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2017/06/27

Facciamo un test


1) Secondo voi è normale che quasi tutti gli italiani sappiano tutto della doverosa indagine per abuso e falso sulla sindaca Virginia Raggi per la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo della Direzione Turismo del Comune di Roma, e quasi nessuno sappia nulla dell’indagine per favoreggiamento e rivelazione di segreti sul ministro Luca Lotti e sul comandante dei Carabinieri Tullio Del Sette, accusati di aver avvertito i vertici Consip dell’inchiesta su un appalto truccato da 2,7 miliardi (il più grande d’Europa), così che quelli ripulirono gli uffici dalle microspie?*

2) Secondo voi è normale che chi sa tutto di chi accusa Raggi e Marra non sappia nulla di chi accusa il ministro Lotti e il generale Del Sette, e cioè altri due renziani come l’Ad di Consip Luigi Marroni e il presidente di Publiacqua Umberto Vannoni, né delle conseguenze: e cioè del fatto che, essendo stati confermati ai loro posti i due accusati e i due accusatori (Lotti, Del Sette e Marroni dal governo, Vannoni dal sindaco Nardella), o abbiamo due delinquenti al ministero dello Sport e al vertice dell’Arma, o due calunniatori ai vertici di Consip e Publiacqua?

3) Secondo voi è normale che chi sa dell’inchiesta sulla Raggi per abuso e falso non sappia che da due anni il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, è indagato per corruzione e turbativa d’asta in Mafia Capitale (con richiesta di archiviazione) e si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti ai giudici del processo Mafia Capitale che tentavano di interrogarlo?

4) Secondo voi è normale che l’ex assessore Paola Muraro sia stata crocifissa con 400 articoli di giornali, associata anche da Renzi a Mafia Capitale per aver lavorato come consulente dell’Ama con vari dirigenti, tra i quali alcuni poi finiti in Mafia Capitale, mentre Giuliano Poletti, che andava a cena con Buzzi, Panzironi, Casamonica e Alemanno, ora tutti imputati per Mafia Capitale, è stato promosso dal Pd a ministro nei governi Renzi e Gentiloni?

5) Secondo voi è normale che l’Anac, cioè l’Autorità nazionale anticorruzione diretta da Raffaele Cantone, abbia denunciato la Raggi alla Procura di Roma per un conflitto d’interessi non suo, ma dei fratelli Marra, e non abbia fatto altrettanto con la Procura di Milano per i conflitti d’interessi di Giuseppe Sala, che si faceva progettare una villa in Liguria da architetti impegnati con vari incarichi all’Expo e, da sindaco di Milano, ha nominato assessore al Bilancio il suo socio in affari?

6) Secondo voi è normale che, mentre denunciava la Raggi alla Procura, Cantone rilasciasse interviste a tutti i quotidiani per difendere ed elogiare Sala appena indagato a Milano per falso ideologico e materiale sul più grande appalto di Expo, quello della “piastra” su cui sorsero i padiglioni, dicendo che “il dott. Sala è sempre stato corretto, leale e disponibile”, che le accuse sono lievi (“non si applica in modo automatico la legge Severino, nemmeno in caso di condanna, perché tecnicamente non sono reati da Pubblica amministrazione… non stiamo parlando di corruzione”) e “l’iscrizione nel registro degli indagati appare come un atto dovuto e non contiene tecnicamente nessuna valutazione di responsabilità”?

7) Secondo voi è normale che, nella Repubblica fondata sui conflitti d’interessi, l’unico conflitto d’interessi che produce un’inchiesta penale sia quello dei Marra accollato alla Raggi, e nella stessa Procura che ha appena chiesto di archiviare l’indagine Tempa Rossa sull’emendamento pro-petrolieri sollecitato dal lobbista Gianluca Gemelli alla sua compagna, la ministra Federica Guidi, e puntualmente infilato nella legge di Stabilità dal governo Renzi?

8) Secondo voi è normale che, come la Raggi risponde del conflitto d’interessi dei Marra, Renzi non risponda del suo con Marco Carrai che, da sindaco di Firenze, lo ospitava gratis in uno dei suoi appartamenti e fu poi nominato dalla giunta Renzi al vertice di Firenze Parcheggi e Aeroporti Firenze, dopidiché il governo Renzi tentò di promuoverlo a capo della Cyber-security di Palazzo Chigi (tentativo fallito solo per il diniego di Mattarella)?

9) Secondo voi è normale che politici e giornaloni imputino alla Raggi di aver sbagliato a fidarsi di Marra, dirigente incensurato e mai indagato, in seguito arrestato per fatti di quattro anni fa, e non contestino a Sala una ben più grave culpa in eligendo, visto che tutti i suoi principali collaboratori a Expo sono finiti in carcere o sotto inchiesta e che nella sede di Expo circolavano liberamente celebri pregiudicati di Tangentopoli stranoti alle cronache come Greganti e Frigerio, truccando gare d’appalto senza che l’acuto Ad, commissario e sindaco li riconoscesse?

10) Secondo voi è normale che tutti quelli che nel 2012 plaudivano a Mario Monti perché aveva ritirato la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020 abbiano lapidato Virginia Raggi per aver ritirato la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024?

11) Secondo voi è normale che, quando Grillo e Di Battista chiedono l’espulsione dei migranti irregolari, peraltro prevista dalle leggi italiane ed europee, vengano additati come fascisti, trumpisti, lepenisti e leghisti, mentre quando il ministro dell’Interno Minniti annuncia “raddoppieremo le espulsioni di migranti irregolari” venga elogiato per la sacrosanta difesa della legalità e della sicurezza?

Se, secondo voi, è tutto normale, avete sbagliato quotidiano e noi dobbiamo farci visitare. Se invece, anche secondo voi, qualcosa non torna, state leggendo il giornale giusto.

Dall’editoriale di Marco Travaglio, pubblicato su “Il Fatto Quotidiano”

2017/05/08

Un amore di presidente...



Quante saranno le persone che si riconoscono nell'estrema destra in Francia? Davvero è possibile che il 34% dei francesi sia di "estrema destra?". È veramente "amore" quello per Macron, così come viene spacciato dai sorridenti mass media dell'establishment? La vera notizia di ieri sera è che nella speranza di disfarsi di questa Europa più di un terzo dei votanti ha scelto l'estrema destra e più di un terzo dei francesi non si sente rappresentato con l'astensionismo oltre il 25% (record storico dal 1969) e con il record storico assoluto di schede bianche, il 12%. Considerando che in Francia l'euro, la globalizzazione e le banche non hanno potuto fare disastri paragonabili a quelli perpetrati a danno dei diritti dei cittadini in Italia: dovrebbe essere chiaro quanto è pesante quel 34%.

Eppure il racconto eurocrate è che l'Europa è salva. Mi offende questa cultura superficiale della maschera antigas, al posto della oramai mitica molletta per turarsi il naso di italica memoria. E' un vero peccato che l'avversione ai disastri della globalizzazione, in Francia, sia stata assorbita dalla difficilmente digeribile Marine Le Pen. A causa del suo "estremismo moderato ma poco" l'Europa vedrà un altro governo uscito delle banche.

Ancora altro tempo prezioso perso a vantaggio di questo schieramento di plastica, dei manichini serventi di una moneta impossibile. E' comprensibile che Le Pen non superi un numero fra 30 e 40%, così come quanto ardua fosse la scelta cui sono stati costretti i francesi. Basti considerare il numero crescente di cittadini "né con Macron e neppure con Le Pen". La fretta di omologare tutte le forze e movimenti contro la globalizzazione con il termine di populisti ci lascia capire le intenzioni dell'establishment e dei giornalisti loro sodali per il futuro prossimo in Europa: la fakepolitic!

Mi auguro che Macron, che comunque è il primo presidente a non provenire da uno dei due partiti tradizionali francesi, si impegnerà a salvaguardare il popolo che rappresenta meglio di quanto lo facciano i piddini nostrani (buoni solo a copiare gli slogan d'oltralpe). E questo mio augurio ha un motivo di fiducia: il senso dello Stato Sociale in Francia è più consolidato e la corruzione molto meno diffusa.

2017/05/01

Populismo come alternativa?



Se ne parla tanto e a sproposito. La democrazia è il governare del popolo attraverso una rappresentanza di individui che governano al posto del popolo. Il populismo dovrebbe quindi essere il popolo che si autogoverna senza dover ricorrere a rappresentanti delegati di se stesso. Concettualmente sappiamo che Peron in Argentina perseguiva il populismo ponendosi come capo supremo per conto del popolo, quindi comunque un rappresentante anche non eletto, era necessario e lo sarebbe ancor più oggi con le nuove esigenze del popolo.
Ma se la attuale politica non vede il populismo come una valida alternativa significa forse che i nostri governanti vegetano bene con la democrazia e soccomberebbero con il populismo?

Il populismo è un concetto molto impreciso, usato per descrivere situazioni politiche diverse tra loro e movimenti politici che perseguono obiettivi diversi, per esempio forme di partecipazione spontanea o partiti organizzati al fine di conquistare la maggioranza di un parlamento democratico. 

Il termine populismo designa un fenomeno complesso e ambiguo. Più che un regime, esso è un determinato stile politico o un insieme di tropi e figure retoriche che possono emergere all’interno di governi democratici rappresentativi. La prima distinzione da fare quindi è tra movimento popolare e potere ovvero governo populista.

Per alcuni il populismo è solidaristico e inclusivo, per altri discriminatorio e insofferente verso i diritti individuali e le minoranze. Per alcuni esso mette a rischio le democrazie costituite, per altri esso inaugura nuove possibilità per la democrazia. Vi sono scienziati sociali che hanno sostenuto che il populismo ha aperto la strada a forme dittatoriali e scienziati sociali che sostengono che esso agevola la transizione democratica in paesi post-coloniali in quanto esprime le esigenze dei molti di vedere attuata una certa distribuzione della ricchezza e della proprietà della terra, precondizione senza la quale la democrazia non decolla. In quest’ultima accezione, il populismo ha ricevuto buona accoglienza nei paesi del continente americano. 

