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2013/06/14

Delaware Paradiso Fiscale



Prossima fermata: Paradiso. Possibilmente fiscale, possibilmente con la speranza che il vorace fisco italico non arrivi anche li. Questo discorso nasce da molto lontano. Nasce dall'analisi di un sistema, il sistema fiscale. Non voglio discutere di quanto sia bello, conveniente e interessante aprire una societa' in Delaware, non in questa fase almeno, e non per parlare del piccolo Stato americano come un paradiso presunto fiscale, semmai una conseguenza, ma affrontare l’argomento attraverso una importante considerazione che nasce molto lontano nel tempo e si è espansa a tal punto da diventare universalmente un apparato dotato di vita propria, tanto vivo da condizionare la vita di ogni abitante del pianeta: il sistema fiscale.

Perche' paghiamo le tasse?

Le tasse si pagano da cosi' tanto tempo che qualcuno ha anche dimenticato il motivo. Lo so che altri verranno a dirmi che le tasse sono un obbligo morale di ogni cittadino che si considera tale. 
Fuffa, autentica fuffa.
Le tasse si pagano perchè la “macchina” dello Stato è impossibilitata a produrre un reddito tale da autofinanziarsi e mantenere se stessa e i componenti di quello Stato che compongono lo Stato stesso.
Lo Stato (tutti gli Stati) non potendo produrre beni per autofinanziarsi, pretende dai cittadini, parte integrante della macchina statale, il pagamento delle tasse intese come tributi e imposte, quindi non solo le tasse propriamente dette ma tutte quelle forme aggiuntive quali per esempio l’IVA giusto per menzionarne una e tralasciandone molte altre. 

È sempre stata questa la ragione per cui siamo stati costretti a pagare le tasse? Naturalmente no.
Nella notte dei tempi il più forte, o il più ricco ma anche quello più furbo, pretendeva dal più debole in tutti i sensi, il pagamento di una gabella affinché potesse finanziare i propri bisogni. Naturalmente al potente non passava nemmeno per l’anticamera del cervello di lavorare per guadagnare abbastanza da mantenersi. Giocoforza lo pretendesse dai deboli e indifesi abitanti della regione, città o solo villaggio dov’egli abitava e imperava. Questa brutta abitudine iniziò quindi attraverso l’uso di un inganno, tu mi paghi e io non ti uccido. 

Certo che poteva anche uccidere, anche e solo a titolo di esempio per gli altri ma, al potente di turno non conveniva molto uccidere tutti, altrimenti a chi avrebbe chiesto il pagamento delle gabelle?
Ecco che a un certo punto questa cattiva abitudine si è trasformata in "il più debole contribuisce con quello che riesce a produrre al più forte affinchè questo lo protegga dai nemici, dai cattivi, dai dragoni, dal cattivo tempo, presagi e farfanterie varie tanto la povera gente di soldi e di spirito, credeva a qualunque storia si raccontasse loro. Ecco che col tempo l’usanza o cattiva abitudine si è trasformata ulteriormente nella pretesa che chi comanda esige, attraverso la legge, la contribuzione del singolo, e dell’impresa al fine di finanziare il bene comune e mantenerlo. Le tasse dunque non sono altro che una pretesa in base a dei concetti astrusi affinché tutti contribuiscano secondo le proprie capacità al mantenimento del bene comune che, al tempo feudale era il feudo, la fortezza a protezione del feudo stesso, in tempi moderni lo Stato come protezione e aggregazione di genti che parlano la stessa lingua, hanno le stesse abitudini, si interfacciano tra loro e tutti insieme producono un reddito. Ecco dunque le tasse! L’esistenza stessa delle tasse sarebbe in effetti una congettura, esistono perché servono a mantenere in funzione una macchina statale che per funzionare si fa pagare da chi la utilizza oboli e contributi secondo l’uso che se ne fa di quella macchina.

Mi spiego. Le tasse, nel caso attuale e moderno di uno Stato di diritto, contribuiscono a mantenere un’organizzazione che si occupa delle comunicazioni, dei trasporti, della viabilità, aggiungiamo la salute pubblica o sanità e poi l’istruzione. Naturalmente diventa necessario aggiungere la difesa dai nemici dello Stato e della grande comunità aggregata di cui quello Stato fa parte. Bene, questi sono i pilastri fondamentali sui quale si regge concretamente ogni comunità. Se contribuisco con una percentuale dei miei ricavi a mantenere questa serie di servizi ecco che io posso usufruirne liberamente proprio perché io stesso ho pagato il servizio. Male perché scopro che i trasporti sono privati, se voglio usarli devo pagare. Anche le comunicazioni sono private, se voglio usarle devo pagare. E continuando scopro che anche le strade sono private, il proprietario è quello Stato di cui io faccio parte ma per percorrerle devo pagare. Se voglio un servizio sanitario adeguato alle mie esigenze ed al livello di cività a cui sono abituato devo pagare. Anche l'istruzione, stesso identico discorso. Ecco che a questo punto saranno molti quelli che si stanno chiedendo per quale motivo dobbiamo pagare le tasse. Le tasse secondo questo discorso molto profondo non dovrebbero dunque esistere.

Capisco che uno Stato, penso a quello italiano, ha mille altre spese e ragioni per pretendere il pagamento del mio contributo necessario al funzionamento della stessa macchina pubblica di cui sopra. Che non ci siano solo le ragioni primarie quali trasporti e comunicazioni e quelle già menzionate ma evidentemente molte altre di cui noi stessi cittadini non comprendiamo la necessità e neppure il bisogno è perfino evidente. E allora per quale motivo la macchina Stato non si organizza al fine di produrre da sola quanto necessita alla macchina stessa per esistere e funzionare? Questo discorso sembrerebbe molto campato in aria a chi legge, forse perché il concetto si è talmente radicato nella comunità che affermare il contrario di quanto creduto fino a questo momento equivale a mettersi contro il sistema stesso. Eppure, se analizziamo bene l’argomento vedrete che esiste un fondamento di verità in tutto questo. Non si tratta più di pagare le tasse per mantenere la macchina statale e farla adeguatamente funzionare affinché possa tutelare il cittadino ma di pagare le tasse per contribuire all’arricchimento di chi fa funzionare lo Stato, e in questo mi permetto di mettere sia il mondo politico sia quelli che fiancheggiano la politica con l’intento di trarne enormi benefici a danno dei più deboli, e penso al sistema bancario!

Non voglio addentrarmi ulteriormente nella questione tributi e imposte, è talmente variegato che servirebbe un’enciclopedia per spiegare tutto l’argomento nei dettagli, questo discorso è introduttivo al successivo che poi da anche il titolo a questo articolo.

Per quale ragione esistono i cosiddetti Paradisi Fiscali?

La definizione di paradiso fiscale è riduttiva, arcaica direi, fuorviante. Non si tratta di un Paradiso ma di un sistema per ridurre l’esposizione fiscale di una azienda, i vantaggi che si possono ricavare non hanno a che fare solo con la tassazione. In senso più ampio, un paradiso fiscale è una giurisdizione che permette di eludere (cioè aggirare in maniera "legale") regole che in un altro Paese sono più restrittive. Oltre a quelle fiscali, quelle bancarie, il riciclaggio del denaro o le normative commerciali e tecniche. E non sono solo italiane le aziende che sono registrate in un Paese cosidetto “paradiso fiscale”. In questo potremmo affermare con sicurezza che tutto il mondo è paese, buona parte delle “Fortune 500”, cioè delle 500 aziende più importanti del pianeta sono registrate in paradisi fiscali. American Airlines, Apple, Bank of America, Coca-Cola, Ford, General Electric, Google, JPMorgan Chase, Wal-Mart tanto per fare qualche nome.

Che tipo di attrazione viene esercitata per invogliare un’azienda a registrarsi in un paradiso fiscale? 
Innanzitutto una tassazione particolarmente bassa o nulla per i soggetti non-residenti. Questa asserzione va letta in maniera differente. Se è pur vero che la tassazione nel paese di registrazione è nulla (solo nel caso di LLC ovvero Limited Liability Company) o molto ridotta (Corporation), va anche considerato che i redditi che ognuna delle aziende produce nella nazione ove opera saranno tassati e tassabili e quindi soggetti a quel processo fiscale che si voleva evitare anche se in questo ambito bisognerebbe puntualizzare e dettagliare. Un vantaggio decisamente più importante è la mancanza di scambio di informazioni con le autorità tributarie di altri Stati e la mancanza di trasparenza e infine il segreto bancario molto spinto, anche se negli ultimi tempi un baluardo del segreto bancario ha iniziato a scricchiolare clamorosamente, parlo della Svizzera che ha iniziato a cadere sotto i colpi di altre nazioni, Stati Uniti in primo luogo.

Viene quindi un dubbio. Il Delaware fa parte degli Stati Uniti d’America, si trova sulla costa orientale non molto distante da Baltimora e Washington DC. Per quale ragione gli USA pretendono la caduta di certi privilegi finanziari e fiscali da parte di nazioni che hanno da sempre rappresentato un baluardo inespugnabile contro i sistemi fiscali di mezzo mondo, e non attuano alcuna politica per fermare o rallentare, o creare degli ostacoli legali alle aziende che volessero registrare un’azienda in uno degli Stati dell’Unione compreso evidentemente il Delaware che attuano politiche favorevoli, paradisiache quasi allo stesso livello di quelli che il potere centrale americano vuole fermare?

