere per quanto ancora l’Italia ce la farà a restare nell’Unione Europea: l’industria nel nord del paese sta morendo, i fallimenti delle imprese sono ormai alle stelle e la produzione industriale è in continuo calo”.

Fonte

2014/02/17

Li maccaroni


LI MACCARONI 

poesia di Ercoli Aristide (1878-1913)

Che delizzia che so' li maccaroni!
Sprofumata bontà, che sciccheria!
Ma come se fa a di' che nun so' bòni?
Io, pe' me tanto è la passione mia.

Si me parli de penne, rigatoni,
regginelle, spaghetti e...via via,
manicotti de frati, lasagnoni,
sur subbito me metto in alegria.

Che t'ho da dì?...Pe' me, so' un gran ristoro,
conniti cor butiro e er parmiciano,
coll'alice, coll'ajo e er pommidoro.

Mezzo chiletto ar giorno, sano sano,
lo vojo magnà sempre e, quanno moro,
vojo spirà cor maccarone in mano!