In America Latina, il caudillo che guida le masse di campesinos verso il governo del paese è una figura centrale nella storia della formazione tanto di movimenti populisti che di transizioni verso regimi democratici. Sempre dall’America, questa volta statunitense, viene l’altra esperienza che ha contribuito a leggere il populismo come espressione di democrazia: l’esempio del People’s Party di fine Ottocento che Michael Kazin ha anni fa rubricato come caso esemplare di riappropriazione della politica da parte del popolo americano (un processo già iniziato nel Settecento con il Great Awakening). 

Ma il populismo (e in Europa soprattutto) è anche identificato con movimenti non democratici e anti-democratici: il fascismo che emerse in Italia come mobilitazione populista per diventare regime anti-democratico; il più recente movimento etnocentrico della Lega Nord; e infine, i movimenti fascio-populisti che si stanno organizzando e mobilitando in queste settimane per conquistare seggi nel nuovo Parlamento europeo.

Per capire cosa stia succedendo – in America ma anche in Italia – bisogna prendere in considerazione l’uso di una manciata di -ismi, maneggiati da politologi, sociologi e commentatori con significati di volta in volta diversi o che si accavallano: elitismo, populismo, elitarismo, antielitismo, pluralismo, egualitarismo. Cerco di essere sintetico, che questa è la parte noiosa, ma ci sono rischi di equivoci con le parole di cui ci dobbiamo liberare.

La parola populismo è così introdotta dalla Treccani:
Atteggiamento ideologico che, sulla base di principî e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi

Nel suo significato non ancora banalizzato (come sta avvenendo nelle titolazioni giornalistiche di questi mesi) è in sostanza l’idea – ma soprattutto la propaganda in questo senso – che “il popolo” abbia sempre ragione, e che affidarsi al popolo – soprattutto attraverso applicazioni di democrazia diretta invece che rappresentativa, o referendum – sia l’approccio migliore alle decisioni politiche. Non va confuso con la democrazia in generale, che funziona sulla base dell’idea che il popolo debba comunque decidere, ma senza implicare che decida per il meglio, o che abbia ragione (per alcuni la democrazia può essere solo rappresentativa, non diretta). Diciamo che la democrazia è un meccanismo, il populismo è un’ideologia.

In quanto ideologia, è teoricamente in buona fede (anche se di buone intenzioni è lastricata eccetera): in realtà, come dicevamo, nella gran parte dei casi storici, e nell’attualità, è diventata più una forma di propaganda politica strumentale – spesso insincera – che di principio. Con la quale leader politici aspiranti o di fatto cercano il consenso popolare attraverso una retorica che blandisca gli elettori e li faccia sentire speciali, soprattutto per attenuare il senso di discriminazione della gran parte di loro.

Una prima contraddizione di questo messaggio è che non è chiara la definizione di popolo: perché “il popolo” abbia unanimamente ragione, questo dovrebbe avere le stesse opinioni. Nei sistemi democratici evoluti in cui su molte cose le opinioni popolari sono diverse e opposte, quale popolo ha ragione? È la contraddizione che genera per esempio gli illogici slogan per cui ogni vincitore di elezioni e referendum proclama la propria “una grande vittoria popolare”, rimuovendo il fatto che simmetricamente (salvo che in Corea del Nord) ci sia stata “una grande sconfitta popolare”.

Ma a complicare questa definizione originaria, il termine “populismo” è divenuto in questi anni l’unica etichetta disponibile da fare aderire a fenomeni recenti assai più complicati e sfilacciati, e spesso in contraddizione con la definizione stessa. Intanto, allontanandosi dalla sua radice storica e dalla definizione Treccani, si è diffuso enormemente un populismo di destra, o conservatore. Ed è stato poi usato per definire ascese politiche diverse (Trump, Farage, Tsipras, Grillo, Podemos, Le Pen), ma complessivamente basate su una contestazione delle classi dirigenti, soprattutto politiche: è questo per esempio il significato del termine esposto da Wikipedia in inglese, e persino della stessa democrazia (altro paradosso è infatti che i cittadini che condividono i messaggi cosiddetti populisti tendono a non condividerne l’idea originaria e a non pensare per niente che il popolo nel suo insieme abbia ragione: anzi ritengono spesso che la ragione stia nelle fazioni più o meno estese a cui appartengono, in opposizione ad altre fazioni più o meno estese, e che gli unici risultati democratici apprezzabili siano quelli che li premiano).

E per capire questa reazione contro le classi dirigenti, bisogna parlare di un altro -ismo.

Storicamente l’elitismo è stato due cose assai diverse: una teoria «descrittiva» di una realtà oppure un pensiero e un progetto. La prima constata e sostiene che il potere politico sia sempre in mano a un’élite di qualche tipo, a un gruppo di persone che lo detiene per censo o per appartenenza a un sistema, indipendentemente dai procedimenti democratici che glielo hanno consegnato. Quest’analisi può essere neutra, o più frequentemente critica, nelle sue banalizzazioni: spesso diventa sinonimo di «comandano sempre gli stessi», e genera quindi un «antielitismo» (rafforzato da «è tutto un magna magna») che predica la necessità di cambiare questo stato di cose, e che è alla base del populismo contemporaneo. Però la teoria dell’elitismo può anche essere positiva, e trasformarsi allora in un’idea costruttiva e un pensiero politico: sostenendo che sia giusto che a compiti straordinari si dedichino persone di qualità straordinarie a patto che ci sia un ricambio che garantisce la continuità di quelle qualità. Definendo quindi positivamente le élite come contenitori rinnovabili di qualità, merito e competenza.

Come si capisce, lo scarto tra i due modi di intendere l’elitismo deriva dal diverso modo di intendere la composizione delle élite e dai processi storici che le hanno formate: dove, come prevalentemente avviene oggi in Italia, le si ritengano consorterie di potere aliene da punti di merito e chiuse al ricambio, esse divengono un nemico da smantellare, e legittimano gli antielitismi. Se invece si dà al termine un significato più nudo e proprio, che definisce gli «eletti», non solo nel senso democratico (quelli che sono stati eletti) ma nel senso per cui si dice anche «il popolo eletto», ovvero coloro che hanno talenti e qualità eccezionali e superiori rispetto a un compito o un destino, l’elitismo che mira a promuoverli assume una connotazione positiva (migliori risultati nelle scelte delle classi dirigenti si avranno quindi quando gli eletti dalle loro qualità coincideranno con gli eletti dai voti: sintomo della realizzazione di una democrazia informata).

È interessante come l’accezione della parola cambi nelle varie lingue su Wikipedia. La pagina italiana si barcamena ma suggerisce l’accezione negativa:

L’elitismo è una teoria politica basata sul principio minoritario, secondo il quale il potere è sempre in mano a una minoranza. Si fonda sul concetto di élite, dal latino eligere, cioè scegliere (quindi scelta dei migliori). Termini interscambiabili con quello di élite sono aristocrazia, classe politica, oligarchia.

La pagina angloamericana è molto chiara sui due significati, privilegiando quello positivo ma mimetizzando il discutibile «ricchezza» in mezzo agli altri e più apprezzabili «attributi particolari» propri delle élite:

L’elitismo è l’idea o la pratica per cui gli individui che sono considerati membri di un’élite – un gruppo selezionato di persone con capacità personali superiori, dotate di intelletto, ricchezza, competenza o esperienza, o altri attributi particolari – sono quelli le cui opinioni su una materia devono essere prese in maggior considerazione o aver maggior peso; i cui giudizi o le cui azioni sono più probabilmente costruttivi per la società; o le cui straordinarie abilità o saggezze li rendono più adatti al governo. Alternativamente, il termine elitismo può essere usato per descrivere una situazione nella quale il potere è concentrato nelle mani di un’élite.

Al tempo stesso, Wikipedia in inglese ha una pagina dedicata alla «teoria delle élite» che corrisponde di più a quella italiana sull’elitismo.

La teoria delle élite è una teoria che cerca di descrivere i rapporti di potere nella società moderna. Sostiene che una piccola minoranza, formata da membri dell’élite economica e di apparati politici, detiene gran parte del potere indipendentemente dai processi democratici di uno Stato.

Wikipedia francese (elitismo deriva dal francese élite, che a sua volta deriva dal latino eligere) non ha una pagina dedicata all’elitismo, e affronta i possibili equivoci rimpiazzandola accortamente con la pagina «Elitismo in Francia»:

In Francia l’elitismo è l’attitudine a favorire la formazione di un’élite e l’accesso degli individui giudicati migliori ai posti di responsabilità. Si tratta in questo senso di un valore repubblicano riassunto in un motto rivoluzionario – «La carriera aperta ai talenti» – in opposizione alla selezione per nascita. Più recentemente ha acquistato una seconda accezione, di senso negativo, che indica la creazione di una distanza – politica o culturale – tra una classe dirigente e coloro che ne sono governati, in spregio alla volontà di una maggioranza.

«Un valore repubblicano», e «rivoluzionario». Più recentemente, ha acquistato una seconda accezione. Chissà se tra cinquant’anni – laddove si mantenesse la tendenza recente – le definizioni di Wikipedia saranno ancora queste, o se la «seconda accezione» avrà prevalso in tutte le lingue. Per chiarezza, sarebbe utile chiamare elitismo quello dei francesi (quello per cui non ci vuole un grande pennello ma un pennello grande): «l’attitudine a favorire la formazione di un’élite e l’accesso degli individui giudicati migliori ai posti di responsabilità».

Mettiamoci allora d’accordo di chiamare invece «elitarismo» ciò che i critici dell’elitismo imputano all’elitismo: ovvero la tendenza a mantenere il potere all’interno di cerchie immutabili e prive di reali meriti e competenze, che non si possono quindi definire «elette». «Caste» sarebbe una parola adeguata, non fosse stata sputtanata dal recente periodo di qualunquismo demagogico. Oligarchie, forse.

Comunque, staccate tutto questo castello di accezioni dal significato del termine elitismo.