Una ragione esiste, e naturalmente è strettamente legata all’economia. Non è vero che le tasse non si pagano in Delaware, nel Wyoming, o in Nevada, tanto per restare negli USA. Si pagano anche lì, ma a livelli inferiori rispetto a quelli italiani per esempio, dove una impresa viene tassata con tassi che sfiorano il cinquanta per cento dei ricavi netti. In Delaware la tassa sui ricavi di una Corporation quindi escluse le LLC,  si posiziona all’8,7% rendendo, di fatto, conveniente per qualsiasi impresa l’essere registrati lì piuttosto che in Italia. Con questo sistema si incassano le tasse senza che lo Stato spenda un solo dollaro per contribuire al funzionamento dell’impresa estera, che non utilizza risorse ne servizi locali, non consuma e non inquina, non esiste se non su un pezzo di carta apostillata e autenticata con un timbro in oro. 

Tutto chiaro?

Attualmente i paesi compresi nella black list del ministero delle Finanze sono questi, come potrete notare non è menzionato il Delaware:

Alderney
Andorra
Anguilla
Antigua e Barbuda
Antille Olandesi
Aruba
Bahamas
Bahrein
Barbados
Belize
Bermuda
Brunei
Costa Rica
Dominica
Emirati Arabi Uniti
Ecuador
Filippine
Gibilterra
Gibuti
Grenada
Guernsey
Hong Kong
Isola di Man
Isole Cayman
Isole Cook
Isole Marshall
Isole Vergini Britanniche
Jersey
Libano
Liberia
Liechtenstein
Macao
Malaysia
Maldive
Mauritius
Monserrat
Nauru
Niue
Oman
Panama
Polinesia Francese
Monaco
San Marino 
Sark
Samoa
Seychelles
Singapore
Saint Kitts e Nevis
Saint Lucia
Saint Vincent e Grenadine
Svizzera
Taiwan
Tonga
Turks e Caicos
Tuvalu
Uruguay
Vanuatu

2013/06/10

Il coccodrillo

Il coccodrillo è quello di quella storiella che raccontiamo spesso ai nostri figli. Quando mangia e si riempie la pancia sembrerebbe che pianga. In realtà sono gli occhi che lacrimano copiosamente a causa del grande sforzo che l'animale fa dopo aver ingurgitato la vittima, pressochè intera. Infatti non masticano, i loro denti non servono a masticare, affilati come rasoi hanno solo la funzione di tagliare le membra delle vittime, insieme alle grandi mandibole che, con una forza spaventosa, spezzano loro le ossa, in modo che il passaggio dalla bocca allo stomaco avvenga facilmente e la digestione sia facilitata. Il coccodrillo non è poi molto diverso dal serpente, quando ingoia intera la preda diventa preda a sua di un cacciatore più forte e agguerrito. Del resto entrambi fanno parte della grande famiglia dei rettili.

Il detto "piangere lacrime di coccodrillo" deriva da un famoso mito, della notte dei tempi, patrimonio di culture anche diverse dalla nostra, Inglesi e Francesi, anche le popolazioni del nord Europa e mi risulta quelle asiatiche ricordano questo detto, segno che tutto il mondo ha simili tradizioni. Dicevo questo mito che narra di un'abitudine comune a tutti i coccodrilli, ovvero quella di piangere frequentemente: questi anfibi verserebbero lacrime ogni volta che uccidono le loro prede, poiché assaliti dal senso di colpa; le femmine, inoltre, piangerebbero anche quando sono costrette a cibarsi dei propri figli. Vale la pena di precisarlo: si tratta solo di un mito, anche se questo ha ispirato persino William Shakespeare che nell’Othello scrive "Demonio, sì, demonio! Se la terra potesse partorire fecondata da lacrime di femmina, ogni goccia sarebbe un coccodrillo".

Che dire dunque? Il politico nell'immagine credo che lo conoscano tutti. E' il famoso Gianni Alemanno di professione Sindaco di Roma, anzi, ex-sindaco di Roma appena scalzato, direi staccato a forza dalla poltrona che occupava, dal concorrente di altro partito, dell'altra parte della barricata tale Ignazio Marino. Alemanno si è messo a piangere, lacrime di coccodrillo ovviamente, mentre doveva pensare prima delle elezioni come comportarsi affinché i romani che l'avevano votato cinque anni fa lo rivotassero. I soliti smemorati, e i politici non sono da meno, mi dicono che il Gianni Alemanno avesse pianto, virtualmente, anche al momento delle elezioni, sofferte, di febbraio, quando l'incombente nuovo esecutivo -in verità tutti i partiti del parlamento- si prefiguravano nella veste di eletti al parlamento, dichiararono che avrebbero cancellato l'IMU. Il Gianni Alemanno aveva anche rincarato la dose augurandosi che l'imminente governo cancellasse l'iniqua tassa sulla prima casa. Sappiamo benissimo come sia andata a finire. Sedotti, gabbati e abbandonati. 

Questo era quanto aveva dichiarato l'allora sindaco di Roma coccodrillo piangente oggi. Sindaco che al tempo prefigurava il proprio partito vincitore delle elezioni di febbraio contro chi, parliamo del famigerato governo Monti, era considerato responsabile della tassa votata e stravotata da tutti i partiti, compreso quello di Alemanno, che appoggiavano il governo tecnico.

I miei affezionati lettori ora potrebbero accusarmi di essere un volta gabbana, uno spergiuro, un falso avendo io scritto spesso e volentieri che in questo forum non si sarebbe parlato mai di politica se non, è il caso di dirlo e ripeterlo, per ergerla a caricatura, a burla di un certo modo di essere e parlare. Viro subito rapidamente verso l'argomento di cui ho intenzione di disquisire, spero abbastanza tagliente e magari offensivo affinché chi ha orecchie per intendere intenda e tutti gli altri si divertano e basta. Non è di politica, o forse si ma non nel senso più stretto del termine, che io voglio parlare stasera, ma dell'infame abitudine italica di voltare le spalle al passato salvo poi riconoscere l'infamia del presente e mitizzare il passato con il classico "Si stava meglio quando credevamo di stare peggio."

Purtroppo l'italiano non impara mai, mio nonno diceva sempre "si stava meglio quando credevamo di stare peggio" e lui si riferiva alla monarchia prima del fascismo, mio padre diceva lo stesso ma lui si riferiva al fascismo. Adesso leggo la stessa frase riferita a certi italiani che cominciano a rimpiangere il Berlusconi, bypassando Monti detto anche Rigor Montis, e dimenticandosi che Letta ancora non ha dimostrato un fico secco del programma che pure si era impegnato a rispettare, segno che tutto sommato chi sta al governo seduto nello scranno più alto del parlamento, in effetti pensa prima di tutto a risolvere i propri interessi e di conseguenza e marginalmente quelli degli italiani, se sono coincidenti con i propri, altrimenti si arrangino attaccandosi al tram e fischiando in curva.

Gli italiani sono sempre passati attraverso rivoluzioni e cambi di potere, nella storia italica dai Romani in poi (i romani antichi intendo e non gli scansafatiche, e non si offendano i romani veri, di oggi fra i quali mi pongo io stesso essendo nato in quel di Roma), si sono alternati comandanti e re, presidenti e imperatori, granduchi e principi e pure i Papi e tutti, ma proprio tutti se ne sono altamente fregati del bene del popolino, tasse a parte, pensando esclusivamente al proprio tornaconto, a riempirsi la pancia e le casse (forti) di casa propria, a depredare la penisola di ricchezze e tesori. E la solfa non è mai cambiata, e nemmeno i ricchi che non bazzicano dalle parti di Palazzo Chigi, si comportano diversamente. I ricchi in Italia son sempre gli stessi, le grandi famiglie che si dividono la torta in parti mai uguali pronti a scannarsi alla prossima grande occasione sono sempre le soltie, vedasi l’Alitalia, la Sip ora Tim e forse ha cambiato nome un altro paio di volte. Stiamo prendendoci in giro? Prendiamoci. 

Si stava meglio quando credevamo di stare peggio, perché il nuovo non impara mai dal vecchio, e così chi arriva dopo non va a vedere per quale motivo lui ha scalzato chi c'era prima, non pensa che agire meglio sia sicurezza per restare, per essere rieletto e entrare nel cuore della gente per anni e anni. No. Chi arriva a potersi sedere nelle poltrone che contano, si assicura prima di tutto di avere una adeguata quantità di Attack in modo di non correre il rischio di essere staccato e buttato alle ortiche, poi si organizza per rubare quanto e più del predecessore, perche' se quello si è permesso di rubare, a maggior ragione può il nuovo arrivato che ancora non ha messo mano su nulla (vedasi al proposito, ma si parla di un’altra campana, i due deputati dell’M5S che sono confluiti nel gruppo misto per poter finalmente incassare la diaria che il Beppe nazionale negava loro). Che poi eletti perche' voluti dalla gente, anche se poi si sa come va a finire.

No, l'italiano non impara mai, pensa sempre di risolvere tutto con un bel colpo di spugna, volemose bene e riproviamoci, magari dando un colpo al cerchio e uno alla botte, oggi a te e domani a me con la speranza nascosta, così ben nascosta che la sto cercando ma ancora non mi riesce di trovare, che un giorno si possa dire "Si sta meglio ora di prima quando pensavamo di stare meglio di adesso e invece stavamo peggio."

Pio desiderio!


