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2012/12/05

Stai zitta cretina

Mio padre lo diceva sempre: il mondo è bello perché vario.
C’è posto per i saggi, per gli intelligenti, per i ricchi, per i poveri e non solo di danari ma anche di spirito, per i cretini.
Il cretino, secondo la Definizione sul Web: trattasi di di persona, atto o discorso che rivela stupidità; che è affetto da cretinismo; persona poco intelligente, stupido, imbecille; chi è cretino...
it.wiktionary.org/wiki/cretino.

Va bene, ero già a conoscenza della definizione, entriamo però nel significato del termine, portiamo degli esempi al fine di comprendere appieno la figura della cretina. Parente povera del cretino si atteggia per superare quest’ultimo in modo da essere assunta a riferimento della specie, dei cretini ovviamente.

Affetta da cretinismo verrebbe da dire tutte le volte che si sbatte, perchè l’incontro con una cretina non va mai considerato un contatto soft, è sempre uno scontro. La cretina fa di tutto affinché quello che sembra ovvio a tutti per lei assuma un significato diverso, a volte il contrario, non necessariamente. Potremmo dire che potendo contare sulla ristretta scorta di intelligenza che il creatore le ha riservato cerca con tutta se stessa non di nascondere il poco bagaglio di stupidità ma di metterlo in mostra ancora di più in modo da rivelare anche al più distratto dei lettori con chi si ha a che fare. Ho riportato il punto di vista del dizionario online wikipedia, su altri i dizionari, meno tirchi di informazioni leggo che si tratta di una malattia, una persona malata, disturbata, fuori controllo, caratterizzata dall’arresto dello sviluppo organico, la sua deficienza è più o meno pronunciata nelle facoltà mentali e in altri disturbi collaterali. Naturalmente parliamo del significato medico. Ma dal punto di vista sociologico esiste la figura del cretino sociale. 

Anzi, della cretina sociale. Volendo approfondire la materia s’incontrano difficoltà oggettive, le discipline sociali non si sono ancora accorte di questo grave problema sociale, la cretineria non viene analizzata come servirebbe, al massimo azzardare definizioni che non rendono completamente l’idea del prodotto finale. 

La cretina sociale non dimostra affatto maturità, tu pensi che potrebbe anche essere, lei sa di non esserlo affatto, chi guarda da fuori e commenta non comprende le ragioni di tanta ottusità o forse le intuisce, immagina che la poveretta non c’arrivi alle stesse conclusioni, immagina di trovarsi davanti una lobotomizzata che non riesce a focalizzare alcuno degli argomenti e sfugge col pensiero e forse anche nei fatti alla logica dell’essere piuttosto che di quella del pensare. Chi sia in realtà non lo sappiamo, possiamo immaginare che abbia subito in età adolescenziale un arresto dello sviluppo morale: non è un adulta equilibrata, non è in pace con se stessa né con il mondo che lo circonda. 

Ignora e attacca, subisce e pontifica, assimila e rifiuta e non resta nulla di tale movimento di quella inutile parte, anzi accessorio dell’organismo chiamato corpo, chiamato cervello che di lei fa parte ma che ignora completamente l’esistenza. 

Sussiste nell’individuo la convinzione di essere irresistibile eppure nessuno la giudica tale, sempre a meno che si tratti di un’altra cretina, potrebbe chiamarsi Brigitte o Federica, insomma, deficienze morali. Inutile qui approfondire le profonde ragioni psichiche (se non psichiatriche, come alcuni sostengono): forse una madre autoritaria, un padre assente, un tata indifferente, compagni di scuola crudeli. Non possiamo invadere il campo degli psicanalisti. 

Prendiamo atto che la personalità morale del cretino o cretina sociale è incompleta. E che da adulto il soggetto ne diventa inconsapevole. E qui va aggiunta la frustrazione, frustrazione di non sapere abbastanza o di sapere e non sapere di sapere. Ma forse non sa che il sapere non si sposa con le ridotte dimensioni del proprio cervello, ripieno di pregiudizi, commenti inconcludenti e banalità assortite, che alimenta con irrefrenabile stupidità quel senso profondo di inferiorità, di inadeguatezza schiacciante, di ottusità diffusa, monca di qualsiasi gratificazione familiare o professionale, affettiva o religiosa. 