«Antielitismo» è il termine che invece indica l’opposizione all’elitismo in quanto tale: è antielitista chi contesta l’idea che a ruoli di potere e responsabilità debbano accedere persone di qualità superiori e straordinarie. Può sembrare sulle prime impensabile che esista una simile opinione, ma invece prospera per diverse ragioni. Una è la repulsione che presso alcuni suscita l’idea che ci siano persone di qualità superiori rispetto ad altre, repulsione dovuta a un eccesso di «correttezza morale», a un malinteso senso di uguaglianza. Dove l’uguaglianza è soppiantata dall’egualitarismo: invece di chiedere pari diritti e pari opportunità che ogni singolo possa sfruttare per ottenere dei risultati, queste persone chiedono che siano sempre pari anche i risultati. Un’altra ragione di adesione all’antielitismo è il meno leale fastidio nei confronti di qualunque élite a cui non si appartenga (le élite sono minoranze, i loro critici maggioranze anche se fingono di no): i sentimenti di invidia, frustrazione, competizione sono umani, e ancora di più lo è la percezione di una superiorità esibita e di una mancanza di umiltà da parte delle élite, per quanto capaci e competenti siano (c’entra la nostra difficoltà ad accettare le qualità altrui che non abbiamo, e ancora di più ad accettare «lezioni»). Un’altra spiegazione ancora è un equivoco «antielitarista», a cui sfugge la differenza tra le élite e le caste, soprattutto quando le seconde prevalgono e trascinano nelle loro indegnità tutto e tutti, spingendo a buttare l’acqua pulita assieme ai bambini sporchi (lo so, l’idea che i fallimenti di certe presunte élites non mettano in discussione l’elitismo somiglia molto alla tesi di quelli che dicevano che il fallimento del comunismo si dovesse alla sua mancata realizzazione, mentre il progetto era buono: ma la differenza è invece vistosa, in termini di successi storicamente dimostrati o no).

Alcuni commentatori propongono che il contrario dell’elitismo sia il populismo, e si può dire in effetti che il populismo comprenda l’antielitismo. Ma nell’uso del termine populismo c’è anche un forte riferimento ai modi con cui il messaggio politico è trasmesso, principalmente attraverso la demagogia, ovvero l’assecondare (soprattutto a parole) le aspettative dei cittadini per ottenerne consenso, qualunque esse siano. Tanto è vero che oggi nel dibattito politico e giornalistico la parola populismo è usata spesso come sinonimo di demagogia. Ma un’altra accezione importante del termine populismo è quella che si riferisce all’esaltazione del mondo popolare e a tutto ciò che ne viene, in contrapposizione a ciò che è prodotto dalle élite. Quando gli esponenti politici di sinistra che avevano appena denunciato il «populismo» di Silvio Berlusconi dicevano che bisogna imparare a recuperare il consenso, stare più a contatto col «territorio» e con la «gente», il loro era ugualmente populismo: che può anche essere una buona cosa (come dicevamo, in una democrazia, ciò che fa appello alla volontà di una maggioranza potrebbe essere buona cosa) a patto che il popolo sia informato, presupposto della democrazia.

Occhio che questo è lo snodo principale di tutti gli equivoci che si sviluppano intorno alle esaltazioni della democrazia, sincere o strumentali che siano. Una democrazia è un sistema di funzionamento delle comunità auspicabile, efficace e giusto perché consente che le opinioni e le scelte di tutti pesino, ma lo è solo se quelle opinioni e scelte sono informate, se nascono da dati sufficientemente completi e non falsi. Altrimenti è solo un sistema giusto in principio, ma fallimentare e controproducente, proprio perché il popolo tende di più a non avere ragione: una democrazia disinformata genera mostri maggiori di una dittatura illuminata, per dirla grossa. Funzionano bene le democrazie in cui i cittadini sono informati correttamente, e male quelle in cui non lo sono. Come diceva Goffredo Parise, «Credo nella pedagogia insieme alla democrazia, perché non c’è l’una senza l’altra». Frequente nel populismo è invece l’appello alla volontà popolare coordinato con un investimento deliberato sulla disinformazione dei cittadini: propaganda invece che informazione, o post-verità, se volete.

Per completezza: spesso in relazione con questi -ismi si parla anche di pluralismo, ovvero della condizione tipica di molte società occidentali moderne in cui il potere non è concentrato ma diffuso in un ampio numero di luoghi e istituzioni e gruppi e comunità. Il pluralismo non è quindi in conflitto con l’elitismo, e anzi ne è complementare, nel senso che ho descritto finora.

2017/04/05

Vergogna!



E così per San Pietroburgo le luci sono rimaste spente. Le luci del Colosseo. Le luci della Porta di Brandeburgo. Le luci della Torre Eiffel. E tutte quelle luci che sempre illuminano e hanno illuminato i simboli delle Capitali d’Europa per i motivi più diversi: tutte spente. 

Niente luci per San Pietroburgo. Come se non ci importasse. Come se non ci riguardasse. Come se non fosse Europa. Come se quel sangue nella metropolitana non fosse anche il nostro sangue. 

Sangue del tutto uguale a quello di Londra, di Parigi, di Bruxelles, di Madrid, di Nizza, di Berlino. Nessuna solidarietà è scattata per i poveri morti di San Pietroburgo. Nessuno li ha pianti. 

Pochi secondi di televisione, ma nessun approfondimento. Nessun talk-show, nessun dibattito. Quasi un senso di fastidio per quell’attentato, per le immagini di quella carrozza della metropolitana squarciata, per quei corpi distesi sul marciapiede della stazione, per quei volti di cittadini sanguinanti e terrorizzati. 

Nessuna luce per San Pietroburgo. E, in compenso, tante ombre. Tante ipotesi. Una delle più gettonate ha addirittura adombrato una diretta, possibile responsabilità di Vladimir Putin. Ombre gettate lì. Ipotesi costruite a tavolino. E ancora ombre. Il blogger in galera. Le manifestazioni contro il presidente russo. 

La repressione della polizia. 
Il vulnus alla democrazia. 

E silenzio sul consenso ben oltre il 75 per cento di cui Putin gode in Patria. Che vergogna quelle luci spente. Si può solidarizzare con tutto e per tutto; lo si può persino fare per la mitica e intoccabile comunità LGTB (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) che ha avuto l’onore delle luci del mondo, ma non lo si può fare per i morti di San Pietroburgo. 

Come se quel sangue fosse un fastidio da rimuovere, quasi non fosse mai esistito. È così questa Europa infingarda, guidata da vigliacchi e ubriaconi, s’è girata dall’altra parte. Ipocrita come non mai. Costretta a registrare l’attentato, l’ha subito archiviato. 

Perciò, nessuna solidarietà per i morti di San Pietroburgo. 

E luci spente.

2017/04/02

E noi paghiamo....



C’è l’Europa dei soldi, e c’è l’Europa dei valori morali. In entrambe, l’Italia è messa male. Nessun leader politico ne ha parlato in questa campagna elettorale, e questo mi induce a pensare che anche dopo il voto di domenica non cambierà nulla, o ben poco. Non è pessimismo, ma una previsione basata sui fatti. Prendiamo l’Europa dei soldi. Per ogni euro che versa all’Unione europea, l’Italia riporta a casa appena 60 centesimi, e li spende non male, ma malissimo.

COME FUNZIONA IL SALDO NEGATIVO

Il sistema funziona così. Ogni Paese contribuisce al bilancio europeo con l’1% del pil nazionale. Nel 2013 l’Italia ha così versato nelle casse di Bruxelles circa 15 miliardi di euro e ne ha riportati a casa poco più di 9 da investire in progetti che, in teoria, dovevano rilanciare l’economia, ma in realtà hanno ingrassato le clientele. È un andazzo vergognoso che dura da anni. Rispetto al contributo versato, l’Italia ha perso 5,4 miliardi nel 2012, addirittura 7,4 nel 2011, ben 6,5 nel 2010, e così via. In dieci anni abbiamo versato nelle casse europee 159 miliardi di euro (presi dalle tasse pagate in Italia), e ne abbiamo ripresi appena 104: in totale, 55 miliardi persi, buttati via per grave insipienza politica, sia a livello nazionale che regionale. Mancavano i progetti sui quali investire. E quando sono stati presentati e finanziati, il risultato è stato deprimente: a malapena l’Italia è riuscita a spendere il 52,7% dei fondi comunitari assegnati.

NON E’ UNA NOVITA’

Questo saldo negativo tra il dare e l’avere con l’Europa non è una novità. Su internet si trova ancora il libro bianco che nel 2006 l’allora ministro per le politiche europee, Emma Bonino (governo Prodi), dedicò allo scarso utilizzo dei fondi europei, promettendo un maggiore impegno per il futuro. Da allora non è cambiato nulla. Il Censis lo ha confermato di recente: pur essendo al 12.mo posto nella graduatoria europea del pil, l’Italia è il terzo «contribuente netto» dell’Ue, finanzia il 12% del bilancio europeo (pari a 140 miliardi), ma non riesce mai a riportare a casa i soldi che versa. Meglio di noi fanno altri Paesi, considerati «percettori netti», come la Polonia che porta a casa 8 miliardi l’anno più del versato e la Spagna con 3,1 miliardi. Perfino la Grecia ci supera, incassando ogni anno 4,6 miliardi più del contributo pagato.

COME SONO STATI SPESI I SOLDI

Se poi si va a vedere come sono stati spesi i soldi europei, c’è da restare allibiti. Invece di investire in progetti di ricerca, innovazione delle tecnologie e ammodernamento delle infrastrutture come dovrebbe fare un Paese industriale degno di questo nome, l’Italia si è distinta per i finanziamenti a pioggia, destinati alle iniziative più incredibili. Per averne un’idea basta leggere due libri, il primo di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo («Se muore il Sud», Feltrinelli) e il secondo di Mario Giordano («Non vale una lira», Mondadori). Vista dalla Sicilia con gli occhi di Stella e Rizzo, l’Europa non è altro che una allegra dispensatrice di mance alle clientele politiche («Currìti! Currìti! Piccioli europei pì tutti!»): 3.541 euro alla trattoria Don Ciccio di Bagheria, specialità «pasta cu finocchi e i sardi»; 12.075 euro all’impresa edile Pippo Pizzo di Montagnareale; 2.271 euro alla gelateria Mozart di Castelvetrano; perfino 3.264 euro all’agenzia funebre Al Giardino dei Fiori di Gangi. Non solo. In Sicilia non sembra esserci un solo evento sportivo che non sia stato finanziato da Bruxelles: 188 mila euro per la maratona di Palermo (due edizioni); un milione e mezzo per il concorso di salto a ostacoli; 2,4 milioni per i mondiali di scherma; 127 mila euro per il volley femminile. Attività che con i fondi europei per lo sviluppo non hanno nulla a che fare.