2013/06/09

Complotti e bufale organizzate



Ogni epoca ha la sua bufala. Quando ero bambino si parlava dell'alieno di Roswell, poi quando sono cresciuto è stato il periodo dei cerchi nel grano e ancora degli UFO (anche se a questi ultimi un po' ci credo), poi fu la storia del finto sbarco sulla Luna, organizzato, dicono le voci complottiste, dalla NASA in un capannone dalle parti di Cape Canaveral e quindi passando attraverso altri complotti organizzati, includendo i poteri forti e le stragi di Stato, passando da Calvi impiccato a Londra sotto il ponte dei Frati Neri, mai associazione di eventi e nomi fu così azzeccata, che fosse anche un buontempone il Calvi? E che dire delle Twin Towers l’11 di settembre 2001 e quegli aerei usati come armi di distruzione di massa. Armi sulle quali tutti noi viaggiamo spesso (chi più e chi meno) e nessuno pensa che realmente siano delle armi, in particolare nelle mani delle persone giuste e non in quelle criminali di terroristi e violentatori.

La bufala in quel caso fu pensare o credere si trattasse di un evento organizzato, penso all’esplosivo che qualcuno affermava di aver visto piazare nell torri gemelle per farle crollare al momento giusto e per giustificare la guerra contro i Talebani, Saddam Hussein e l'Iraq e magari anche con un occhio al regime di Teheran. Bufale, bufale e sempre bufale.

Oggi, complice internet le truffe, i complotti e le bufale riempiono la nostra giornata, conviviamo con esse tanto da arrivare a credere che sia tutto vero quello che ci propinano in nome di una verita' che non e' mai la verita' piuttosto una fandonia addomesticata affinche' i poveri di spirito o creduloni oppure boccaloni abbocchino all'amo e condividano il verbo non si sa bene quanto divino.

Siamo disinformati, ammettiamolo tutti, e in questa disinformazione sguazzano coloro i quali vorrebbero farci credere tutto e il contrario di tutto, poco male se si tratta di argomenti a cui noi crediamo fermamente, quelli insinuano il tarlo del dubbio e va a finire che ciò che pensavamo reale magari non lo è, si tratta di una colossale bufala e nemmeno lo sapevamo. La disinfomazione è il male del nostro tempo, verrebbe da dire secolo ma è appena iniziato, possiamo dire degli ultimi cento anni? Nemmeno, la vera bufala di massa viaggia di pari passo con il sistema comunicativo maggiormente all’avanguardia e allora parliamo di internet, la rete, il web, l’unico vero e incontrollabile sistema per condizionare i polli, non quelli da pollaio che giornalmente finiscono alla griglia o lessati sulle tavole degli italiani e di molti altri cittadini del mondo, no, i polli intesi come i creduloni che ormai pullulano sulla rete, abboccano agli ami tesi da pescatori temerari che li pescano in prevalena su facebook dove, si sa, tutti credono a tutti se lo dice facebook.

E questo è un problema, innanzitutto perché il dilagare di siti di news non professionali causa sempre più disinfomazione che nel tempo diventa realtà, e poi perché diventa sempre più difficile trovare fonti davvero attendibili, tra giornalisti poco professionali, ne conosciamo tanti, molti messi li da qualcuno che..., altri raccomandati da... e senza contare quelli che hanno avuto un’abbondante dse di fortuna nonché di posteriore a mandolino per finire al momento giusto nell’unico posto sbagliato ove potevano capitare, e quindi eccoli qui questi finti giornalisti che non andrebbero bene nemmeno in uno dei miei romanzi che pubblicano articoli senza controllarne le fonti, per non parlare di blogger di parte che pubblicano solo boiate pazzesche che portano proselitismo e naturalmente acqua al loro mulino.

Non c'e' notizia al mondo che non sia stata addomesticata da una fetta di pseudo profeti del giusto e della corretteza, dell'anti frode e antibufala che sono invece disinformati con intenzione e magari anche un pizzico di prevenzione. Questo nostro paradiso della rete un tempo riservato a chi un computer lo sapeva usare per lavorare e produrre si sta lentamente trasformando in un inferno, e col dilagare degli smartphone -da smart che significa intelligente, anzi sveglio, immediato, capace- di facile utilizzo anche per il più pigro dei cretini e l’abbassarsi dei costi di connessione il tutto è destinato a peggiorare. Peggio va con Facebook che distribuisce una pletora di bufale al cubo senza che nessuno, o pochi, si attrezzino per evitare la diffusione di certe notizie.

Ecco perché penso che oggi sono pochi quelli in grado di comprendere con immediatezza l'origine bufalica di certe notizie e avvisare per tempo chi non comprende e prende per vero tutto quello che legge. Internet dovrebbe essere un baluardo di informazioni, una roccaforte della verità che invece troppo spesso difetta, preda di imbroglioni e buontemponi che si dilettano tutti a prenderci per i fondelli, bisognerebbe dire per il culo ma la volgarità non sarebbe ammessa, bisognerebbe organizzarsi passare all’attacco delle bufale piccole o grandi che siano, noi che siamo così bravi a trovare le istruzioni per emulare lo scacciapensieri della nintendo su un pc di ultima generazione invece non siamo capaci di riconoscere la bufala che di nuovo non ha assolutamente nulla, tanto il clichè è sempre lo stesso e la trama anche, il solo fine l’abbiamo già detto quale dovrebbe essere, sentiamoci, anzi sentitevi tutti gabbati, io per fortuna sento puzza di bruciato anche in un tortino alla crema.

Ecco dunque una carrellata di bufale famose e meno famose abbastanza recenti e che facciano sorridere, spero, nello scoprire l’origine bufalina. 

Gli Alieni di Orson Welles 

La bufala più famosa è senza dubbio quella di Orson Welles. Fu ideata per il 1 aprile 1938, il celebre regista americano progettò uno speciale programma radiofonico. A causa di problemi tecnici, però, non fu possibile mandarlo in onda quel giorno. Welles non si arrese e qualche mese dopo, più precisamente il 30 ottobre, la radio trasmise una adattamento radiofonico del romanzo di fantascienza di H.G.Wells "La Guerra dei Mondi": radiocronaca dello sbarco dei marziani.
Welles sapeva che la CBS trasmetteva su frequenze vicine a quelle della più seguita NBC, dove nello stesso momento andavano in onda le trasmissioni di Edgar Bergen e Charlie McCarthy, ma sapeva anche che Bergen, in un momento ben preciso della sua trasmissione, mandava sempre in onda uno stacco musicale durante il quale il pubblico tendeva a cambiare stazione: è in quel momento che Welles decise di far atterrare i suoi marziani. La scelta si rivelò efficace perché gli Stati Uniti piombarono nel caos. I centralini radiofonici delle stazioni di polizia e dei giornali furono invasi da centinaia di telefonate, qualcuno tirò fuori la maschera antigas, le strade si svuotarono e le chiese si riempirono. Secondo la testimonianza di molti collaboratori, tra cui l'assistente personale Alland, l'executive della CBS Davison Taylor piombò in camera di registrazione dopo 15 minuti rivolgendosi a Welles esclamando: "Per Dio, interrompi questo coso! Là fuori la gente è impazzita!". Poco dopo Welles rispose al direttore generale della CBS Paley (giunto in ciabatte e accappatoio) che gli intimò di chiudere la trasmissione: "Interrompere? Perché? Devono avere paura, mi lasci continuare!" Salvo poi dichiarare il contrario in tutte le interviste successive.

Credendo che gli eventi descritti nella trasmissione fossero autentici, gli ascoltatori del programma furono presi dal panico, senza capire che si trattava in realtà di un semplice spettacolo radiofonico. La vicenda narrata nel romanzo venne interpretata da Welles come una reale radiocronaca, con l'unico intento di risultare avvincente per il pubblico. L'adattamento del romanzo simulava infatti un notiziario speciale, che a tratti si inseriva sopra gli altri programmi del palinsesto, per fornire aggiornamenti sull'atterraggio di astronavi marziane a Grovers Mill (New Jersey). Il risultato fu fin troppo realistico e andò oltre le aspettative dell'autore stesso. La vicenda si trasformò tuttavia in un enorme ritorno pubblicitario per Welles, tanto che la RKO si fece avanti proponendogli un contratto per la realizzazione di tre film a Hollywood.

L’Autopsia del Falso Alieno

Nel 1995, decine di milioni di telespettatori di oltre 30 Paesi sparsi in tutto il mondo videro, e in moltissimi credettero, il filmato dell'autopsia di un alieno rocambolescamente ottenuto da un cineoperatore. Il filmato, acquistato e commercializzato dalla Merlin Production, una piccola compagnia di distribuzione video posseduta dal documentarista Ray Santilli, sarebbe stato girato a Roswell (New Mexico) nel 1947.

Da allora, una miriade di esperti si avventò sul filmato, adducendo varie prove che tra testimonianze, contraddizioni ed inconguenze, ne dimostravano la non genuinità. Nel gennaio del 1995, si disse che il filmato doveva includere una scena dell'autopsia con la presenza del Presidente Truman che, insieme ad altre persone, da una finestra di vetro, avrebbe assistito all'autopsia. Nessuno ha mai visto nulla di tutto ciò. Quello che è stato mostrato è assai poco spettacolare, e sarebbe stato piuttosto facile da realizzare. Secondo Trey Stokes, l'intero filmato dell'autopsia dell'alieno si sarebbe potuto realizzare con appena 50.000 dollari, Ray Santilli dichiarò dapprima di aver ottenuto, dal presunto cineoperatore militare autore del filmato, "15 pellicole da 10 minuti ciascuna". Più avanti modificò la versione dicendo che si trattava invece di "22 pellicole da 3 minuti ciascuna". Santilli affermò in seguito che il filmato era su pellicola "a 16 millimetri, in nitrato". La Kodak, tuttavia, non ha mai prodotto pellicole a 16 millimetri in nitrato.