La cretina non sa nemmeno di esistere, galleggia in un limbo di conoscenza che non esiste e si fonde con un senso di credibilità fondato sul niente da dove emerge in tutto il suo splendore di emerita stronza, altra categoria alla quale per riflesso appartiene la cretina che si atteggia a persona normale ma, evidente, non può. La cretina sociale è sempre scontenta di sé e del mondo che la circonda, in particolare quest’ultimo mentre delle proprie scontentezze non da molto di cui vedere. 

E’ il terrore dei portinai, tassisti, colleghe, camerieri, fidanzatI, mariti e figli se ci sono. Ma al tempo stesso è capace di assumere un comportamento servile nei riguardi di coloro da cui dipende (il che le costa e acuisce la sua frustrazione). Un caso paradigmatico, semplificando, è quello della mediocre utente di forum che massacra tutti coloro che provano a esprimere punti di vista diversi dai suoi e poi può sembrare accondiscente nei confronti di chi la reguardisce per il comportamento non consono allo spirito dello stesso forum. Il ruolo nel caso specifico è però quello in perenne contraddizione, lo jing e il jang che non vanno fraintesi trattandosi di cultura orientale di ben più alto livello culturale e di saggezza a cui la cretina non potrà mai aspirare nemmeno leggendone i contnuti, e qui vine anche ualche dubbio, chissà se potrà mai afferrarne i contenuti? 

No, la cretina sembra solo, sostanza non c’è.
La cretina ricade in due grandi categorie sociologiche:

1) la cretina che subisce il mondo;
2) la cretina che non lo subisce, anzi lo assale con lo scopo di emergere da quel mare di nulla dove nuota.

Nel primo caso possiamo parlare della cretina rassegnata, passiva.
Nel secondo della cretina competitiva vagamente attiva nella sua cretineria.
La prima tipologia, per riprendere la terminologia di Bauman, designa il cretino allo stato liquido, che passa quasi inosservato. Mentre la seconda indica il cretino allo stato solido e dunque immediatamente riconoscibile… Anche perché maleducata e prepotente. 

Quest’ultima è la specie più pericolosa e noiosa, il motivo di questo approfondimento, di questa dicotomia viscerale per estrarne i contenuti e gettare nella spazzatura ciò che resta. Non ne faremo altro neppure con quello che, almeno inizialmente terremo, ma deve essere considerato un mero esperimento per un fine nobile. Perché la cretina competitiva, a differenza della cretina rassegnata, è in conflitto permanente con tutti. Ha perciò una sua rilevanza se non pericolosità sociale. Dal momento che vuole avere sempre ragione. E non importa come. In genere non è persona di cultura, sfrutta la sua preparazione lavorativa, annaspa leggendo notizie e informazioni a casaccio che immagazzina nel vuoto della memoria e che trae pescando a caso non accorgendosi di prendere spesso lucciole per lanterne. 

Con una cultura molto utilitaristica, tentando di portare l’avversario del momento sul suo campo, molto ristretto, dove applica, come si direbbe a Napoli, una logica e una deontologia da paglietta. 

In genere si tratta di individui a rischio cardiovascolare e con problemi biliari, l’iperacidità indotta dallo stato di invidia e accidia perenne poi spinge la cretina verso il baratro dell’ulcera gastroduodenale, continui disversamenti di bile e succhi gastrici poi ne fanno un essere immondo, puzzolente anche a qualche miglio distante, un isolata anche e soprattutto virtualmente dove si evince in tutta la sua virulenza il ribrezzo per tale individuo. Di regola la cretina competitiva è single, raramente fidanzata, spesso zingara senza fissa dimora, preferisce culture arabe, ama il Marocco, la Colombia e la Spagna dove la sua completa mancanza di intelletto le permettono di vivere estraniandosi dal mondo che la circonda. Ha moderatamente girato il mondo, limitandosi a cavalcate in cinque giorni cinque attraverso il Vietnam dal confine cinese e in sella a una motoretta che le deve aver appiattito l'unica parte tondeggiante del corpo, tale che da quel momento in poi la possiamo considerare meno attraente di un'asse da stiro.