IL CLIENTELISMO DEL NORD E DEL CENTRO

Oltre a quello del Sud, l’Italia ha fatto conoscere a Bruxelles anche il clientelismo del Nord e del Centro. Tra il 2011 e il 2012, segnala Mario Giordano, il Friuli Venezia Giulia è riuscito a ottenere decine di migliaia di euro per finanziare corsi di long drink e cocktail nelle principali città della Regione. La Lombardia ha ottenuto 2.239 euro per «controllare la genuinità della polenta valpadana» e altri 18.095 per «le tecniche di pizzeria» di Tolmezzo; idem in Piemonte, dove tra i tanti progetti insulsi spiccano i tremila euro destinati a una ditta di onoranze cimiteriali di Baveno. Nel Centro Italia sono arrivati finanziamenti a pioggia per le scuole di tattoo, spuntate come funghi dall’oggi al domani, il che aiuta a capire come sia cresciuta questa moda tra i giovani. Idem per i centri massaggi: quello di Serrungarina nelle Marche ha preso 817 euro, mentre il Dharma Centro Massaggi a Civitanova Marche ne ha incassati 2.971. Più robusto il contributo allo Sport Village di Castel di Sangro: 80 mila euro.

L’EUROPA DEI SOLDI SPESI MALE

Si potrebbe continuare con i fondi agricoli europei destinati alle gare di motocross, ai circoli del golf, alle scuole di equitazione, il tutto grazie alla complicità tra politici miopi, clientele fameliche e burocrati strapagati quanto indifferenti al pessimo uso dei fondi Ue. Questa è l’Europa dei soldi spesi male, che vorremmo non vedere più. Anche perché è questa Europa che, mentre dispensava mance, ha distrutto i valori della tradizione culturale europea per imporne una diversa, mai votata da nessuno. Ha scritto Giordano: «È l’Europa che celebra le festività sikh e indù, ma vuole cancellare il Natale; che vieta il crocifisso e punisce chi lo indossa; che non riconosce le proprie radici cristiane; che propone l’insegnamento della masturbazione negli asili o l’abolizione del concetto di mamma e papà (meglio il più neutro genitore 1 e genitore 2); che ha perso i riferimenti morali. L’Europa che si è svenduta all’euro». Tutto vero, purtroppo. E cambiare questa Europa matrigna, per rilanciare il sogno di un’Europa solidale, prospera e democratica, non sarà facile per nessuno.

2017/03/10

Arriva la reazione? Italiani stanchi e delusi dalla politica del PD sono a una svolta



Ricordo il titolo di un capitolo di un libro di storia di Armando Saitta, riferito a una certa fase della Rivoluzione francese del 1789: “furoreggia la reazione”. Titolo criptico che aveva suscitato in me, giovane studente appassionato di storia e di letteratura, grande curiosità ed inquietudine. Mi torna in mente oggi, a distanza di decenni, perché fotograferà la realtà dell’anno prossimo venturo, il 2018.

La reazione è già cominciata

Per la verità, come ormai concordano tutti i commentatori politici, la “reazione” è già cominciata nell’ultimo scorcio del 2016 con la Brexit, l’elezione di Trump e la sonora sconfitta di Renzi al referendum costituzionale in Italia. Ma questo è stato solo l’antipasto che si consoliderà con tutti i risultati delle elezioni nel vecchio continente di quest’anno: il 15 marzo in Olanda, il 23 Aprile in Francia e il 24 Settembre in Germania. Qualunque siano i risultati fin da ora sono previsti discontinuità e ribaltoni rispetto al trend tradizionale di voto. Ma il botto grosso è prevedibile proprio in Italia, alle elezioni politiche della primavera 2018 che secondo le previsioni di vari uffici legislativi dei “Palazzi romani” non si terranno a scadenza ordinaria, prevista il 24 febbraio 2018, cioè 5 anni dopo le elezioni del 2013, bensì entro 90 giorni da quella data, utilizzando strumentalmente la legge, il che significa che probabilmente si voterà a metà maggio 2018.

Quegli eccessi rivoluzionari che…

Furoreggia la reazione, perché? Nel 1795, perché dopo gli anni degli eccessi rivoluzionari della sinistra di allora, i giacobini, la destra rialzò la testa e mise fine al regime uscito dalla Rivoluzione, con la Reazione. 

Perché il 2018? 

Perché la gente oggi non ne può più dei garantismi che proteggono migliaia di criminali in servizio permanente effettivo, che una volta arrestati dalle forze dell’Ordine vengono immediatamente rilasciati a piede libero in attesa di processi che non avranno mai efficacia. 

Perchè i normali cittadini non ne possono più di essere ogni giorno vessati dalla tasse che servono a finanziare con 4 miliardi di euro il flusso di 200 mila clandestini l’anno, di cui appena il 10% veri rifugiati di guerra. 

Perchè la gente non sopporta più pensioni minime di 400 euro al mese a persona, a coloro che hanno versato contributi previdenziali tutta la vita e che invece ogni clandestino venga mantenuto dallo Stato italiano a 1100 euro al mese, finanziando cooperative di amici degli amici, senza alcun controllo di gestione, determinando ignobili speculazioni. 

Perché l’impresa, da quella grande a quella piccola, da quella industriale o agricola o commerciale, non ne può più di essere spremuta con tasse che servono a finanziare il mostruoso apparato burocratico dello Stato che non garantisce alcun diritto alle imprese, a cominciare dalla giustizia civile e amministrativa e alla concorrenza sleale della contraffazione. 

Perchè le opere pubbliche, che potrebbero essere un volano per rilanciare gli investimenti, non decollano o procedono al lumicino, in quanto i fondi vengono bloccati per garantire la liquidità di cassa allo Stato. 

Perché i cittadini sono indignati per i tagli ai servizi sanitari pubblici, che si fanno carico di migliaia di extra-comunitari, che addirittura si portano i parenti dall’estero per curarsi, e quindi coloro che ne avrebbero realmente diritto, devono ricorrere alla sanità privata poichè non sono più garantite le ordinarie prestazioni mediche e i costi delle cure più avanzate. 

Perchè la sicurezza delle persone non è garantita neppure dentro casa e quando qualcuno si difende da solo viene incriminato per eccesso di legittima difesa. Perchè la Magistratura non è più uno strumento di Giustizia, ma di lotta politica per affossare Governi o perseguitare dei leader politici o imprenditoriali. 

Perché i diritti civili non sono più la tutela delle persone, ma l’arroganza di nuove dottrine, dal gender all’utero in affitto, che vanno contro il diritto naturale e tutelano egoismi di piccole lobby, che si arrogano l’arbitrio di praticare ogni tipo di perversione. 

Perché le èlite culturali, dall’Università al Teatro, alla musica al cinema, all’editoria, che dovrebbero essere l’avanguardia del pensiero della Società, sono gruppi autoreferenziali che stabiliscono abusivamente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, senza più alcun legame con il sentire popolare, creando una frattura incolmabile tra la volontà delle persone comuni e il loro pensiero unico e incriticabile. 

Perchè non sono più accettabili leggi che non incontrano più il sentire dei popoli ma garantiscono solo banche, fondi di investimento e lobby finanziarie e speculative. 

Perchè si vogliono estirpare i costumi, le tradizioni e addirittura i cibi che vengono prodotti da secoli in omaggio a nuove norme inventate dalle burocrazie europee per il vantaggio di multinazionali ed interessi illeciti . 

La misura è colma e la pentola bolle, poichè nessuno spegne il fuoco, anzi molti aggiungono nuovo carburante esplosivo: tra poco salta il coperchio ed il botto sarà terribile. Solo che per rimediare, poi, non saranno suffcienti i normali cambiamenti, ma occoreranno misure forti che susciteranno ulteriori reazioni e determineranno implosione civile, tensione internazionale e guerre . 

Chi vincerà?

Siamo sul ciglio del big-bang, che in Italia può portare al Governo il Movimento 5 Stelle che, senza progetto e senza classe dirigente, può però riuscire a rappresentare comunque l’indignazione collettiva.

Oppure vincerà il centrodestra ripulito di coloro che in realtà non ne hanno mai fatto veramente parte, ma che si erano comodamente associati per opportunismo. 

Il PD, proprio perchè è sempre stato il referente di tutte le amministrazioni, le burocrazie, le lobby e tutti gli interessi diffusi, ora ne paga le conseguenze, essendo universalmente riconosciuto come il massimo rappresentante di tutti i poteri, da quelli istituzionali a quelli giudiziari, da quelli bancari a quelli assicurativi, da quelli dell’informazione a quelli economici. 

La reazione per una volta stabilirà che “gli ultimi saranno i primi”. 

2017/01/22

Sobrietà



Leggo sul dizionario della lingua italiana:
sobrietà [so-brie-tà] s.f. inv.1 Moderazione, misura, nell'assecondare i propri istinti naturali: s. nel bere, nel mangiare2 figurativo: Rifiuto del lusso, dell'eccesso e dell'esagerazione: vestire con s.; concisione, stringatezza: s. di stile.
Da qualche mese il termine “sobrietà” è entrato prepotentemente nel lessico politico, per indicare la cura più adatta per la ricostruzione dei luoghi abruzzesi colpiti dal terremoto aprutino oppure una sorta di contrappasso per quei gestori di una politica esagerata che hanno vissuto dissennatamente nel passato. Alcuni la evocano come uno spettro per le nostre società opulente, altri mettono in dubbio l’effettiva efficacia di un rigore fine a se stesso, mentre non manca chi da tempo la identificava come una via di uscita dalle contraddizioni del consumismo capitalista. 