Il turista dell’11 Settembre

L’11 Settembre 2001 un aereo di linea della American Airlines volo AA11, un Boeing 767 per l’esattezza, si infila nella prima delle due torri gemelle di New York, sono le 8:44. A quell’ora la terrazza aperta ai turisti è ancora chiusa, avrebbe dovuto aprire le porte alle 9:30, inutile dire che da quel giorno non fu mai più riaperta. 

La foto di quel fantomatico turista ha fatto il giro del mondo. Sappiamo che qualche buontempone si è divertito ad aggiungere un aereo alla foto e da quel momento l’ignaro turista è diventaro un fenomeno mondiale! Si è poi scoperto che l’uomo della foto è un ragazzo ungherese 25enne di nome Peter.

La teoria del falso sbarco sulla Luna

È il 16 luglio 1969. Un razzo Saturn V decolla dal Kennedy Space Center. Dodici minuti dopo l’Apollo 11 è in orbita. Di li a 4 giorni Neil Armstrong avrebbe pronunciato le storiche parole che tutti ricordiamo: “Un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’umanità”. La teoria del complotto sull’allunaggio dell’Apollo (detta anche Moon Hoax in inglese) è la tesi secondo cui le missioni del programma Apollo non avrebbero mai portato l’uomo a toccare il suolo lunare e la NASA avrebbe falsificato le prove degli allunaggi, in una cospirazione organizzata assieme al governo degli Stati Uniti, riuscendo a convincere tutto il mondo scientifico, tecnico e giornalistico, nonché il mondo sovietico, all’epoca diretto rivale nella corsa sulla Luna. Questa teoria ha dei sostenitori nonostante sia a disposizione una enorme mole di dati scientifici e tecnici, materiale riportato sulla Terra, video, audio e fotografico. Inoltre esistono prove indipendenti sul reale allunaggio dell’Apollo. Tale teoria del complotto, a partire dal 1976, sostiene che i vari allunaggi presentati all’opinione pubblica mondiale tra il 1969 ed il 1972 non sarebbero mai realmente avvenuti, bensì sarebbero stati messi in scena in uno studio televisivo con l’aiuto degli effetti speciali. Nel 1999 un sondaggio della Gallup ha rilevato che solo il 6% dei cittadini USA ha dubbi sull’allunaggio. Dello storico equipaggio facevano parte, oltre a Neil Armstrong, Michael Collins (nato a Roma classe 1930) e Edwin 'Buzz' Aldrin (si, il personaggio del noto film d’animazione Toy Story, Buzz Ligth Year è proprio ispirato a lui, anche nell’aspetto). La Teoria del complotto lunare fu quella che criticava l'allunaggio come un falso, frutto di una cospirazione organizzata dalla Nasa assieme al governo degli Stati Uniti, nonostante oggi sia a disposizione una enorme mole di dati scientifici e tecnici, materiale riportato sulla Terra, video, audio e fotografico, che testimoniano l'esplorazione del satellite da parte dell'uomo.

La teoria delle Scie Chimiche

Le scie chimiche sono uno dei temi più in voga del complottismo moderno. I sostenitori di questa fantasiosa teoria hanno anche un sito internet pieno di oscure macchinazioni e presunti retroscena assai deliranti. Secondo costoro le scie di condensazione degli aerei sono composte da sostanze chimiche dannose all’ambiente. A tirare le fila di tutto ciò gli immancabili americani, chissà perché una bufala non è bella se non ci sono gli americani, a cui potremmo aggiungere il fantomatico progetto HAARP, incaricato di investigare le possibilità di manipolare il clima attraverso radiazioni elettromagnetiche o sostanze chimiche. Non si capisce per quale motivo si dovrebbero spargere nell’ambiente sostanze chimiche di ignota origine e capacità al solo fine di condizionare la vita delle persone. Forse costoro non sanno o non capiscono che la vera forza dei potenti sono le popolazioni inermi, disponibili sempre, se uccidessero tutti con chi potrebbero esercitare la propria forza e potere? Tale progetto sarebbe finalizzato a usare il clima come arma di guerra, nel senso di influenzare il meteo fino a far piovere di meno o di più nei territori ostili, e quindi creare disastri naturali.

Tralasciamo le panzane dei complottisti e passiamo a quello che afferma la scienza a proposite di queste ipotetiche scie chimiche. Intanto sono scie di condensazione e si possono formare a qualunque altezza e temperatura, tutto dipende dalla densità dell’atmosfera, dall’umidità, dal vento, dalla velocità dell’aeromobile. La durata nel cielo dipende fortemente dall’umidità ma anche dal vento, che a quelle altezze spira anche a velocità notevoli, anche oltre 200 kmh. Le scie formate dai gas di scarico dell’aereo, dette scie di condensazione, si formano di norma tra -25°C e -45°C e sono dovute al rapido raffreddamento dei gas di scarico dell’aereo, tra i quali abbiamo il vapore acqueo. Se c’è abbastanza umidità in atmosfera e se si aggiunge la presenza di polveri, le scie di condensazione possono durare anche delle ore, come se fossero delle nuvole.

I primi seri studi sulle scie di condensazione avvennero nel 1920 e si intensificarono negli anni a seguire durante la seconda guerra mondiale. Dal punto di vista strategico, infatti, le “contrails” (nome tecnico che identifica le scie di condensazione) erano un aspetto altamente negativo che vanificava totalmente l’effetto sorpresa derivante dalla guerra aerea. I bombardieri ad alta quota venivano avvistati con grande anticipo proprio a causa delle scie di vapore prodotte dai loro motori. Questo problema, fonte di numerosissimi studi, non è mai stato risolto, dal momento che esso scaturisce da un evento fisico naturale dei gas caldi e della combustione a cui non è possibile far fronte in alcun modo. Le scie “contrail” sono composte prevalentemente da acqua sotto forma di minuscoli cristalli di ghiaccio. Il motore (parliamo di quello a reazione, il più usato) emette durante il suo funzionamento un grande quantità di vapore acqueo nell’aria circostante. Questo vapore d’acqua è prodotto durante la combustione del carburante. Vengono anche emesse dal motore particelle minuscole (aerosol), che formano una superficie sulla quale possono formarsi le piccole gocce d’acqua. Si tratta comunque di una dose minima. Le contrails si formano quando queste gocce d’acqua gelano all’istante formando una lunga scia formata da aghi di ghiaccio. Un altro fattore che influisce sulla formazione delle scie è l’umidità atmosferica. Se c’è poca umidità le scie evaporano rapidamente; queste si chiamano scie di corta durata. Se c’è molta umidità, la scia continuerà a crescere: queste si chiamano scie persistenti. Queste ultime possono resistere per parecchie ore e possono crescere notevolmente in larghezza ed altezza. Possono anche espandersi notevolmente per effetto dei venti alla quota di volo, e quando succede queste scie divengono in seguito impossibili da distinguere da un Cirro naturale.

Che poi scienziati, meteorologi, militari, Cia, governi degli Stati, piloti di linea, compagnie aeree, controllori di volo e chi ne ha più ne metta siano tutti complici di un gigantesco complotto, è abbastanza inverosimile: è alquanto improbabile che una cerchia così imponente di persone e senza contare le famiglie di questi individui, le cerchie anche allargate di amici e conoscenti, possa mantenere il silenzio su argomenti così controversi. Una fuga di notizie accadrebbe con cadenza giornaliera.

21 dicembre 2012: la grande bufala della fine del mondo

Libri, trasmissioni televisive e film hanno spiegato e ripetuto alla nausea che il mondo sarebbe terminato il 21 dicembre 2012. Al proposito anche un libro ricco di particolari per prepararci al drammatico evento. Evento assicurato, dicevano presunti esperti di fama mondiale (esperti di cui nessuno aveva sentito parlare prima) che fosse una profezia degli antichi Maya. Che cosa c’era di vero? Per rispondere con una parola sola: nulla. Anche ammettendo che gli antichi Maya avessero davvero previsto la fine del mondo per il 21 dicembre di un anno che, a conti fatti poteva essere identificato come nel 2012, nessuno avrebbe potuto garantire che questa profezia avesse potuto avverarsi, nemmeno gli antichi Maya perché basata su calcoli matematici soggetti a errori abbastanza frequenti quando si lavora con un computer figuriamoci per quelli a mano effettuati dai Maya. La cultura e le credenze dei Maya non sono “la verità” è bizzarro che qualcuno l’abbia presa come verità. Ma i Maya hanno, in effetti, previsto la fine del mondo per il 21 dicembre 2012? No. Si trattava di una teoria inventata da un teorico del New Age nato in Messico ma cittadino statunitense, José Argüelles, a partire dagli anni 1970 e illustrata particolarmente nel suo volume del 1987 The Mayan Factor (in italiano Il fattore maya. La via al di là della tecnologia, WIP, Bari 1999). Argüelles aveva ottenuto un dottorato e tenuto corsi in varie università anche in Italia per illustrare la sua teoria, anche se la sua materia era la storia dell’arte, non l’archeologia e nemmeno la cultura Maya. Inoltre egli, anni dopo, francamente dichiarò che molte sue teorie derivavano da “visioni” che avrebbe avuto sotto l’influsso dell’LSD. Neppure un solo specialista accademico dei Maya ha mai preso sul serio Argüelles o le sue teorie sul 2012 e “ciarlatano” non è neppure la più severa fra le molte espressioni sgradevoli che la comunità accademica ha usato nei suoi confronti.