In genere non sapendo decidere sul piano delle relazioni sentimentali tra status e contratto, per dirla con il grande Summer Maine, non riesce a stabilire solidi nuclei affettivi. Di solito preferisce le professioni liberali, la cretina da forum è la preferita a causa di adolescenza difficile con le varie forme di interazione e dipendenza sociale che le fa vivere come una complicata condizione affettiva la famiglia. Pertanto la cretina competitiva non pratica sempre la neutralità affettiva, come invece imporrebbe la modernità.

Sotto questo aspetto è un essere sociale moderno e pre-moderno al tempo stesso: una chimera sociologica. Orripilante, dal punto di vista sociale s'intende. Per alcuni potrebbe essere addirittura una "sopravvivenza" di un mondo primitivo, una dimenticanza del paradosso temporale che, lasciando una porticina aperta ha permesso alla cretina di compiere numerosi raid all’esterno del mondo preferito.

La cretina competitiva non vuole vincere ma stravincere, e su ogni terreno. Di qui un grande spreco di risorse individuali e collettive, legata ai conflitti ricorrenti, contro tutti gli altri quelli che tentano di ignorarla e la feriscono togliendole il piacere della conquista, della vittoria. Le vittime di cotanta cretineria, di riflesso, e se attaccati, sviluppano una strategia difensiva di solito vincente nei confronti della cretina competitiva, se invece perdono non va considerata una vottoria della cretina, semmai quella di altri attori che s’interpongono nel rapporto scontro e tolgono il piacere della vittoria alla cretina.  Avete capito che ci troviamo davanti a una autentica guerra sociale, evitabile. 

Chiunque trovi sulla sua strada la cretina competitiva può ignorarla nel caso di rapporto acquisitivo (legato a una scelta individuale), mentre non può evitare il conflitto in caso di rapporto ascrittivo in un forum per esempio perchè non legato a una scelta individuale e quindi subibile. Perché, va detto, è la cretina competitiva a scegliervi come nemico e non il contrario. Con lei essere benevolenti non serve a nulla. Il poter incrociare nel web - all’interno di un contesto acquisitivo come un forum, acquisizione di informazioni conoscitive, la cretina sociale competitiva, non rappresenta in termini interattivi un problema insolubile: appena viene individuata la si può evitare ma ritrovarsela invece come un membro della propria famiglia che sia una sorella, genitore, collega di lavoro e magari all’interno di un contesto ascrittivo, può essere veramente fonte di gravi difficoltà individuali e sociali, come abbiamo già notato. 

Di regola, il cretinismo sociale, nelle due tipologie qui individuate (rassegnata e competitiva), si manifesta a livello endemico. E perciò è ineliminabile, non solo, risulta anche infettabile e quindi trasmissibile a altri membri lo stesso social forum, per esempio Voglio Vivere così, il forum, è pieno di cretine, sociali e non sociali, perchè lo stesso management non solo non ha saputo cogliere l’attimo della disgregazione socaile degli individui, nella fattispecie le cretine sociali, ma ne ha alimentato lo status mentale favorendo la propagazione dell’epidemia. Non si capisce ancora perché, ma pare che il forum sunnominato sia diventato il terreno di caccia preferito della cretina sociale competitiva. In quest’ ultimo caso, in termini tipologici, si può parlare della cretina competitiva forumsferica. 

Una sub-specie meritevole di essere studiata e abbattuta come si fa con le mucche pazze non appena sono individuate e possibilmente bruciate cospargendole prima di benzina a 98 ottani per esser sicuri non ritornino sotto forma di zombies o altre forme terrifiche assortite. Comunque sia si avverte la necessità di eliminare dal contesto sociale e blogosferico includendo quindi anche i forums a vago sfondo sociologico, le cretine sociali, disperdendole a piccoli gruppi di due su isolotti isolati circaondati da ferocissimi squali e dotati di tutte e più moderne tecnologie di dissuasione alla fuga. Il mondo moderno deve guardarsi le spalle dalla nuova cretina sociale, potrebbe essere in grado di distruggere il mondo.


Sognatore & Erotangos

Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde è un celebre romanzo dello scrittore di Edimburgo Robert Louis Stevenson pubblicato nel 1886. Considerata la più importante opera di Stevenson, è uno dei più grandi classici della letteratura fantastica di tutti i tempi. 
Rappresenta il culmine dell'indagine stevensoniana sulla scissione della personalità.
Qualcuno potrà anche chiedersi come possa entrarci Louis Stevenson nel titolo di questo articolo e con ragione vado a spiegare partendo proprio dal libro ormail famoso. In esso si racconta la storia di un medico che facendo degli studi sulla psiche umana, capisce che ogni individuo possiede una doppia natura, come due personalità contrapposte, una buona e una cattiva. Da quel momento in poi il suo unico scopo diventa quello di creare una sostanza con delle proprietà particolari che siano in grado di riportare alla luce l’identità nascosta di ogni uomo.