Eppure - tradizionalmente - sobrietà, temperanza e moderazione (termini che utilizzo qui come sinonimi) sono sempre state concepite e presentate non come “punizioni” o “medicine” amare, ma come virtù e vie per la felicità. Certo, nelle epoche storiche di abbondanza di risorse e di opportunità, in cui è più facile che le persone possano permettersi di esagerare e sprecare, appaiono più forti gli inviti al discernimento nell’uso delle cose e alla moderazione nel loro consumo, identificando nello spreco e nel lusso un fattore di corruzione e decadenza. Invece, in epoche più austere, nelle quali la maggioranza delle persone ha appena il necessario per sopravvivere, la cultura e l’immaginario collettivo sembrano più sensibili alla possibilità di eccedere, tanto da far nascere figure eroiche la cui virtù stava proprio nell’esagerazione. 

Piccola introduzione al pezzo di Franco Bechis a proposito delle miserie causate da sisma del 24 agosto dello scorso anno e non ancora risolte causa "sobrietà"! Leggiamo insieme e, se vi di commentare, fatelo pure senza ritegno:

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni, si è quasi offeso per qualche critica arrivata alla gestione dell’emergenza nel terremoto e anche con la valanga di neve che si è abbattuta su quelle zone martoriate da mesi. Ha chiesto a tutta la politica sobrietà. Sobrietà, a dir la verità, dovrebbe avere il governo, perché quello che sta emergendo è una disorganizzazione totale della macchina pubblica in quelle zone, e anche l’abbandono a cui sono state lasciate le popolazioni che avevano già sofferto tanto dal 24 agosto a oggi.

Sobrietà vorrebbe dire non promettere quello che sai di non potere mantenere, sobrietà voleva dire non dire “ho consegnato le casette e si è chiuso il tema di Amatrice” quando avevi consegnato - lo disse Matteo Renzi in televisione in diretta - in quel momento qualche asse con cui costruirne una ventina, mentre le esigenze ovviamente sono di centinaia.

Sobrietà vorrebbe dire non aspettare che i sindaci di quelle zone lancino ogni volta degli allarmi anche drammatici, anche disperati. Il sindaco di Amatrice ha un buon rapporto con i media, deve chiamare sempre televisioni, radio, altri media per dire quello che dice anche direttamente ai responsabili della macchina della Protezione civile, ma che poi non viene fatto.

La sobrietà è una caratteristica importante durante l’emergenza da parte del governo. Io ho letto il 17 gennaio un appello fatto al Commissario per la ricostruzione, Vasco Errani, da tutti gli ordini professionali coinvolti nella ricostruzione nelle Marche. E’ un appello drammatico, anche pieno di critiche perché raccontano che le ordinanze, le circolari sul terremoto hanno cambiato almeno 5 o 6 volte le regole. E a questo punto i professionisti, sto parlando degli ingegneri, geometri, architetti che stavano lavorando nella zona, si rifiutano di farlo.

6000 persone che lavoravano lì dicono: “in queste condizioni non è possibile lavorare”. O vi mettete intorno a un tavolo e decidete una volta per tutte quello che va fatto - non ci fate fare una valutazione quando non avete ancora fatto la raccolta di tutti i detriti e portato via le macerie - oppure lavorare in queste condizioni è assolutamente inutile.

Sono molte le pecche che stanno emergendo in questa gestione della macchina organizzativa. So per certo – perché ho parlato con i diretti responsabili – che c’è un’organizzazione di volontariato che, per esempio, aveva dei container già pronti che avevano utilizzato in altre occasioni e che li hanno offerti alla Protezione civile, al Commissario per la ricostruzione, perché li dessero ai terremotati. Alcuni di questi container servivano per esempio per mantenere, come fossero delle stalle, gli allevamenti con un minimo di protezione e un minimo di calore. L’offerta è arrivata tra fine ottobre e i primi di novembre. E’ stata rifiutata, dicendo: “Noi vogliamo fare le cose regolari, fare le gare, non possiamo accettare questo modo di procedere.” 

Il risultato è stato che sotto la grande nevicata stanno morendo quasi tutti gli animali. Non sono protetti comunque anche quelli che sono vivi in questo momento. Di container ne sono stati consegnati 2 su 350 promessi.

Questi sono i risultati di un disastro organizzativo. Altro che non fare critiche. Bisogna dare voce a tutta la popolazione locale, che si lamenta in continuazione e ha mille ragioni per farlo, e a tutti gli amministratori locali che spesso si sono battuti soprattutto contro la burocrazia. Mille regole che hanno messo, sono decine le ordinanze, le circolari o della Protezione civile o del Commissario per la ricostruzione che hanno fatto null’altro che complicare la vita alla gente. Poi non si può abbandonarli lì.

Se c’era una cosa che era prevedibile, lo hanno detto in molti, erano le grandi nevicate in questo periodo. È impensabile che non esistano sul luogo, in una zona che era già devastata dal terremoto e che aveva tanti problemi di viabilità, i mezzi necessari per assicurare di arrivare.

Ho sentito anche dal Responsabile della protezione Civile delle cose che non hanno alcun senso. La portavoce della Protezione in TV ha detto che non sapevano quanta gente era ritornata nelle case. Chi deve saperlo, se le case sono state dichiarate agibili e la popolazione è rientrata? Non c’è nemmeno una mappa di quelle, quindi non sapevano dove intervenire nel caso di emergenze, perché non sapevano se c’era qualcuno in quelle case.

Allora, qui il problema è la sobrietà nell’azione del governo, che non faccia più annunci che poi non è in grado di mantenere, che siano semplicemente degli spot per le mille campagne elettorali che ci sono, e anche una sveglia nell’azione, perché questa gente non può più essere lasciata sola, abbandonata, come è stato. Deve avere l’idea di avere di fronte uno Stato che protegge i propri cittadini soprattutto nel momento del bisogno.

di Franco Bechis

2016/11/29

Ma Trump è veramente un cretino?




Per quasi tutta la stampa italiana Donald Trump è un cretino. Come sempre avvenuto, quando arriva un candidato diverso dalla sinistra-radical-scic non si va a valutare seriamente come la pensi, ma lo si fa diventare un pagliaccio. La ricetta è semplice: si prende una frase, la si estrapola dal contesto, la si commenta in modo demagogico, la si fa diventare titolone e così lo si censura. 

Un esempio? Se leggo “Trump; la Clinton ha fondato l’ISIS!” (titolo Corsera) è una idiozia, ma se lo ascolto e comprendo che ha detto “L’ex segretaria di stato Hillary Clinton con la sua politica di destabilizzazione americana in Medio Oriente ha portato alla nascita dell’ISIS” Trump ha perfettamente ragione. Purtroppo in Italia la politica estera è spot, sensazioni, superficialità e - nello specifico - è in atto una “santificazione” della Clinton considerando i sostenitori di Trump dei buzzurri cretini. 

Si aggregano al cicaleggio i cinquettii della Boldrini, della Mogherini, della Boschi tutte corse alla convention democratica (con i soldi dei contribuenti) a sbavare per un “selfie” insieme alla candidata.

Ricordo la stessa politica di demonizzazione verso il partito di destra della mia gioventù o anche recentemente contro la Lega Nord (e oggi contro il M5S) , con tanti servizi TV dove i leghisti apparivano sempre come degli zoticoni con le corna di mucca in testa, ma raramente c’era spazio per capire od approfondire gli avvenimenti. I commenti alle elezioni americane sono stati sconcertanti davanti a due candidati entrambi discutibili, ma dove da una parte c’era per lo meno un forte senso di discontinuità, dall’altro una liturgica approvazione dello “status quo” e non mi pare che gli USA in questi anni abbiano fatto sfolgoranti progressi, soprattutto facendo pagare a altri (come agli europei) le loro speculazioni finanziarie. Certo che ora che ha vinto Trump, per l’Europa sarà dura, ma per prima cosa credo si dovrebbe cercare di capirne meglio il fenomeno. 

Lo stesso vale per la crisi delle banche dove leggendo dozzine di articoli sfugge un concetto: chi, come e perché ha permesso gli indebitamenti colossali di tanti creditori insolventi, quelli che – per esempio – hanno affossato Monte dei Paschi di Siena, banca “politica” (di sinistra) per eccellenza? 

Nel mio lavoro ho assistito tanti clienti nei loro rapporti con le banche ed ho visto come sia stato sempre difficile ottenere correttamente crediti, finanziamenti, aiuti per le piccole imprese e sempre - anche per poche migliaia di euro di crediti - servono firme, fidejussioni, avvalli ecc.

Ma come è mai possibile arrivare a sofferenze di miliardi di euro? Non ci sono direttori generali, consigli di amministrazione, responsabili dei fidi cui oggi andrebbe chiesto conto? Nessuno paga se non gli azionisti (quelli piccoli, gli altri sono stati prioritariamente sistemati) che in campo bancario hanno visto perdere anche il 99% del proprio investimento. Ma possibile che Banca d'Italia e CONSOB non si sono accorte di niente anche negli ultimi anni? Ed è corretto che ora le banche dietro al Fondo Atlante possano acquisire banche per mezzo piatto di lenticchie? Questi sono misteri tutti italiani che nessuno sembra voler approfondire. 

Un ulteriore esempio di disinformazione è per la Turchia e lo pseudo golpe di Erdogan dove ho letto ben poco fuori dal coro. Ma chi sono stati i golpisti, come hanno portato avanti questo maldestro tentativo di colpo di stato che è abortito in pochi minuti? Oppure – come temo – è stata una plateale “patacca” auto-organizzata o almeno ben a conoscenza di Erdogan che ne ha approfittato per far fuori ogni opposizione? Non si arrestano 2.350 giudici in poche ore senza avere dietro un piano preciso, così come poter impunemente epurare e imprigionare giornalisti, TV, partiti, professori, militari a decine di migliaia. 

Diciamoci la verità, ovvero che oggi la Turchia serve all’Europa e agli USA per molti “lavori sporchi”, ricatta l’UE per i profughi, ha in Europa milioni di suoi cittadini. Erdogan è furbo, tratta e commercia come tutti i turchi e ha scoperto un “cliente” europeo da tenere per le palle. Ecco che in Europa spariscono i guaiti sui diritti umani, non si vedono più le immagini delle torture, non ci sono sanzioni, nessuna delegazione “va a vedere” sul serio cosa succeda nelle carceri turche. Poche le eccezioni, come quella coraggiosa di Lucia Goracci che ha intervistato Erdogan senza ipocrisie, anche se lui ha risposto ovviamente come voleva. 