Concludendo

I testi e i materiali che si trovano sul web sono tanti, potrei dire troppi oppure che troppa gente crede di sapere tutto o molto e lo scrive online influenzando le persone che, nonostante viviamo in un’era moderna, sono ancora credulone. L’accrescere di siti disinformati e poco professionali fa si che ormai se cerchiamo notizie attendibili usando mamma Google dobbiamo arrivare fino alla terza pagina dei risultati per vedere i primi siti attendibili, le prime due pagine sono spesso solo risultati di parte infondati e inattendibili e spesso anche Wikipedia fornisce informazioni false, arrangiate, manipolate e spesso errate. Bisogna spiegare a tutti ma questo è spesso impossibile, far capire alla gente che Google non è la Treccani e che se cerca cellule staminali, metodo Di Bella (che pure si è rivelato con qualche fondamento di verità), scie chimiche non è che i primi risultati che ottiene siano il Verbo, ma solo i siti più visitati perché la gente è credulona.

Correggere le notizie inesatte, segnalare a chi ha scritto dove sta sbagliando, evidenziare quando si tratta solo di bufale, e condividere con altri e col resto del mondo, le informazioni relative alla nuova bufala, imbroglio o semplice catena moderna di Sant’Antonio, dovrebbe essere una regola, dovrebbe servire a fermare gli imbecilli che, sappiamo benissimo, abbondano a questo mondo e vi appestano ogni giorno con le proprie boiate!

Dovrebbe, purtroppo la madre degli imbecilli è sempre incinta e ogni giorno ne nasce uno che crede di essere meglio degli altri. 

State attenti a quello che leggete, mi raccomando.

2013/06/07

Cent'anni

Io e mio padre, 57 anni fa, avevo 3 anni appena compiuti 
Eccoci qui, sono trascorsi cento anni. C-E-N-T-O anni, un numero infinito, difficile anche da pensare e considerare. Anche se oggi la gente arriva abbastanza facilmente a cento anni, non che siano tutti di questa venereanda età ma centenari se ne incontrano tutti i giorni, ovunque noi viviamo.
Cent'anni come il libro del mio scrittore preferito Gabriel Garcia Marquez.
Era il 7 giugno 1913, Sergio Balacco, mio nonno, si recò alla casa comunale per dichiarare la nascita del suo terzo figlio, o forse il quarto perché come raccontava spesso mio padre prima di lui era nato un altro fratello morto quasi subito, ancora prima di compiere un anno, cioè mio padre Antonio, avvenuta, presumibilmente lo stesso giorno, il condizionale è d’obbligo e non posso che romanzare questo episodio datosi che tutti i protagonisti di quella storia sono passati a miglior vita. Dicevamo che fu registrata la nascita di mio padre, frutto dell'amore coltivato da mio nonno con la consorte Gesummina Carbone detta Mina, frutto che non sarebbe stato l'ultimo, visto che dopo di lui nacquero due sorelle e questo nonostante il nonno non fosse più tanto giovane. Alla formalità burocratica della ricezione della denuncia della nascita, poiché il sindaco era assente, inattesi impegni l’avevano trattenuto altrove, provvide l'addetto all’anagrafe che non ho la benché minima idea come si chiamasse e detto fra noi non è che importi poi molto. Fatto sta che lui fu registrato, con l'assistenza dei testimoni di rito.
Mi perdo nei ricordi che non ho mai avuto o forse ho dimenticato anzitempo, magari perché nessuno ricordava con precisione quello che successe, e tralascio o cancello con un tratto di penna il numero di registrazione anche se, sono quasi certo, quando mio padre nacque non vi furono troppe registrazioni, il paese era piccolo, le famiglie per la maggior parte povere, il nonno rappresentava un’eccezione e forse uno dei pochi che le regole le rispettava. Oggi, cento anni fa, da quella casa dove vide la luce del giorno, il 7 di giugno dove essere una giornata calda, non dico afosa certamente calda e lui, mio padre vide la luce e tutto prese vita anche nei suoi occhi. Come posso immaginare mio padre un bimbo, come mio figlio quando nacque. Non so, posso solo immaginare perché i bimbi alla nascita si assomigliano tutti e lui era piccolo e indifeso proprio come suo nipote quando nacque. E in quella casa si levarono, padre mio, i tuoi vagiti. Posso solo immaginare. 

E da quel giorno sono trascorsi ben cento anni, di cui vissuti da te solo 68! La pletora di infiniti ricordi che scaturiscono dalla mia penna virtuale mi terrebbe bloccato qui a scrivere senza sosta un romanzo parlando di te. Ma io, come te, debbo assolvere al dovere di continuare a lavorare. E, sono sicuro che non te la prenderai, se non vengo davanti alla tua lapide in raccoglimento a portarti un mazzo di fiori, anche perché sarebbe un lungo viaggio visto che oggi io e la mia famiglia abitiamo molto lontano da dove abiti e abiterai tu per l’eternità, e quindi accetterai che rivolga a te, da lontano, il mio pensiero ed il mio affetto.
Ti voglio bene papà, un grande abbraccio ti giunga come se tu fossi qui a riceverlo. 
Tuo figlio Sergio.


2013/06/03

Chanel No. 3

Chanel 3: alcuni disegni anche se "ispirati", sono il frutto della voglia del momento di imparare a guardare un paesaggio o una scena con i propri occhi. Altri sono esplosivi. Vengono senza pensare con 2 tratti di pennello, nascono così in pochissimo tempo... Chanel 3 è così. La cosa più bella che mi è accaduta quando ho deciso che era finito è che mi stavo chiedendo se l'avevo fatto io.

C’è chi dice che il racconto sia una delle forme letterarie più difficili, e io mi sono sempre chiesto il perché di questa convinzione, visto che a me pare uno dei modi più spontanei e fondamentali dell’espressione umana. Dopotutto, uno comincia ad ascoltare e a raccontare storie sin da piccolo, senza trovarci nulla di particolarmente complicato. Tutti raccontiamo storie da una vita, fin dall’infanzia quando ci si inventava storie da raccontare a mamma e papà per giustificare le marachelle. 

La storia che vi voglio oggi raccontare riguarda un’amicizia, l’inizio di una bella amicizia nata in modo casuale, direi pittoresco, una amicizia vera e spontanea, di reciproco rispetto eppure di confidenza, di complicità. Qualcuno ebbe a dire tempo fa che la sintesi è indizio di genialità. La sintesi di una amicizia quali indizi porta? Un rapporto spazio tempo situato in un punto qualsiasi del nostro universo personale e temporale al cui interno si muovono le figure che si incontrano, avvicinano e allontanano senza che noi possiamo o vogliamo far nulla per cambiare il corso delle cose? Mi muovo dunque in uno spazio limitato; racconto questa storia nel modo più conciso possibile eppure affascino, o mi illudo di affascinare e attrarre il lettore affinché abbia a gioire con me del ricordo di un’amicizia nascente che ancora pervade come un’alea di mistero su tutto. Amicizia è rispetto.

Era giugno inoltrato, dalle parti di Civitavecchia. Banalmente parto da un incontro di lavoro. Le consuetudini, le regole, sono sempre le stesse, giacca, cravatta, sorridere sempre anche quando sembra che vada tutto a rotoli, positività a vagonate, da una parte un cliente da convincere, dall’altra un venditore che deve convincere. Il fine è sempre lo stesso: vendere. Non importa se frigoriferi agli eschimesi o forni agli africani, la capacità del venditore è vendere e per farlo l’aspetto è uno dei più considerati.

Lui arrivò in pantaloni corti, al ginocchio, una specie di eleganti bermuda, scarpe basse tipo timberland, camicia e palmare, una borsa se ben ricordo. Occhiali da sole, qualche brochure, tanto per rendere l’idea, il resto tutto in testa. Decisi su due piedi che potevo fidarmi, non chiedetemi perché, sapevo che sarebbe stata la scelta migliore e così fu. E siccome da cosa nasce cosa ecco che siamo diventati amici, e quest’amicizia seppure da lontano, perché la vita divide, continua ancora oggi che son passati anni.

I dipinti che seguono sono frutto dell’ingegno e dell’arte della sua compagna di vita, una volta si assegnava d’ufficio un matrimonio per forza, anche se non c’era, perché certe consuetudini sono dure a morire, invece le persone restano legate anche senza il pezzo di carta, se c’è l’amore tutto il resto non conta.



Godiamoci la carrellata di dipinti di Federica Mele, oggi sono pochi a sapere chi è ma domani...
Un giorno di pioggia: Piove, alza lo sguardo, piove dentro i tuoi occhi.
Cammina solitaria, il tuo impermeabile rosso   ti protegge.
 L'indifferenza: Essere vicini non vuol dire camminare insieme


L'incontro. Ci si incontra, così per caso, in un giorno di pioggia uno scambio di sguardi,
gocce che cadono ad una ad una si mescolano, si asciugano. Non resta nulla.

Tentazioni pericolose, in realtà questo acquarello mi è stato commissionato da un
amico diventato scrittore. È stato un momento emozionante.

