Titolo emblematico che deve far pensare.
Non voglio scomodare i pensatori dello scorso secolo tutti impegnati a mostrarci la via per una vita a senso orientata verso i classici valori che possano includere la famiglia i figli e creare valori materiali per i propri discendenti.
Oggi voglio parlare di cosa è lecito aspettarsi dalla vita nel momento in cui qualcuno - i genitori - decide che è venuto per voi il momento di nascere fino a quando qualcun altro - la vita - deciderà che è venuto il vostro momento. Non sono fatalista, ognuno si costruisce mattone per mattone la propria vita che in parte è già disegnata da quel bagaglio biologico che il DNA assegna e che difficilmente si potrà modificare.
Perché questo pensiero?
Difficile da tradurre in semplici parole, sono una persona che legge molto, in questo periodo leggo i forum, sono uno scrittore, penso e vivo a contatto della gente e ho notato che il pensiero comune oggi in Italia è quello di fuggire dal bel paese per cercare un lavoro umile, dignitoso. Perché umile o dignitoso o perché entrambi?
Leggo sul mio dizionario preferito online la definizione di umilta':
umiltà[u-mil-tà] s.f. inv.
1 Mancanza di orgoglio, di superbia, virtù di chi riconosce e accetta i propri limiti SIN modestia
2 Atteggiamento rispettoso, sottomesso SIN deferenza: comportarsi con u. verso un superiore
3 Bassa estrazione sociale: vergognarsi dell'u. dei propri natali
4 Caratteristica, condizione di ciò che è semplice, modesto, povero: u. del tenore di vita
• sec. XIII[/quote]
e poi quella di dignitoso:
dignitoso[di-gni-tó-so] agg.
1 Di persona, che ha il senso della dignità e che, quindi, non si abbassa a comportamenti volgari o arroganti: un uomo molto d.; estens. di aspetto, atteggiamento e sim., che denota compostezza, misura: dolore d.
2 Che rispetta il valore, i meriti della persona SIN decoroso: paga d.
3 estens. Di qualità intermedia tra l'ottimo e lo scadente, tra il misero e il lussuoso SIN accettabile, passabile: albergo d.
• avv. dignitosamente, in modo d.
• sec. XIII
a cui aggiungiamo quella di dignita':
dignità[di-gni-tà] s.f. inv.
1 Considerazione in cui l'uomo tiene se stesso e che si traduce in un comportamento responsabile, misurato, equilibrato SIN rispettabilità, decoro: d. umana; dimostrare una grande d.; estens. compostezza, decoro che denota rispetto per sé e per gli altri: volto, pieno di d.
2 Importanza che viene a una cosa dal significato spirituale, culturale, sociale che l'uomo le annette, e che la rende degna di rispetto: lo richiede la d. dello Stato
3 Carica, ufficio importante
• sec. XII
Una volta chi lasciava l’Italia emigrando sostanzialmente nelle Americhe, o in Europa oppure in Australia lo faceva per andare a cercar fortuna che, tradotto in un linguaggio moderno, significava andare a guadagnare di più di quello che si potesse mai aspirare restando in patria. È chiaro, ma non è chiaro per quale motivo gli italiani che desiderano oggi andarsene, debbano per forza aspirare a posizioni dignitose o umili, per quale motivo si cerca una condizione la più bassa possibile in una scala di valori assolutamente senza limiti?
E qui torniamo al senso della vita.
Prole, continuare “il genere umano”, creare i valori materiali per i discendenti.
È inutile dilungarsi sui valori della famiglia come è inutile parlare dela prole, non necessariamente vanno intesi con la famiglia, qui parliamo del creare valori materiali per i discendenti.
Einstein dice: “Colui che considera la sua vita destituita di qualsiasi significato, non solo è infelice, ma è anche incapace di vivere”. Egli parte dal presupposto che il conoscere il perchè delle cose e soprattutto il senso della vita è l’assillo che affiora spesso nella ricerca dell’uomo. Nell’esperienza del singolo, nel suo impatto con la nascita, la morte, la sofferenza, l’interrogativo si ripropone, magari con veemenza. Pertanto, è ragionevole e importante trovare un orientamento per la vita.