Sul piano interno lo spettacolo più indecoroso: la “dispar condicio sul referendum” dove non c’è un minimo di equità nell’illustrare anche le ragioni del NO ed è un continuo inno al SI senza vero contradditorio o spazio per spiegare le critiche. Così il SI serve - dice la fatina Boschi - addirittura contro il terrorismo, per dar soldi ai poveri, per superare la crisi economica e via a spararle più grosse. 

Vale per le grandi testate ma soprattutto per la RAI TV, piegata come sempre sul leader a violare qualsiasi regola di “par condicio” con il maghetto di Firenze che appare ovunque con le sue cicalanti vestali. Avevo allegato al blog il documento di un gruppo di parlamentari del PD (che ovviamente rischiavano il posto) che coraggiosamente spiegano il loro NO e un articolo apparso sul Corriere della Sera del prof. Stefano Passigli che – sfuggito alla censura? – con molta pacatezza fa dei ragionamenti chiarissimi e che i fautori del SI dovrebbero forse mediare. 

Ma a fronte di queste indecenze l’unica cosa che conta è sempre la demagogia ricordate la notizia del licenziamento in tronco del direttore di QS (quotidiano sportivo del gruppo Monti) perché in un articolo (tra l'altro in chiave di simpatia) erano state definite "cicciottelle" le tre atlete che hanno perso le possibili medaglie alle olimpiadi nel tiro con l'arco? Ebbene, è di questo che sto parlando mentre nessuno se ne accorge, rane oramai bollite in attesa del pranzo frugale di mister Renzi, alla faccia nostra.

Ma vi sembra un termine così offensivo?! Ogni giorno la verità è mistificata, nascosta, ignorata su problemi ben più gravi e ben altri sarebbero da licenziare! Ma è quel “cicciottelle” a contare… Può funzionare un paese così intriso di ipocrisia? No, ma a furia di buonismi e di "political correct" viene francamente da vomitare, è la sublimazione delle imbecillità.


2016/10/24

Un pezzetto di storia....


Per un bambino, nell’Emilia dei primi anni Cinquanta, la politica era una cosa semplificata, netta, c’erano i comunisti e gli anticomunisti e se crescevi in una famiglia come la mia, i primi volevano la rivoluzione, toglierti la casa, distruggere la chiesa e avevano ucciso i nostri soldati in Russia, mentre gli altri – i nostri – ci difendevano da tutto ciò e gli americani erano quelli che ci avevano salvato dal disastro dell’entrata in Guerra. 

“Eravamo una grande Nazione rispettata, il disastro è stata la Guerra”, diceva mio padre nelle riunioni di amici che, allora, molto spesso ricordavano le storie personali vissute sui vari fronti. Quando Trieste tornò all’Italia i miei genitori partirono con la 1400 imbandierata dal Tricolore ed andarono là a festeggiare e ne ho un ricordo molto vivo (e qualche spezzone di film 8 millimetri) perché la commozione e l’entusiasmo con cui partirono, mi fece sentire che doveva essere una cosa molto importante e bella. 

Il Borghese di Longanesi, il Candido di Guareschi erano letture abituali in casa e anche lì non vi era una differenza avvertibile tra quelli che erano gli anticomunisti, per uno che aveva sei, sette anni. Poi cominciai a distinguere e il quadro a essere molto meno nitido. Con estremo stupore scoprii che mia madre monarchica sentimentale aveva votato repubblica. Perché? le chiesi, perché De Gasperi aveva detto che altrimenti ci sarebbe stata la rivoluzione, fu la risposta e non solo lei, ma anche mio padre che, per restare fedele al giuramento al Re, era stato comandante delle Fiamme Verdi nei lunghi inverni della guerra civile. Il che voleva poi dire rischiare di essere ammazzato da due parti.

E scoprii anche che l’America, nostra amica e benefattrice, era stata in guerra contro di noi ed alleata della Russia e che dunque non avevamo fatto guerra solo all’Inghilterra. Quando c’era casino (molto spesso in quegli anni) a casa nostra la sera venivano i dirigenti della società termale che mio padre presiedeva, il tenente dei carabinieri, il prete, mentre proprio dall’altra parte della strada, alla camera del lavoro, le luci erano pure accese, con il sindaco e i dirigenti comunisti e sindacali, il nemico insomma. 

Era un po’ Peppone e Don Camillo (ma serio purtroppo) e d’altro canto mio padre mi accompagnò a Brescello a vedere le riprese di un episodio della serie e ad incontrare Guareschi di cui era amico. Eppure ogni tanto tornava a Reggio Emilia e non solo ad incontrare i vecchi amici della Dc di cui era stato segretario negli anni durissimi attorno al ’48, ma anche per partecipare a qualche raduno partigiano, dove c’erano pure i comunisti, nonostante l’avversione che nutriva per loro, riaccesa dai fatti d’Ungheria. 

Cominciai a capire che le cose non erano semplici, come quando chiesi a mio padre che cosa avesse provato nel ’43 alla caduta di Mussolini, “ho pianto” mi rispose , “eri fascista ?“, “No, non lo ero più, ma voleva dire che avevamo perduto la Guerra”. Dunque l’Italia, restava l’Italia a prescindere dalle cose politiche. Cominciai proprio allora a scoprire che c’era anche l’MSI, che non era una semplice parte dello schieramento anticomunista, come credevo, ma si rifaceva al fascismo storico, che per me era solo un’epoca molto lontana e un po’ mitologica. Anche alcuni episodi familiari me lo fecero individuare, un autista delle terme, missino sfegatato, che mi raccontava come nel golfo di Napoli nella rivista navale del ’38, ad un cenno del duce cento sommergibili fossero emersi contemporaneamente (a me sembrò esagerato, ma controllai, era vero) e sopratutto il maestro Pizzati, consigliere comunale, che nella nostra scuola elementare, all’ora di ginnastica, faceva talvolta marciare inquadrati i suoi scolari al suono dell’inno della Marina suonato da un grammofono. 

Io, che ero di un’altra sezione, in quegli anni allietati da molti bambini, li invidiavo molto. Intanto crescevo e i discorsi che in casa si aggiornavano alla situazione, cominciavo ad apprezzarli meglio. Insomma perché non possiamo restare al centro, diceva mia madre, perché non abbiamo più i voti e allora è meglio aprire a destra si sentiva rispondere. Erano gli anni di Segni e poi venne Tambroni. Mio padre capì che era un tornante decisivo e, anche se da troppo tempo fuori dalla politica attiva, fece tutto ciò che poteva per evitare la caduta del governo, non servì, la sinistra democristiana si unì ai laici contro Tambroni, il congresso dell’MSI non si tenne e la democrazia parlamentare fu sconfitta dalla piazza.

Cominciai allora a comprare qualche volta il Secolo – Pizzati vigilava che almeno alla cartolibreria Bonatti ci fosse sempre- sentendomi molto coraggioso per questo ed anche assaporando un po’ il fascino del proibito. Avevo tredici anni e non immaginavo che poi ci avrei anche scritto. Nel ’61 ci trasferimmo a Roma e intanto la DC, a Napoli, apriva a sinistra. Mio padre andò fuori dalla grazia di Dio ed io reagii andando al Partito Liberale dove, aumentandomi di un anno l’età, potei iscrivermi alla gioventù liberale. Divoravo libri sul Risorgimento, sulla Rivoluzione francese, sulle due guerre e, ormai, sapevo bene cos’erano i missini e li stimavo. Ero un liberale convinto (lo sono tuttora) ma non potevo non essere attratto dalla Giovane Italia per il coraggio, perché avevano tutto contro, il numero, la grande stampa e anche l’opinione pubblica internazionale, eppure non badavano al loro personale interesse e neanche al pericolo. Era anche una destra occidentale, atlantica, liberista, Arturo Michelini, Gastone Nencioni, Pino Romualdi, avrebbero benissimo potuto entrare nel novero delle destre presentabili, ma, come dicevano, non volevano restaurare, ma neanche rinnegare.

Erano sempre in molti, nel centro, a mantenere rapporti con la destra politica (anche perché era un centro inesistente, composto in realtà per tre quarti da gente di destra e da un quarto di sinistra) come si poté vedere per l’elezione di Segni e Leone, ma lo facevano di nascosto, negando sempre, io no. Io propugnavo apertamente la Grande Destra dentro il PLI, (ed eravamo molto pochi) e soprattutto l’applicavo nel mio ambito, come quando al liceo si formò l’alleanza liberali, monarchici, missini, da me guidata , con Guido Paglia e Antonio Galano, che non mi fece molto amare, ma che vinse le elezioni nella scuola, il Castelnuovo, più rossa di Roma. La mia giovinezza fu poi simile a quella di tanti giovani affascinati dalla politica, comizietti, manifesti da attaccare (anche nella Fontana delle Najadi, reato spero prescritto) interminabili discussioni politiche, lotte interne e anche qualche rischio fisico (sì, i giovani liberali erano molto meno bersaglio, ma anche molto più soli) c’erano però anche ardite missioni nel campo avverso che mi portarono ad avere le prime morose tutte di sinistra. Comunque i liberali non erano perseguitati, anche quando erano politicamente scorretti, anche quando parlavano, come me e Savarese a Radio alternativa di Teodoro Bontempo, dove incontrai un giovanissimo Fini, una quindicina d’anni prima dell’avventura di AN. Non eravamo discriminati o almeno non sempre e dappertutto, potevamo confrontarci con i nostri coetanei di sinistra senza essere oggetto di aggressioni praticamente scontate.