Pericolosa tentazione. Mi veniva in mente l'ultima frase della poesia l'infinito di Leopardi: "e il naufragar m'è dolce in questo mare". Avrei voluto naufragare dolcemente in questo stagno.

31 dicembre 2012: silenzio, crepitio di foglie, solitudine nel parco.
Un vento gelido accompagna la fine del vecchio anno e nessuna speranza riscalda il nuovo.

La terrazza di Enza: Adoro Grottaglie e le sue Ceramiche.
Il sud di Italia possiede una bellezza e una creatività che nessuno riuscirà mai ad eguagliare. 


2013/05/31

Lo Schifo del Turismo Sessuale


Vi siete mai chiesti per quale motivo i voli diretti dall'Europa in Thailandia sono stracolmi di attempati uomini per lo più single, in gruppi, in comitive formate da persone con le stesse passioni?
No? Ebbene adesso vi illustro la situazione pertendo da una mia personale esperienza.
Tranquilli, la mia "esperienza" è quella di un viaggiatore che si trova, suo malgrado, a dover dividere parzialmente il volo verso casa con queste orde di assetati violentatori di ragazzine e ragazzini thailandesi.
Procediamo con ordine e calma.
Martedi 28 Maggio 2013, l'aereo di una famosa compagnia teutonica decolla in orario da Saigon, Vietnam, diretto a Bangkok capitale della Thailandia. A bordo il settanta per cento sono thailandesi che lavorano in Vietnam, un altro venti per cento turisti vietnamiti che sperano di trascorrere una bella vacanza a due passi da casa. C'e' da dire che fra Thailandia e Vietnam non esistono grandi differenze. Il vietnamita va in Thailandia per il gusto di poter dire d'esserci stato.
Il resto dei viaggiatori sono sia turisti che lavoratori che rientrano in Europa.

A Bangkok si scende tutti, riforniscono l'aereo, lo puliscono, sostituiscono l'equipaggio, tutto nuovo. La sosta è di poco più di un'ora.
Martedi 28 Maggio il gruppo più numeroso è costituito da un centinaio di uomini, per la maggior parte tedeschi e italiani, soli, apparentemente non si conoscono fra loro. All'imbarco occhiate sfuggenti, risolini, ammiccamenti. Appena a bordo ecco che viene fuori la verità. Nel 747-400 ci sono, in business e in prima classe tre coppie di sedili, in economica 3-4-3.
Accanto a me un uomo dall’apparente età di una cinquantina d’anni. È italiano. Io parlo con il personale di bordo in inglese, leggo un giornale in inglese, ho in mano riviste in inglese, il viaggiatore non intuisce la mia nazionalità. Capisce che se parla italiano io non posso capire. Siamo seduti nella fila di sinistra, io accanto al finestrino, lui sul corridoio. Alla sua destra un altro assatanato, anch’egli italiano. Dietro altri due, altri della stessa comitiva sono in classe economica. Al momento del decollo tutti ai propri posti, in silenzio e forse anche paura (non io che volo da trent'anni).
Decollo perfetto, quasi non ci si accorge che il mastodontico re dell’aria si solleva progressivamente nel cielo fino a non riconoscere più la forma della città immersa nel buio della notte asiatica. 

Entriamo nelle nuvole, qualche turbolenza, la spia “allacciate le cinture” resta illuminata qualche minuto più del solito, a bordo non vola una mosca.
Non appena la spia si spegne ecco che la vita a bordo rifiorisce, si riaccendono le luci, qualcuno si alza, il mio vicino di sedile si alza incurante dell’hostess che gli si avvicina con il vassoio delle bibite. Lui si ferma a chiacchierare con l’altro uomo nel primo sedile oltre il corridoio. Da quello che posso sentire parlano delle conquiste, delle vittime, delle povere, è il caso di dirlo, ragazze e non solo, che sono cadute sotto le fauci affamate di questi conquistatori sessuali che non provano alcuna vergogna in quello che fanno. Sicuri che nessuno li capisca parlano anche alzando il volume, un altro passeggero si avvicina, ascolta, poi partecipa alla discussione, ricordando particolari scabrosi, dettagli vomitevoli, parlano di ragazze ma anche di bambini, di giovani vite strappate alle famiglie per quattro soldi che per le famiglie delle giovani vittime rappresentano i bisogni di mesi e per gli orchi un pasto in un buon ristorante europeo e forse nemmeno quello. 

Mi vergogno per loro, sono certo che altri su quell’aereo dividono le stesse vomitevoli esperienze. Sono scioccato. Ancora di più quando scopro che anche i due attempati turisti, all’apparenza, tedeschi, hanno le stesse esperienze, conoscono gli italiani, ridono e scherzano insieme e quando il tedesco accenna a qualche parola in inglese dato il proprio livello limitato di italiano, gli altri lo zittiscono immediatamente, altri potrebbero capire. Si scopre così che sono ancora tanti gli italiani, nonostante ci siano le leggi contro questo tipo di reati, che continuano a recarsi all’estero, utilizzando vettori stranieri, per farla franca, per non essere riconosciuti all’arrivo, che viaggiano per cercare emozioni forti, un turismo sessuale che continua a crescere e che troppo spesso riguarda anche minori di età. In diverse zone del mondo, quelle più povere e in cui regna l’ignoranza. E dove a dettare legge è solo il denaro.

Che schifo, che schifo, che schifo.

Leggo su internet che il turismo sessuale avanza, quello relativo ai minori rappresenta ogni giorno che passa una fetta più importante del “mercato”. Sono diversi i Paesi dove con pochi euro è possibile comprare un bambino, la Thailandia non rappresenta l’unica piazza dei traffici abominevoli di questi maniaci del sesso con i minori, una vera orda di malati che vanno fermati al più presto, il Laos dove la povertà si sente, si annusa, si incontra a ogni angolo di strada, sulle vie del centro di Vientiane o nelle estreme periferie visitate ancora da pochi turisti la cui maggior parte sembra sia costituita da moderni orchi appassionati di sesso estremo con bambini di ambo i sessi, in questo trucido mercato del sesso e della violenza dei minori non ci sono grandi differenze. 

Che schifo, che schifo, che schifo.

Restano il Brasile, per esempio, la Repubblica Dominicana anche Haiti dove il terremoto ha contribuito a acuire il senso di disagio e bisogni della popolazione anche attraverso la vendita di giovani vite ai moderni orchi.
E poi Cambogia e Filippine. E nessuno fa niente: le autorità locali troppo spesso hanno altro di cui occuparsi. Conoscono il fenomeno, ma si voltano dall’altra parte: fanno finta di non sapere.

PS Alla fine quando stavamo preparandoci per sbarcare a Francoforte mi sono girato e ho salutato in perfetto italiano il maiale a fianco a me, è sbiancato come se fosse stato lavato col dixan.

Riscaldamento del pianeta? Bufala globale!


Nel 1988 uno scienziato americano della NASA, tale James Hansen disse ai parlamentari americani riuniti al Congresso, che il riscaldamento globale antropogenico era alle porte e che i suoi effetti disastrosi si sarebbero manifestati entro il 2100, il National Geographic azzardò un annuncio ancora più clamoroso: cioè che i ghiacci del polo Nord sarebbero spariti completamente, un grande mare nemmeno tanto freddo al loro posto, addirittura nel 2009. Spa-ri-ti. Che dire? Siamo nel 2013 e il Polo Nord sta ancora li, e ci siamo accorti, dato l’inverno che non accenna a finire, abbiamo anche notato che la primavera è praticamente inesistente e l’estate sospettiamo arrivi in ritardo (speriamo di no).
Al tempo tuttavia si impegnarono proprio tutti a venderci la più grande bufala che mente umana potesse mai concebire: Il Riscaldamento globale.

BUCO DELL'OZONO
All’inizio fu il buco dell’Ozono, se si fosse realmente verificato tale evento oggi i tumori della pelle e quelli superficiali avrebbero ucciso la metà della popolazione del pianeta, evento che, come sappiamo, non si è verificato. Basterebbe avere pazienza e aspettare fino al 2100 per vedere se realmente saremo in quella catastrofica situazione prospettata nel 1988: facciamoci un nodo al fazzoletto e riparliamone dopo le vacanze. Che poi non vi viene un dubbio? Quanti avrebbero potuto nel 1988 verificare se realmente la catastrofe si fosse avverata? Nessuno, nemmeno i nuovi nati di quell’anno avrebbero vissuto abbastanza (112 anni) da potersi ricordare la profezia e affermare con sicurezza che il Mr. Hansen aveva visto giusto. E se mi chiedete come poter fare fronte alla, a questo punto, imminentissima, disgrazia, non saprei proprio che ricette darvi.

Certo che l’annuncio deve aver rotto un bel po’ di uova nel paniere degli ambientalisti. Sicuramente li ha spiazzati non poco. L’ambientalismo è servito per decenni come migliore scusa per il controllo delle azioni dei singoli individui, ricattandoli con avvertimenti del tipo: fai questo per la salvezza dei tuoi figli o, se non ne hai, per la salvezza delle foche. Col riscaldamento globale è stato tutta un’altra forza:  fallo per la salvezza dell'intero pianeta, il tuo comportamento qui a Milano ha conseguenze a Pechino. 