Dopo vari tentativi riesce nella sua impresa e bevendo la pozione vengono fuori le due personalità contrastanti. Una notte, buttando giù la sostanza, inizia ad avere delle strane reazioni, sente delle fitte terribili allo stomaco e in un lampo avviene la trasformazione, che lo cambia sia nell’aspetto esteriore che in quello interiore, rendendolo irriconoscibile. Si ritrova dinanzi un uomo malvagio, con un corpo e una mente che non gli appartengono, che non riesce più a gestire e che compie gesti crudeli. Il suo altro si chiama Hyde, che significa proprio nascosto.

Prendendo l’antidoto però è possibile ritornare in sé, perdendo tutte le caratteristiche negative e violente della parte crudele, almeno così sembra inizialmente. Ma con il passare del tempo, il medico si rende conto della lotta interiore che sta vivendo e di come la personalità cattiva e quella buona si stiano contendendo lo spazio che li contiene, per prendere il sopravvento sull’altro. Mr Hyde inizia a commettere dei crimini efferati, non si cura della morale, è completamente ingestibile, aggressivo, e finisce col mettere nei guai il dottor Jekyll che fino a quel momento era stato un uomo dai sani principi, una persona tranquilla.

E’ per questo che dottor Jekyll si decide ad assumere una dose molto più alta rispetto al normale, così che diventi predominante la sua parte migliore, quella dell’uomo che era sempre stato. E per evitare di ricadere in tentazione creando ulteriori problemi, distrugge gli appunti dei suoi studi sulla pozione che ha inventato e rompe le chiavi del suo laboratorio. Il tentativo fatto per “uccidere” la sua parte malvagia sembra essere stata portata a buon compimento, ma è solo un’illusione, dopo qualche mese, infatti, la sua personalità cattiva si ripresenta e il dottor Jekyll comprende che non ci sono molte alternative per riparare al danno. O è costretto a subire o deve reagire.

Il libro è misterioso e intrigante, un giallo che apre la mente mostrando una natura umana che tendenzialmente è taciuta. Una situazione che viene sfruttata dall’essere Sognatore, il quale mira a apparire quello che non è o non vuole essere. Impiegato, livornese, l’appartenenza a una ben precisa città e importante perchè gli individui di quel territorio sono invisi ai vicini pisani, in un gioco che anche in questo caso rasenta la logica del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, il bianco e il nero, il buono e il cattivo, lo stolto pisano e il furbo livornese. E se in questo caso i cliché abbondano, almeno nella prima vita del Sognatore quando è solo un inguaribile sognatore con un sogno, cioè quello di andarsene dall’Italia per vivere una vita diversa, ecco che appare il disegno in tutta la sua pochezza o esaltazione di un concetto espresso da altri, quando sulla scena compare erotangos che altri non è che il sognatore letto al contrario.
E sembra anche il contrario del primo nelle frasi e negli atteggiamenti, attaccato alla famiglia il primo, senza famiglia il secondo, un figlio seppur soprannominato incubo il primo, nessun figlio e nessun legame il secondo, nemmeno una moglie che con il rimo sembra, il condizionale è un obbligo voler guidare il poco fedele compagno di vita sulla retta via.