Feci anche in tempo a farmi eleggere all’organismo rappresentativo universitario, l’ORUR, e ad impedire, in accordo con la Caravella, che nascesse una giunta tra comunisti, socialisti, cattocomunisti e liberali di sinistra. Poi il ’68 spazzò via goliardia ed elezioni. Militai con altri amici nella confedereazione studentesca e poi in quella nazionale, ma oramai i partiti di centro cominciavano a perdere la bussola. Da Moro fino a Zanone, erano la solidarietà nazionale e l’arco costituzionale che si imponevano ed io non c’entravo proprio nulla con tutto ciò e, d’altro canto, pure la destra stava cambiando, il riflesso condizionato di appoggiare sempre e comunque i moderati in funzione anticomunista era sparito e anzi i DC e i laici erano visti quasi peggio dei compagni. Inoltre la facoltà di fisica non era uno scherzo ed era assai poco compatibile col tempo perso con la politica e decisi di laurearmi buttandomici a corpo morto, anche se non immaginavo che quella parentesi che pensavo breve, sarebbe durata un ventennio per effetto dei soggiorni all’estero. Sì, andai a sentire memorabili comizi di Almirante, telefonai da Ginevra a tutti i politici che conoscevo, perché non appoggiassimo acriticamente l’Inghilterra contro l’Argentina, feci campagna tra gli anglosassoni per Reagan, sostenni anche la Dc per evitare il sorpasso, criticai aspramente Bon Valsassina quando mi avvertì della scissione di Democrazia Nazionale, ma insomma non ero in politica e non pensavo di rientrarci, perché non mi piaceva più.

Fino a quando Segni non se ne uscì col collegio uninominale, vecchio simbolo dell’Italietta risorgimentale ed io mi riattivizzai, fino a scrivere un pezzo per l’Italia Settimanale in cui dicevo che se avessimo vinto il referendum, la destra sarebbe uscita dal ghetto per forza di cose, fino agli incontri con Fini, Urso, Tatarella, Bocchino, Gasparri e alla campagna per il sindaco di Roma, fino ad AN. Ma questa è un’altra vicenda, una vicenda comune, della quale Gianfranco fu un grande protagonista. No, non sono mai stato iscritto al MSI, ma non è estraneo alla mia storia, come non è estraneo alla storia degli Italiani.

scritto da  per il Secolo d'Italia.

2016/09/23

TORNA LA DITTATURA IN ITALIA



CORTE COSTITUZIONALE: RINVIO VERGOGNOSO

I sostenitori del NO al referendum sono stati tacciati di esagerati quando affermano che una vittoria del SI, combinata con l’attuale legge elettorale, potrebbe tecnicamente portare ad una sorta di dittatura.

La realtà è peggio della fantasia visto che la CORTE COSTITUZIONALE ha deciso di rinviare nell’ affrontare i ricorsi di incostituzionalità contro l’ “Italicum” presentati da diversi tribunali italiani dicendo di non voler interferire con le vicende politiche del momento.

Prontamente Renzi che si è congratulato per la scelta.

CI RENDIAMO CONTO DELLA GRAVITA’ DI QUESTO FATTO? Il massimo consesso GARANTE DELLA COSTITUZIONE che “decide di non decidere” per non andare contro il governo!! Tutti sanno che – seguendo la logica giuridica dell’attenersi a sentenze precedenti – QUESTA LEGGE ELETTORALE, come la precedente, SAREBBE STATA PROBABILMENTE DICHIARATA INCOSTITUZIONALE CON GRAVE SMACCO DEL GOVERNO ma questi giudici rinviano e non prendono posizione.

MA SE QUESTI SONO I GARANTI DI TUTTI, CHI GARANTISCE PIU’ GLI ITALIANI?

E’ una cosa gravissima ed inaudita, prontamente sepolta come notizia da giornali e TV, tutti proni ad incensare il potere, a cominciare da Mattarella che regolarmente fa il pesce in barile senza il coraggio di intervenire se non con le solite frasi ovvie e retoriche.

ITALIANI ATTENZIONE perché la libertà si perde poco a poco, inavvertitamente, e Renzi sta spudoratamente facendo solo il gioco dei propri interessi.

2016/09/17

E' finita l'Estate



Riprende il discorso dopo la sosta di agosto con un terremoto in più alle spalle, un paese bloccato e che non cresce nonostante petrolio e tassi di interesse a basso prezzo, tante promesse e roboanti previsioni che si sbriciolano (purtroppo) davanti alla realtà.

In mezzo, una nuova crisi comunale a Roma dove il sindaco RAGGI è oggetto di evidente boicottaggio (sì, difendo il sindaco del M5S perché bisogna anche darle il tempo di lavorare) ma dove – soprattutto – il PD e certi evidenti “poteri del mattone” stanno dando una quotidiana dimostrazione di come si cerchi di abbattere un avversario politico sgradito con l’uso sistematico della disinformazione e della polemica. 

La vicenda più grave di questa lunga estate è la crisi europea dove la Gran Bretagna se ne va (e sembra proprio stare meglio da sola, son riusciti anche a ridurre le tasse ai cittadini e imprese), ma nulla cambia in un rapporto pan-tedesco dove la Merkel predomina e gli altri stanno a guardare o si inventano scorciatoie populiste.

In quest’ottica provate a ricordare e a sommare i titoli “europei” dei giornali e dei servizi TV pro-Renzi di questi anni e misurateli con la realtà: basta vedere e giudicare ognuno con la propria testa per verificare che dietro il bluff di un bullo fiorentino non c’è assolutamente nulla, se non l’eredità di un’orda di poveracci che a ritmi di migliaia al giorno hanno invaso il nostro paese e non riescono più a uscirne perché a nord hanno chiuso il confine. Un po’ tardi (e in contrasto all’atteggiamento tenuto fino a ieri) Renzi ha “rotto” a Bratislava con i suoi partner, forse perché da Roma ha capito che arrivano venti di crisi personale e politica.

D'altronde l’Italia ha appena votato che l’Europa assegni sei miliardi di euro alla Turchia perché faccia da cuscinetto verso i profughi siriani (dimenticando le repressioni sanguinose del regime turco del presidente Erdogan, di cui non parla più nessuno) e solo briciole all’Italia pur con centinaia di migliaia di profughi arrivati ed in arrivo.

Questo è – purtroppo - il vero “peso” dell’Italia in Europa. 

Si potrebbe continuare con gli indici di crescita economica che dovevano schizzare al rialzo e sono invece malinconicamente fermi, come i tagli fiscali e le riforme che non decollano perché per questo governo le “riforme” sono solo quelle tipo le coppie di fatto. 

Allegri comunque, c’è chi sta peggio di noi.

2016/08/10

ITALIA, di tutto un po'....



Per quasi tutta la stampa italiana DONALD TRUMP è un cretino. Come sempre avvenuto, quando arriva un candidato diverso dalla sinistra-radical-scic non si va a valutare seriamente come la pensi, ma lo si fa diventare un pagliaccio. La ricetta è semplice: si prende una frase, la si estrapola dal contesto, la si commenta in modo demagogico, la si fa diventare titolone e così lo si censura. DOnald Trump per chi non lo sapesse è un miliardario americano che ha fatto fortuna attraverso le costruzioni d'immobili, giornali e reti TV, esattamente come Berlusconi.

Un esempio? Se leggo “Trump: la Clinton ha fondato l’ISIS!” (titolo Corsera) è una idiozia, ma se lo ascolto e comprendo che ha detto “L’ex segretaria di stato Hillary Clinton con la sua politica di destabilizzazione americana in Medio Oriente ha portato alla nascita dell’ISIS” Trump ha perfettamente ragione. Purtroppo in Italia la politica estera è spot, sensazioni, superficialità e - nello specifico - è in atto una “santificazione” della Clinton considerando i sostenitori di Trump dei buzzurri cretini. 

Si aggregano al cicaleggio i cinquettii della Boldrini, della Mogherini, della Boschi tutte corse alla convention democratica (con i soldi dei contribuenti) a sbavare per un “selfie” insieme alla candidata.

Ricordo la stessa politica di demonizzazione verso il MSI-DN della mia gioventù o anche recentemente contro la Lega Nord (e oggi contro il M5S) , con tanti servizi TV dove i leghisti apparivano sempre come degli zoticoni con le corna di mucca in testa, ma raramente c’era spazio per capire od approfondire gli avvenimenti. I commenti alle elezioni americane sono sconcertanti davanti a due candidati entrambi discutibili, ma dove da una parte c’è per lo meno un forte senso di discontinuità, dall’altro una liturgica approvazione dello “status quo” e non mi pare che gli USA in questi anni abbiano fatto sfolgoranti progressi, soprattutto facendo pagare ad altri (come agli europei) le loro speculazioni finanziarie. Certo che se vince Trump per l’Europa sarà dura, ma per prima cosa credo si dovrebbe cercare di capirne meglio il fenomeno. 

Lo stesso vale per LA CRISI DELLE BANCHE dove leggendo dozzine di articoli sfugge un concetto: chi, come e perché ha permesso gli indebitamenti colossali di tanti creditori insolventi, quelli che – per esempio – hanno affossato Monte dei Paschi di Siena, banca “politica” (di sinistra) per eccellenza? 

Ho visto come sia stato sempre difficile ottenere correttamente crediti, finanziamenti, aiuti per le piccole imprese e SEMPRE - anche per poche migliaia di euro di crediti - servono firme, fidejussioni, avvalli ecc.

Ma come è mai possibile arrivare a sofferenze di MILIARDI DI EURO? Non ci sono direttori generali, consigli di amministrazione, responsabili dei fidi cui oggi andrebbe chiesto conto? Nessuno paga se non gli azionisti (quelli piccoli, gli altri sono stati prioritariamente sistemati) che in campo bancario hanno visto perdere anche il 99% del proprio investimento. Ma possibile che BANCA D’ITALIA e CONSOB non si sono accorte di niente anche negli ultimi anni? Ed è corretto che ora le banche dietro al FONDO ATLANTE posano acquisire banche per mezzo piatto di lenticchie? Questi sono misteri tutti italiani che NESSUNO sembra voler approfondire. 

Un ulteriore esempio di disinformazione è per la TURCHIA E LO PSEUDO GOLPE DI ERDOGAN dove ho letto ben poco fuori dal coro. Ma chi sono stati i golpisti, come hanno portato avanti questo maldestro tentativo di colpo di stato che è abortito in pochi minuti? Oppure – come temo – è stata una plateale “patacca” auto-organizzata o almeno ben a conoscenza di Erdogan che ne ha approfittato per far fuori ogni opposizione? Non si arrestano 2.350 giudici in poche ore senza avere dietro un piano preciso, così come poter impunemente epurare e imprigionare giornalisti, TV, partiti, professori, militari a decine di migliaia. 