Peccato che a Pechino l’aria è irrespirabile causa inquinamento, tanto che lo smog si potrebbe tagliare a fette come un formaggio molle, ma fosse solo lì, in tutte le maggiori città asiatiche ormai ha raggiunto livelli da guerra chimica. La gente si rinchiude in casa e sigilla con nastro adesivo le fessure di porte e finestre e quelli che non ne possono fare a meno si infilano mascherine e maschere antigas e si avventurano in motoretta super inquinante nei centri cittadini, peraltro soleggiati a differenza dei nostri ancora sotto la morsa del freddo inverno.  Quegli avvertimenti degli ambientalisti hanno anche il vantaggio di favorire il superamento dell’irritante ostacolo delle sovranità nazionali. Il riscaldamento globale, insomma, è la realizzazione perfetta del sogno ambientalista: esercitare il controllo totale sulla società e sui comportamenti individuali. Il problema del riscaldamento globale, poi, è così gigantesco che, in realtà, nessuna soluzione è sufficiente a risolverlo, e qualunque cosa si faccia non è mai considerata abbastanza: l’inutilissimo e costosissimo protocollo di Kyoto, ad esempio, è “solo un primo passo” mentre il secondo è stato quel simposio e congresso di Copenhagen che ha sancito come il cittadino, il singolo e non gli Stati sovrani, sono responsabili del degrado e quindi è giusto che paghino aumenti di tasse e balzelli per risanare le sole tasche di chi vorrebbe farci credere che solo così si potrà risanare il clima, che dire, il pianeta tutto. Ma per favore...
Se fossero veri i timori propagandati, la risposta dovrebbe essere una sola: non basta ridurre, ma bisognerebbe interrompere, senza se e senza ma, i nostri consumi delle risorse energetiche del pianeta. 

Se si vuole evitare che il clima impazzisca, anche le generazioni future dovrebbero astenersi dal servirsi di quelle che, a questo punto, “risorse” non possono più chiamarsi: la logica ambientalista, insomma, privando dello stato di “risorsa” l’oggetto delle attenzioni degli ambientalisti, toglierebbe a costoro il loro potere venefico. Ecco perché i primi passi sono tutto ciò conta: un veleno, per mantenere il proprio potere, deve essere somministrato in piccole dosi. Se no si muore avvelenati e addio potere. Invece, somministrata la prima dose politicamente accettabile di veleno, e digeritala, si passa alla seconda. La campagna sul clima è insidiosissima a questo proposito: si comincia col vendere l'imminente pericolo e la necessità di agire, quindi si prospettano azioni successive, tutte costosissime e totalmente inutili. Quando la loro inutilità sarà evidente, si dirà che non è stato fatto abbastanza, e che quello precedente era solo un primo piccolo passo. E via di questo passo: in ogni momento, naturalmente, la parola d'ordine è “agire subito”. Tutto questo mi ricorda la famosa pubblicità di un’altrettanto famosa crema per ridurre la cellulite delle donne, ma anche degli uomini, che ne soffrono. Come sappiamo la cellulite è causata da un anomalo accumulo di grasso adiposo in determinate aree del corpo, la natiche le cosce per le donne, la pancia e le maniglie dell’amore per l’uomo. 

Ora la convinzione che una semplice pomata possa guarire, quindi rimuovere quelle cellule grasse dal corpo altro non è che una pia illusione, e nemmeno tanto pia. Ora chi la prova è avvisato, anche nel corso della pubblicità che il non seguire pedissequamente i dettami e le regole applicative della pomata non porta i risultati sperati. Tralasciamo quello che dicono, noi sappiamo che in un campione di cento individui, venti avranno dei miglioramenti  non già per effetto della miracolosa pomata ma solo per mutate condizioni, autosuggestione chiamiamola, di alimentazione, un’altra ventina perché vengono aumentate le pratiche sportive per accelerare l’effetto (placebo) del miracoloso unguento e la rimanenza non vedrà alcunché per il semplice motivo che avranno sicuramente commesso degli errori che ne hanno inficiato l’efficacia. Funziona tutto a questo modo nel mondo. Non vi hanno forse raccontato le stesse storielle per vincere alla lotteria? O per diventare scrittori provetti? O per essere campioni di sci, di calcio o di lippa?

Ecco cosa dovevamo aspettarci, quelli del National Geographic hanno fatto cadere a terra molto dall’alto per donare all’evento maggiore enfasi, l’intera fiala di veleno: dobbiamo solo aspettare che agisca il suo effetto. Non possiamo più “agire subito’, perché non c’è nulla da fare: abbiamo solo da aspettare 3 mesi. Pazienza, quindi. E memoria. Ma i tre mesi di allora sono trascorsi senza che nulla succedesse, e allora?

PICCOLA ERA GLACIALE 
Da un po' di anni abbiamo inverni freddi e macchie solari che si sono ridotte, quindi sembra possibile una correlazione diretta, alcuni analisti non mettono però in dubbio l'esistenza del riscaldamento globale. L'inverno che ancora non se ne vuole andare è stato freddo, con nevicate abbondanti e temperature a lungo sotto lo zero in gran parte dell'emisfero settentrionale. È fuorviante dire che siamo alla vigilia di una nuova era glaciale ma, secondo alcuni scienziati britannici, il calo delle temperature medie invernali potrebbe essere collegato alla diminuzione dell'attività solare, come già avvenuto circa 350 anni fa quando, in corrispondenza della diminuzione e in alcuni anni della scomparsa delle macchie solari, iniziò la cosiddetta "piccola era glaciale".

MINIMO
Alcuni studiosi non coinvolti con Al Gore (meno male) ritengono che esista una connessione tra la scarsità di macchie solari e le condizioni atmosferiche. Questi ricercatori, in uno studioapparso su Environmental Reserarch, si sono avvalsi dei dati registrati dal Cet (Central England Temperature), che risalgono fino all'epoca del Minimo di Maunder, un periodo compreso circa tra il 1645 e il 1715, durante il quale le macchie solari scomparvero quasi del tutto, che coincise con la parte più fredda della piccola era glaciale. In questo lasso di tempo l'Europa, l'America settentrionale e anche l'Asia, subirono inverni decisamente freddi e secondo gli scienziati sta accadendo nuovamente qualcosa di simile.

MACCHIE SOLARI.
L'attività solare nel corso dei millenni ha sempre avuto la tendenza ad aumentare lentamente per un periodo di trecento anni per poi decrescere velocemente nel corso di un secolo. La diminuzione di attività attuale è iniziata nel 1985 e al momento siamo a metà strada verso le condizioni del Minimo di Maunder. Le macchie solari sono aree della superficie del Sole che appaiono più scure del resto della nostra stella, a causa di una temperatura minore rispetto a quella circostante. Il numero delle macchie è correlato con l'intensità della radiazione solare. Negli ultimi cinquant'anni sono stati registrati i valori più elevati.

CORRENTI A GETTO
 La scarsa attività del Sole causa un blocco delle correnti a getto, ovvero i forti venti che soffiano a 7-12 chilometri al di sopra della superficie terrestre. Ogni emisfero ne ha una alle alte latitudini e una meno intensa verso l'equatore. Quando la corrente che riguarda il nostro emisfero viene bloccata, sull'Europa arrivano gelidi venti dall'est. (Vi ricorda qualcosa?) E non a caso scritti risalenti al periodo del Minimo di Maunder testimoniano proprio la presenza di forti venti orientali durante gli inverni più freddi, il che rappresenterebbe una conferma delle conclusioni dello studio di questi ricercatori indipendenti. La ragione per la quale il Sole causa l'attenauazione o il blocco di una corrente a getto sarebbe collegata alla quantità di emissioni ultraviolette prodotte dalla stella. I raggi ultravioletti riscaldano la stratosfera, in particolare quella equatoriale che si estende da 20 a 50 chilometri sopra la Terra, dando origine a venti d'alta quota. Altri studi hanno dimostrato che le condizioni di riscaldamento della stratosfera influenzano ciò che avviene nella troposfera, che è lo strato dell'atmosfera nella quale agiscono le correnti a getto.

RISCALDAMENTO GLOBALE
E' bene ricordare che l'inverno che ancora non trascorre è stato catalogato come il quindicesimo più freddo degli ultimi 160 anni in Europa, ma in realtà viene anche classificato come il quarto più caldo di sempre. Il 1864 fu l'anno con le temperature invernali più rigide, ma l'anno successivo, ancora in una fase di scarsa attività solare, fu registrato il terzo inverno più caldo dei 351 anni di dati del Cet.


Tutte e quattro le agenzie che registrano la temperatura della Terra, tre in Usa e una in Gran Bretagna, riferiscono che questa è diminuita di 0,9 gradi Celsius nel 2012, il cambiamento più rapido finora registrato con strumenti, che ci fa tornare alla temperatura del 1930. ''Se la temperatura non torna presto a risalire, dobbiamo concludere che il riscaldamento globale è finito”.

2013/05/22

Il mio Piccolo Libro della Vita

Il libro "IL mio PICCOLO LIBRO DELLA VITA" è ora disponibile su Amazon a questo indirizzo:

2013/05/21

Vietnam


Titolo breve e significativo. Il Vietnam è diventato negli anni una meta ambita per tutti quelli che vogliono trasformare il turismo consumistico in una forma di turismo densa di contenuti, anche storici. Il Vietnam nazione del Sud Est Asiatico strategica area geografica che si posiziona fra l’Australia e il Paese di mezzo altrimenti detto Cina. Certamente è anche lo stesso di certi tragici ricordi di guerre, distruzione e morte, ormai patrimonio di un lontano passato, possibilmente da dimenticare. 