È solo dopo una presunta e presumibile vacanza in Venezuela che compare erotangos e scompare prematuramente quanto temporanealmente il sognatore originale. Un abile gioco di travestimenti e di situazioni coinvolgenti attirano il lettore verso una posizione o l’altra dando la sensazione di un istrionico elemento il cui continuo variare dell’aspetto, la modifica dell’essere quello che dovrebbe essere provocano astio e incredulità. Del resto molti degli utenti del forum dove il Mr. Hyde de noantri e il Dr. Jekyll toscano hanno compreso che sia il primo che il secondo, sono figli della stessa disturbata mente che ancora gioca a bubusettete o nasconderello con se e gli altri senza capire che la vita va avanti e nel bailmme di incertezze correnti, corrotte e improbabili si cerca qualcosa che ci dia la possibilità di guardare al futuro con serenità. E ci sguazza sopportato e supportato da un management che in nome del dio guadagno è ben disposto a passare oltre al regolamento dello spazio web cercando di giustificare un internet provider code diverso, ignorando di fatto l’esistenza di software adatti a modificarlo, la stessa persona che accusa altri di farne grande uso.
In tutto questo anbaradan di verità imprecise e di imprecisioni indotte si muovono i vari personaggi di contonrno che ora da una parte e poi dall’altra cercano di mettersi in mostra come lucertole nel tiepido sole invernale.
E’ uno schifo signori miei, uno schifo sopportato da tutti a cui nessuno ha veramente detto basta.
Non so perchè ricorda un altro caso di sdoppiamento di personalità, un pover uomo netturbino di professione che pensava di esser diventato un inventore di buchi nell’acqua, anche quello deve aver ftto una rapida carriera, da bucaiolo è diventato un imbucato.  
Che sono dunque erotangos e sognatore?
Nessuno, solo un sogno non trasformatosi in realtà, la sfuggente sensazione del non esserci e del non essere per continuare a esistere virtualmente al di la di un nick inesistente e neppure troppo sognatore.

Che pena mi fa certa gente, pena, tanta pena.


Voglio Vivere Così

Voglio Vivere Cosi col sole in fronte e felice canto.....

Qualcuno di voi sicuramente la ricorda, era il titolo di una canzonetta anni ’50, i mitici anni cinquanta. Mitici perchè la grande guerra era appena terminata, perchè l’Italia si era liberata, finalmente per qualcuno e purtroppo per altri, del Re e della Regina, perchè sono nato io e molti altri che poi hanno rivoluzionato il modo di pensare degli italiani.
La canzonetta famosa, un motivetto orecchiabile che resta in mente facilmente, faceva più o meno così: 

Voglio vivere così, col sole in fronte, e felice canto, beatamente... 
Voglio vivere e goder l'aria del monte, perché questo incanto non costa niente
Ascoltatela dal mitico Andrea Bocelli e ritroverete la felicità prduta dopo aver letto le nefandezze compiute nel forum di cui si parla: Voglio Vivere cosi col sole in fronte...

Questo la canzonetta, purtroppo di sole in fronte e felicità non c’è nemmeno l’ombra sull’omonimo sito web che ha preso il titolo della canzone come proprio marchio e chissà se paga i diritti d’autore a chi la canzonetta la scrisse. 

E mi sa anche che costa, costa chi ha puntato a scrivere nel forum e non sa che la sua sola partecipazione allo spazio virtuale, ergo la sola visita con apertura di pagina fa guadagnare al gestore fior di quattrini che chissà se l'amministratore ha dichiarato all'ufficio delle imposte? Un bel quesito questo...

L’Italia si sa è la patria del diritto e il copyright per un prodotto del genio canoro di un individuo si estingue dopo 70 anni dalla morte e sono un diritto del produttore. Sono certo che se ne siano ben guardati dal chiedere l’autorizzazione all’uso pubblico di un dominio privato, questa è l’Italia signori.

Torniamo al sito, si prefigge di aiutare a scegliere chi decide di abbandonare lo stivale verso lidi migliori, in effetti non aiuta nessuno. Eh si perchè è risaputo che chi ha sufficienti risorse si sa organizzare da solo e per tempo, chi le risorse non le ha naviga nei forum ponendo milioni di domande che normalmente restano senza risposta essendo i forum frequentati da altri e simili individui alla ricerca delle stesse risposte ai propri quesiti. 

L’amministratore di quel forum poi è un campione di incoerenza, per sua stessa ammissione evidente, asserisce tutto e il contrario di tutto come chi non ha coerenza e nemmeno ne riconosce l’esistenza. Così tanto da arrivare a attaccare chi scrive pensieri sensati corroborati da esperienze vere e vive mettendosi a plaudire e leggittimare chi invece si fonda sul pettegolezzo, sulla supponenza, sull'accidia e deleggittimanti nei confronti di chi cerca di fornire un valido supporto, un aiuto, una parola di conforto.