Diciamoci la verità, ovvero che oggi la Turchia serve all’Europa e agli USA per molti “lavori sporchi”, ricatta l’UE per i profughi, ha in Europa milioni di suoi cittadini. Erdogan è furbo, tratta e commercia come tutti i turchi e ha scoperto un “cliente” europeo da tenere per le palle  Ecco dunque che in Europa spariscono i guaiti sui diritti umani, non si vedono più le immagini delle torture, non ci sono sanzioni, nessuna delegazione “va a vedere” sul serio cosa succeda nelle carceri turche. Poche le eccezioni, come quella coraggiosa di Lucia Goracci che ha intervistato Erdogan senza ipocrisie, anche se lui ha risposto ovviamente come voleva. 

Sul piano interno lo spettacolo più indecoroso: la “dispar condicio sul referendum” dove non c’è un minimo di equità nell’illustrare anche le ragioni del NO ed è un continuo inno al SI senza vero contradditorio o spazio per spiegare le critiche. Così il SI serve - dice la fatina Boschi - addirittura contro il terrorismo, per dar soldi ai poveri, per superare la crisi economica e via a spararle più grosse. 

Vale per le grandi testate ma soprattutto per la RAI TV, piegata come sempre sul leader a violare qualsiasi regola di “par condicio” con il maghetto di Firenze che appare ovunque con le sue cicalanti vestali. A seguire il documento di un gruppo di parlamentari del PD (che ovviamente adesso rischiano il posto) che coraggiosamente spiegano il loro NO e un articolo apparso sul Corriere della Sera del prof. Stefano Passigli che – sfuggito alla censura? – con molta pacatezza fa dei ragionamenti chiarissimi e che i fautori del SI dovrebbero forse mediare. 

Ma a fronte di queste indecenze l’unica cosa che conta è sempre la demagogia ed è di ieri la notizia del licenziamento in tronco del direttore di QS (quotidiano sportivo del gruppo Monti) perché in un articolo (tra l'altro in chiave di simpatia) erano state due giorni fa definite "cicciottelle" le tre atlete che hanno perso le possibili medaglie alle olimpiadi nel tiro con l'arco.

Ma vi sembra un termine così offensivo?! Ogni giorno la verità è mistificata, nascosta, ignorata su problemi ben più gravi e ben altri sarebbero da licenziare! Ma è quel “cicciottelle” a contare… Può funzionare un paese così intriso di ipocrisia? No, ma a furia di buonismi e di "political correct" viene francamente da vomitare e questa è la sublimazione delle imbecillità. 

NOI PARLAMENTARI PD PER IL NO AL REFERENDUM
I firmatari di questo documento sono parlamentari del PD che voteranno no al prossimo referendum costituzionale. Con la consapevolezza che la propria è posizione in dissenso da quella deliberata dal PD, ma nella convinzione che essa possa essere da noi assunta grazie al carattere liberale dello statuto del partito, il quale mette in conto che non si dia un vincolo disciplinare quando sono in gioco principi e impianto costituzionale. Una posizione, la nostra, che confidiamo possa essere doppiamente utile. Da un lato, contribuendo a centrare il confronto sul merito della riforma, anziché su pregiudiziali posizioni di schieramento, come un po' tutti, a cominciare dal PD, dichiarano di auspicare. Dall'altro, ritenendo che non siano pochi, tra elettori e militanti democratici, coloro che coltivano una opinione diversa da quella "ufficiale" del partito, pensiamo sia bene che essi abbiano voce. Circostanza che conferisce autorevolezza e forza al PD come grande partito pluralistico, inclusivo e appunto liberale. Sinteticamente, le motivazioni del nostro no sono le seguenti: 1) le priorità in agenda. È nostra convinzione che le riforme costituzionali, pur necessarie, non rappresentino la priorità in agenda. Di più: che da gran tempo è invalsa l'abitudine - una sorta di alibi per la classe politica - di imputare alla Costituzione la responsabilità di insufficienze che semmai vanno intestate alla politica e all'amministrazione; nonché di spostare tutta l'attenzione dall'esigenza di dare attuazione a principi e diritti scolpiti nella Carta alla ingegneria costituzionale in una sorta di frenesia riformatrice; 2) legittimazione o, meglio, autorevolezza di questo parlamento. Conosciamo la sentenza n. 1 del 2014 che autorizza l'operatività del parlamento ancorché eletto con il Porcellum dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Ma una cosa è la sua operatività ordinaria, altra cosa è la riscrittura di ben 47 articoli della Costituzione, un ridisegno della sua seconda parte (per altro già rinnovata in taluni suoi articoli), per il quale si richiederebbero ben altra autorevolezza e forse un più esplicito mandato da parte degli elettori. Abbiamo la memoria corta: dopo l'esito delle elezioni politiche del 2013, dalle quali non è sortita una maggioranza, era opinione unanime che si dovesse dare vita a un governo istituzionale che portasse entro un anno a nuove elezioni, non a governi o a una legislatura costituenti; 3) metodo. È profilo cruciale. Le revisioni costituzionali sono materia parlamentare per eccellenza. Nel nostro caso, l'intero processo è stato ideato, gestito, votato dal governo, per altro facendo appello a motivazioni giuste ma francamente incongrue rispetto alla portata della riforma quali la riduzione dei costi. Un protagonismo esorbitante e improprio del governo, non privo di gravi conseguenze. Tra le quali quella di non giovare al fine di raccogliere una maggioranza larga, quale si conviene alla riscrittura della Legge fondamentale della Repubblica; quella inoltre di smentire il solenne impegno a non ripetere l'errore del passato di riforme varate da una stretta maggioranza di governo; quella infine di porre l'ennesimo, insidioso precedente foriero di altri futuri strappi da parte di maggioranze politiche contingenti, in un tempo che ci suggerisce di non escludere, per il futuro, governi dal segno illiberale. E ancora: quella di porre le premesse per un referendum costituzionale il cui oggetto slitta dal quesito di merito formale al quesito implicito sul sì o no al governo, dunque un plebiscito. Anche a motivo della non omogeneità dell'oggetto, come prescrive la giurisprudenza costituzionale e, prima ancora, l'art. 138 la cui "ratio" chiaramente sottintende revisioni mirate e puntuali;
4) il merito. In estrema sintesi, la nostra opinione è che la riforma non riesca a perseguire gli obiettivi dichiarati: di semplificazione e di conferimento di efficienza e di efficacia al sistema istituzionale. Più specificamente, essa disegna un bicameralismo confuso - va da sé che siamo favorevoli al superamento del bicameralismo paritario - nel quale il Senato, privo per altro di adeguata autorevolezza e rappresentatività, rischia semmai di costituire un ulteriore ostacolo al processo decisionale (davvero si pensa che il problema sia quello di fare più celermente nuove leggi, anziché quello di farne meno e di scriverle meglio?); un procedimento legislativo farraginoso e foriero di conflitti; un Senato la cui estrazione locale mal si concilia con le rilevanti competenze europee e internazionali affidategli; una esorbitante ricentralizzazione nel rapporto Stato-regioni che revoca il principio/valore delle autonomie ex art. 5 della Carta (paradossalmente ignorando l'esigenza di ripensare le regioni ad autonomia speciale); una complessiva alterazione degli equilibri, delle garanzie e dei bilanciamenti di cui si nutre il costituzionalismo tutto a vantaggio del governo, un vantaggio ulteriormente avvalorato dall'Italicum; il conferimento ai futuri consiglieri regionali e sindaci senatori dell'istituto dell'immunità sino a oggi riservato ai soli rappresentanti della nazione in senso proprio;
5) elettività dei senatori. Nell'ultimo e decisivo passaggio della riforma al Senato la questione più dibattuta fu quella della sua elettività, motivata in ragione delle competenze ad esso assegnate - dalle leggi di revisione costituzionale alla materia comunitaria sino alla ratifica dei trattati internazionali - che palesemente presuppongono senatori eletti direttamente dai cittadini in quanto fonte della sovranità nazionale. Ne è sortita una elaborata mediazione sul testo che di fatto rinvia la questione a una legge elettorale (del Senato) ordinaria di attuazione. Sul punto, vi fu l'intesa di fare precedere il referendum costituzionale da un impegnativo atto politico se non dalla messa a punto di una bozza di tale legge attuativa, della quale non si ha più notizia. Rilasciando così nell'incertezza la cruciale questione della elettività dei senatori;
6) infine una ragione politica, che riguarda il PD e, più complessivamente, l'evoluzione del sistema politico. Non è un mistero che, anche a motivo della impropria drammatizzazione politica della questione, si attende il referendum come uno spartiacque. Al punto che vi è chi rappresenta il fronte del sì come il laboratorio di uno schieramento o addirittura di un partito che muova dal PD, ma che vada oltre il PD. Una sorta di partito unico di governo, posizionato al centro, che si concepisce come alternativo alla destra e alla sinistra. Una prospettiva, per noi, tre volte sbagliata: perché snatura il confronto referendario; perché allontana il sistema politico dalla fisiologia di una competizione tra centrodestra, centrosinistra e 5 Stelle; perché altera il profilo costitutivo del PD quale partito di centrosinistra, ancorché non presuntuosamente autosufficiente, nel solco dell'Ulivo. Quel profilo e quell'assetto che, alle recenti amministrative, nel quadro di una bruciante sconfitta, ha consentito al PD di vincere la partita a Milano.
La nostra posizione per il no può riuscire utile sotto un altro, decisivo profilo. Quello delle gestione delle conseguenze a valle di una eventuale bocciatura della riforma. Il nostro è un no di merito alla riforma. La circostanza che anche elettori e militanti del PD possano avere contribuito al no non autorizzerebbe a stabilire un improprio automatismo: no alla riforma=crisi di governo. Qualcuno di sicuro lo sosterrà, anche perché, non certo noi, ma il premier, sbagliando, ha contribuito ad avvalorare tale tesi.

Un automatismo che noi contestiamo, con il nostro no, rigorosamente distinto dal no al
governo, che, lo ripetiamo, esula completamente dalle nostre intenzioni.

Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiutti,
Walter Tocci, Luisa Bossa, Angelo Capodicasa, Franco Monaco