Perché vivere dunque? Ogni uomo volendo ragionevolmente progettare la sua vita, va alla ricerca di un senso, di una ragione per agire. La domanda fondamentale è: Perchè vivere? Essa si fa ancora più pressante di fronte alle diverse situazioni “insensate” ed assurde della creazione (la condizione transitoria delle creature: nascono, soffrono, muoiono, si eliminano a vicenda in nome dell'ecosistema, soccombono a causa di eventi catastrofici della natura) e della storia (le contraddizioni degli uomini espresse nel male che essi compiono: guerre, violenze, ingiustizie).
Il saper creare valori materiali per i discendenti potrebbe anche includere avere successo, una vita di successo che mal si adatta all'umiltà' e ancor meno al dignitoso.
Perché' ne con una ne con l'altra si riesce a emergere in questa nostra società fatta, composta, di individui che vogliono venir fuori dalla melma primordiale che li avvolge e diventare un qualcuno, non importa se ricco o povero, un qualcuno riconosciuto, additato e perché no, ricordato nei secoli. E questa è la vera ricchezza.
Restando al presente che cos’è la nostra vita? E' un gioco? Il bene e il male sono null’altro che sogni. Il lavoro, l'onestà sono fiabe per donnette? la verità è che il senso della vita esiste. Esso è lo sviluppo della coscienza qualitativo e quantitativo.
Lo sviluppo qualitativo comprende il perfezionamento intellettuale ed etico, nonchè l'affinarsi della consapevolezza. Quello quantitativo è l’accrescimento diretto della quantità dell’energia della consapevolezza fine.
Qualitativo e quantitavo non vanno d’accordo con umiltà e dignitoso.
Non vanno nemmeno d’accordo con il ricercare un lavoro decisamente inferiore a quello che potremmo trovare utilizzando semplicemente le nostre conoscenze e l’esperienza (per chi ne possiede in quantità apparentemente illimitata).
Il sospetto che si fa strada nella mente riporta alla ragione dell’emigrare, non già espatriare per cercar fortuna ma per sopravvivere in questa Italia che a torto viene considerata in declino, forse siamo noi suoi abitanti a essere in declino e fuggire è solo non voler riconoscere di quanto in basso siamo arrivati.
Quando ero giovane, imberbe e di belle speranze pensavo che solo attraverso lo studio si potesse trovare la chiave della felicità, della fortuna, della ricchezza. Il concetto mi era chiaro pur nella sua complessità: un buon titolo di studio porta un buon lavoro che a sua volta porta a diventare ricco in tempi relativamente brevi.
Giusto e sbagliato.
È pur vero che lo studio apre a maggiori probabilità di ambiziosi posti di lavoro, da manager, direttore, CEO e via discorrendo, ma è altresì vero che per essere imprenditori non occorre essersi laureati a Harvard. Che poi essere colti serva anche nel mondo imprenditoriale non è un concetto ma una realtà, basterebbe guardare a chi conduce oggi la Fiat, la Pirelli, le grandi industrie italiane che hanno origini “familiari” sono gestite da managers con almeno un master in una università di prestigio.
Ritornando al nostro senso della vita rimane evidente che a decidere di partire sono per la maggioranza quegli italiani che in patria non hanno saputo dare un senso alla propria vita, che si rendono conto degli errori compiuti in passato, da loro stessi o dai parenti da cui discendono. È però necessario analizzare questa esigenza, questo desiderio come ultima spiaggia, mollare tutto e partire alla ricerca di un’altra vita, non importa se meglio o peggio di quella attuale, o forse si, sicuramente meglio perché è quello che si crede, tanto peggio dell’Italia non sarà mai, dimenticandosi che lasciare la propria Italia è come fare un salto nel buio, senza sapere dove si atterra.