Il risultato in tutto questo ambaradan è che un amministratore si permette di distribuire coscientemente impunito e gratuitamente, si spera perchè c’è anche il sospetto che qualcosa abbia anche guadagnato, dicevamo distribuire indirizzi email di utenti del forum ad agenzie che offrono, indesiderate, servizi di pseudo assistenza a pagamento agli utenti stessi del forum, (successo anche a me di ricevere offerte di servizi non richiesti in un account email aperto solo ed esclusivamente per quel forum) giustificandoli come aiuti ma che aiuti non sono. 

E si assiste anche alla farsa di prendere come accoliti del tartassato tutti gli utenti che tentano di dargli ragione. Un bailamme inverosimile dove gli amministratori annaspano in un melting pot di impreparati utenti, la maggior parte supponenti e zingari senza fissa dimora alla ricerca di capri espiatori per giustificare il proprio malcontento. Dove un regolamento sbandierato come il verbo viene sistematicamente disatteso o attivato solo contro chi non si attiene non già alle sue regole ma al diktat degli amministratori molto attenti al loro guadagno e non alla consapevolezza che il loro dovrebbe essere una mission mentre non lo è affatto.

Una massa, fortunatamento non tutti, di assortiti rappresentanti dell'italica pochezza, figli reietti di una casta prodiga di favori anche verso chi non se li merita, che non ha la benché minima idea di quello che significhi mutuo soccorso.

Il buon Andreotti, senatore a vita della Repubblica Italiana un giorno ebbe a dire: 
Il potere logora chi non ce l’ha.
Nel forum, in quel forum il sapere logora chi non ce l’ha.



2012/12/02

Il frustrato e la frustrata, una bella coppia!

La frustrazione è la mancata gratificazione di un desiderio, oppure l'impedimento alla soddisfazione di un bisogno. È uno stato psicologico che si verifica quando un ostacolo blocca il conseguimento di un fine da parte di un organismo che sia motivato a conseguire quel fine.

Questa la definizione, chiara, semplice e lineare. Perchè e come si arriva a definire un individuo un frustrato, nel mio caso potrebbe essere identificato come una rappresentante dell’altro sesso, voglio generalizzare anche perchè intitolare l’articolo “la frustrata” potrebbe dare un diverso significato al mio scritto. Innanzitutto vediamo perchè si verifica: leggo su internet che può verificarsi solo per un organismo che tende a guidare il proprio comportamento dirigendolo verso un fine che nel momento considerato sembra poco chiaro, incomprensibile. 


L'inguaribile frustrazione nell'essere patetica!
Approfondisco e scopro che il comportamento deve essere attivato da una motivazione più o meno specifica; e già qui ha una propria valenza, vedo una luce, occorre che ci sia un oggetto (incentivo) corrispondente al bisogno-desiderio-attesa, in grado di gratificarli, gratificare i frustrati suppongo e scopro che non c'è frustrazione senza l'interferenza di un ostacolo che interviene tra la motivazione e l'incentivo, impedendone l'acquisizione. Interessante, quindi le cause della frustrazione sono molteplici, non solo ed esclusivamente la consapevolezza di non poter usufruire di un supposto privilegio ma anche una forma mens di bisogno inatteso non esaudibile. 

Una spiegazione potrebbe essere che l’individuo frustrato uscendo dal grembo materno è costantemente impegnato ad affrontare un ambiente fisico che ha leggi proprie, non sempre corrispondenti ad una immediata soddisfazione delle esigenze dell'organismo (ad es. fame, sete, riparo, protezione, freddo, caldo, umidità...), il non avere accesso a queste elementari esigenze potrebbe spingere mentalmente l’individuo verso una primaria forma di frustrazione, si spiega ma non giustifica, resta da capire perchè. I fattori sociali vanno considerati, perchè è vero che l'uomo vive in un ambiente fisico "umanizzato", cioè sociale, costruito per adeguarsi alle esigenze dell'uomo. Ma le norme sociali che reggono questo ambiente non sempre favoriscono l'esistenza: molte norme scritte (e non scritte) vincolano l'azione, al punto che impediscono la soddisfazione dei desideri (ad es. un matrimonio misto, la vincita di un concorso...) e qui intervengono i fattori personali propri dell’individuo preso in esame, la casistica li suddivide in biologici, psicologici e sociali. 