Parliamo dunque di questo Vietnam, quello della gente gentile, sorridente cascasse loro il mondo addosso, sempre disponibile verso lo straniero purché dotato di portafogli sempre pieno di profumati dollari, guardacaso degli euro non sanno che farsene. Per un vietnamita il turista, oltre a essere un portafogli con le gambe, rappresenta un bene da preservare, da coccolare, da salvare. Evidente il riferimento al portafogli ma non solo.

In questa mia ultima fatica voglio parlarvi del viaggiare in Vietnam. Il viaggio in questo lungo e stretto paese è possibile con qualsiasi mezzo ma solo due di questi possono essere considerati con la dovuta importanza in quanto tutti gli altri non rientrano ne nei nostri standard ne nella convenienza a causa delle velocità non certo ottimali, ne delle condizioni di sicurezza senza tralasciare la pulizia.
Restano i mezzi stradali, i cosiddetti van come li chiamano qui a 16, 26 o 50 posti e gli aerei. Diciamo subito che l’aereo riveste una importanza strategica per questo paese, sia per la tempistica veramente ridotta rispetto al mezzo alternativo su strada, sia per la sicurezza. L’aereo va dunque preferito a un trasferimento su strada quando le distanze sono oltre i 250km, ma se il turista vuole “vivere” il viaggio è il torpedone, mi si conceda un termine puro con rimembranze autarchiche, quello che gli permette di vivere al meglio il viaggio di scoperta intima di questo affascinante Paese asiatico. 

Le principali città del Vietnam sono quattro, da nord a sud: Ha Noi, Hai Phong, Da Nang, Ho Chi Minh City, nota in passato come Saigon. A queste si aggiungono altre non meno famose, dotate di un tessuto urbano considerevole eppure meno catalizzanti delle prime quattro. Possiamo quindi aggiungere: Nha Trang, Hué, Vinh, Than Hoa.  Da Nang dista da Ha Noi circa 900 km, l'aereo e' il mezzo piu' adatto, stesso discorso da Saigon a Da Nang, 870 km, anche in questo caso spostarsi in aereo rimane la soluzione piu' facile, ambita.
Hai Phong dista poco meno di 150 km da Ha Noi ma oltre 1500 da Saigon, mentre Nha Trang quasi 500 da Saigon. Inutile fornire altre cifre, Ha Noi e Hai Phong sono a nord, Da Nang e Hue al centro, distanziate da un paio di centinaia di km, tutte le altre si trovano a sud. Impensabile attraversare tutta la nazione in auto, treno o torpedone per raggiungere le vostre mete a meno che non siate propensi al sacrificio o costretti da bagagli particolari.

Chiarito il dettaglio salto a pie' pari al mezzo d'eccellenza in Vietnam: l'aereo.
Va detto che i vietnamiti, parlo di chi tiene i fili del comando, hanno, letteralmente, un sacro terrore dell'aereo. Non intendo dire che non volano, semmai che possa cadere un apparecchio provocando vittime. Molti voli importanti trasportano ogni anno milioni di turisti, quanti ne arrivano principalmente dall'Australia e New Zealand, Stati Uniti e dall'Europa. E meno male direte voi, qualcuno pensa ogni tanto alla sicurezza e non solo ai ricavi. Certo, per questo motivo tempo fa, è capitato a me, l'aereo su cui viaggiavo ebbe un problema, il pilota informò i passeggeri che si tornava all'aeroporto da cui eravamo decollati, poi ripartimmo e ritornammo a terra credo sempre per lo stesso problema. Altro decollo e altro ritorno dopo di che non tentai la sorte per la quarta volta e cambiai aereo. Il motivo era sempre lo stesso: tutelare i passeggeri, anche a scapito delle tempistiche, anche a scapito delle coincidenze. Nel mio caso la metà dei viaggiatori era inviperita, tutti avevano perso le varie coincidenze, tutti auspicavano di venir riprotetti su altre linee ma, si sa, certi voli verso altri continenti si ripetono su base settimanale, essere riprotetti significava doversi sorbire un numero imprecisato di voli di grandi e piccole compagnie non sempre allo stesso livello, un livello accettabile, per sicurezza e affidabilità, un incubo da evitare assolutamente. Attenti dunque alle coincidenze.

Forti di questo sano principio gli aerei della Vietnam Airlines non volano se fuori piove a dirotto, se i nuvoloni scaricano tonnellate di acqua per secondo, abbastanza normale si dirà, succede in ogni altra parte del mondo. Certamente, ma in Vietnam non informano il passaggero, così esso si ritrova in attesa di un volo che doveva partire ma non parte, di un aereo che doveva arrivare ma non arriva e non pensiate che sia un’eccezzione, no, è la regola. In questo ultimo anno ho percorso la tratta Ha Noi / Da Nang con regolarità, quasi tutti i fine settimana li ho trascorsi a Hoi An ridente cittadina situata lungo le rive del fiume Thu Bon, nominata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, meta preferita di milioni di turisti ogni anno. E non solo, quando le esisgenze di lavoro lo richiedevano mi dovevo sorbire il trasferimento obbligatorio da Ha Noi a HCMC (Ho Chi Minh City) e da li a Sydney e poi a Brisbane, e questi aggiungevano patemi e arrabbiature.

In un anno un solo volo è decollato in orario micronometrico, quasi che fosse un orologio svizzero o un bullet train giapponese. Uno sugli oltre trecento voli, una percentuale di probabilità infinitesimale, lascio a voi il calcolo, ci siamo capiti. 

L’ultimo episodio venerdì scorso. Rientravo a Da Nang e da li a Hoi An dove ho casa. Per non avere problemi di imbarco, di liste d’attesa sconosciute dell’ultimo momento, per non essere prevaricato a causa del bagaglio a mano pesante e non sai mai che altro ti aggiungono su, quasi come quando giochi a briscola e ti ritrovi fra capo e colo un carico da undici, ecco che, per non avere tutti questi problemi ho acquistato un biglietto in business class. Non v’allarmate, business class a livello di un volo nostrano con una compagnia low cost, sessanta euro o poco più che in una tratta lunga come la Milano Roma non costa nemmeno come un posto in stiva. 
Arrivo in aeroporto e mi dirigo prontamente al lounge diritto esclusivo di chi possiede tale biglietto da eletti. Attendo le mie brave due ore, perchè la regola dice di arrivare in aeroporto un’ora prima il decollo, il mio autista è stato veloce e mi ha scodellato davanti all’aeroporto un’ora in anticipo, poco male, al lounge le attese son sempre piacevoli. Nel buio, senza finestre, dell’attesa, consumo il tempo fra gustosi manicaretti fruttacei e letture amene sul computer, lavoricchiando un po’, scrivendo il mio libro nel tempo che resta. 

Allo scadere del tempo e giusto dieci minuti prima dell’imbarco mi avvio al gate, scoprendo che il volo ha cambiato location, dal numero 2 al numero 9 che, in un aeroporto come Noi Bai equivale a scendere una scala di 30 scalini, attraversare un sottopassaggio lungo un centinaio di metri, risalire una scala di 30 scalini e ritrovarsi nella seconda fetta di scali nazionali. Una volta arrivato riconosco subito il mio gate a causa della lunga fila di viaggiatori in attesa. Mi avvicino al bancone e scopro che il volo ha subito ritardo, un quarto d’ora. Ok, non sono preoccupato, aspetterò. Passa il tempo, arriva l’orario previsto ma nulla succede, nel frattempo fuori piove a dirotto. Arriva qualche aereo, qualcun altro parte ma tutto tace. Altra lunga attesa e lo schermo cambia l’ora di decollo, questa volto le 19:40, un’ora e quaranta di ritardo. La gente s’inviperisce, una cacofonia di grida, lamenti, incavolature, gente che sbraita, si anima, inveisce e... e loro imperturbabili, sorridono, non si preoccupano o forse lo sono veramente ma non te lo fanno vedere, l’ordine proviene dall’alto. Fuori intanto continua a piovere, il nostro aereo, o almeno quello che pensavamo fosse nostro parte, se ne va, non si sa se pieno di passeggeri o meno, era li davanti al nostro gate, a un certo punto sparisce in silenzio, nessuno se ne accorge se non quando lo schermo cambia ulteriormente l’orario di partenza, alle 20:15, altri 35 minuti inspiegabili visto che nulla all'esterno si è modificato.

In sala imbarchi la tensione è alle stelle, la gente urla, si formano accrocchi di persone che gesticolano, gli addetti alle partenze non sanno più che fare, spiegano, discutono, a volte sorridono e tutti, ma proprio tutti, attendono un ordine che dovrebbe arrivare ma che difetta. E poi l’apoteosi, blackout, tutto buio, salta la luce, si ammutoliscono gli schermi, saltano le luci d’emergenza, siamo al buio nero, buio fuori buio dentro. Le mani corrono veloci ai portafogli, alle tasche a proteggere perché in simili frangenti la prudenza non è mai troppa. Venti minuti di passione e poi torna la luce. Un’altra ora di attesa, alle 21 viene annunciato l’imbarco, decolliamo alle 21:15, tre ore di ritardo e nessuno ha mai capito per quale ragione. 

Questo è il Vietnam, benvenuti nella perla (perennemente in ritardo) d’Oriente, siatene coscenti quando prenoterete la vostra vacanza e le coincidenze mai sotto le tre ore, potreste trovarvi in imbarazzanti situazioni!
Siete avvisati!