Quelli biologici poi riguardano l'organismo (fonte di frustrazione è una particolare condizione fisica: piccolo di statura, capelli rossi, miopia...). Ovviamente la situazione fisica in sé non è causa di un disadattamento, ma lo diventa se viene vissuta così o se viene proposta al soggetto in modo frustrante (chissà se comprende anche l’essere stronza?), i fattori psicologici riguardano la personalità (ad es. vivere in un ambiente centrato sull'efficienza operativa può essere frustrante per chi possiede una personalità desiderosa di coinvolgimento emotivo, contatto umano e comprensione). Infine i fattori sociali riguardano la società (ad es. l'appartenenza a un certo contesto o classe sociale può determinare frustrazione). 

Da notare però che una stessa esperienza di mancata gratificazione può essere percepita da una persona come sgradevole o umiliante, mentre per un'altra può essere stimolante. Spesso l'impossibilità di soddisfare immediatamente un desiderio è utile stimolo di ricerca di nuove soluzioni.

Ci si accorge dell’esistenza di un frustrato nel momento che esso manifesta il proprio status, fino a quel momento la patologia non è riconoscibile, non ce ne rendiamo conto. Purtoppo i danni potrebbero essere anche importanti, danni personali intendo, danni psicologici causati dal subire l’attacco a volte continuato del frustrato che impedisce di avere una visione chiara della situazione e attuare le migliori difese che, ribadisco il concetto, non sono sempre violente, potrebbero anche esserlo in casi limite, in genere la nostra reazione deve spingere il frustrato a riconsiderare il proprio status mentale e accettare la propria situazione anche se portati a desiderare altre e diverse situazioni e non sempre migliori di come il frustrato è indotto a pensare. 

I meccanismi di difesa poi: ansia, angoscia e apatia sono reazione più o meno consapevoli del soggetto. Ma esistono anche dei meccanismi di difesa inconsci ed estremi, appartenenti a qualunque individuo, che sono praticamente espressione della necessità di mascherare o fingere una condizione di vita migliore di quanto non sia in realtà. Naturalmente se la persona si rapporta alla realtà solo ricorrendo a questi meccanismi, allora essi vanno considerati come sintomi di una nevrosi. Che meccanismi sono maggiormente evidenti nel frustrato? Sicuramente la regressione: quando in caso di malattia ricompaiono atteggiamenti infantili oppure la fissazione che porta il frustrato a ripetere un comportamento anche al mutare delle circostanze. 

Quella contro i frustrati è una mia guerra personale. Dovrei dire le frustrate. Donne che amano nascondersi dietro l’immagine apparente di donna=forte mentre invece non sono, donne irrealizzate i cui sogni sono stati erosi dal tempo e dalla realtà, categorie alle quali, ahimé, appartiene il 98% della popolazione mondiale (a essere ottimisti), parlo anche, e soprattutto di quelle che non ci stanno, che non si adattano, che sfogano il loro livore contro tutta l’umanità: quelle sono le frustrate che non sopporto. Che poi magari in questi tempi di crisi finanziaria mondiale sono costrette a lavori umili, magari con due lauree nel cassetto a ammuffire, non era importante la laurea, poco male se non c’è, potrebbero essere benissimo persone dotate di un’intelligenza e un talento prodigiosi ma che sono, purtroppo per loro, nati nella famiglia sbagliata. Io parlo di quelli e quelle che, senza titolo alcuno e con scarsissima dose di buon senso, pretendono che il mondo si inginocchi, che obbedisca loro docilmente, pena “dispetti” e “punizioni” degni di un bambino viziato al primo anno di asilo, che poi nemmeno è vero questa, mio figlio al primo anno d’asilo non si atteggia, non usa l’arma del dispetto ne tantomeno quella della punizione, a lui piace sentirsi gratificato e si comporta sempre di conseguenza. 

Insomma, oggi ce l’ho con una stronza che frequenta un forum dove mi esibisco spesso in quelle che io definisco “storie di vita” vale a dire una guida per viver meglio nel proprio ambiente o in quello che si elegge a proprio anche se non lo è. Si, si, lo sappiamo, la situazione in Italia è sempre la stessa, la gente è insofferente, non si riesce a trovar lavoro, non si riesce a ottenere il minimo fisiologico dei servizi, non si riesce a vedere la fine dopo tutti i disagi ma credetemi non si tratta solo di quello, anche se abbiamo una casta politica intrigante e menefreghista che fa desiderare i tempi quando c’era Lui, lui chi? Lui, lui... Almeno tutti guardavano a valori unici mentre ora pensano solo a riempirsi la borsa, anzi la valigia, di danaro furbescamente sottratto agli italiani fessi e che nessuno mai restituirà nemmeno nel momento in cui finalmente il popolo italiano alzerà ‘sto cazzo di testa mandandoli via tutti. 

Non non pensavo a questo nel definire il frustrato, anzi la frustrata. 
Quando il frustrato entra nella nostra vita e che danni può o potrebbe arrecarci?
Difficile da quantificare, la famosa frase ‘uno, nessuno o centomila’ potrebbe essere tranquillamente applicata senza che si trovi una reale cura o un metodo di guarigione efficace. Diventa a questo punto complicato se non impossibile trovare la guarigione nel frustrato che col tempo rappresenta una minaccia consistente se rapportata a un singolo individuo. Nella nostra vita di esseri umani, molto spesso ciò che fa emergere un conflitto non sono due oggetti o due situazioni, quanto le richieste inconciliabili che provengono dai diversi modelli valoriali e di comportamento che presuppongono i vari ruoli che ricopriamo nella nostra vita. Fra i conflitti di ruolo, si tendono a distinguere i conflitti intra-ruolo (quando le attese da parte di diversi attori sociali nei confronti dello stesso ruolo sono parecchio discordanti) e conflitti inter-ruoli (quando uno stesso individuo ricopre più ruoli che prescrivono attese e comportamenti fra loro discordanti e inconciliabili).

Alcuni dei conflitti di ruolo più tipici della nostra società sono ad esempio quello in cui si trova l’adolescente, diviso fra le esigenze di autonomia che gli richiede il suo ruolo di individuo adulto e quelle di protezione e dipendenza che gli richiede il suo ruolo di figlio, oppure quello delle donne,spesso divise fra il ruolo domestico e quello e quello professionale. Molto spesso questi conflitti, che come abbiamo detto possono riferirsi a sfere particolari della vita di un individuo, possono generare un tale calo dell’autostima e della fiducia in se stessi da allargarsi ad altre sfere, fino a colpire addirittura l’intera persona, in un fenomeno noto come “ego-diffusion”.

La situazione di marginalità, ossia la situazione in cui si trova un individuo che si trovi a far parte contemporaneamente a due o più gruppi differenti, con richieste incompatibili può essere risolto attuando varie strategie:
1) Separazione: consiste nel tentativo di scindere in vari modi (nel tempo e nello spazio) i due ruoli contrastanti. La separazione può agire anche a livello profondo, attraverso un meccanismo che porta a distaccarsi interiormente da uno o più dei ruoli in conflitto (in genere quelli sentiti come colpevoli). Spesso i ruoli scartati possono essere proiettati su di un Io ausiliario. Questo tipo di separazione non viene attuata attraverso una negazione in toto dell’azione, ma solo attraverso una negazione della propria responsabilità. Nei casi più gravi, invece, uno dei due ruoli può essere completamente rimosso, con grandi conseguenze per l’equilibrio psichico dell’individuo.

Ma perché gli esseri umani non riescono a tollerare che due sistemi di valori e di aspettative convivano? Secondo alcuni ciò è riconducibile ad una motivazione sociale, oppure a una motivazione cognitiva, mentre secondo altri si basa sulla teoria della dissonanza cognitiva, la spinta ad essere coerenti nella vita conoscitiva può essere paragonata alla spinta omeostatico nella vita biologica. Infatti la presenza di una dissonanza cognitiva spinge automaticamente l’individuo a tentare di eliminare tale dissonanza. Sono state raccolte diverse prove a sostegno di tale teoria in particolare in occasione di un esperimento durante il quale vennero studiati le reazioni di un gruppo di persone appartenente ad una setta che credeva nell’imminente fine del mondo.

La verità come al solito è sempre la stessa: evitiamo per quanto possibile di essere causa di frustrazioni in altri individui, quando questo non è possibile o fattibile meglio ignorare completamente il frustrato, alla fine si stancherà di voi. La cura che lui o lei deve affrontare non dipende da voi, lasciate che siano altri a affrontare al questione liberandovene definitivamente. 

(Corollario: Perché Frustrato e perché Frustrata? 
Il frustrato é sicuramente colui che in questa storia non partecipa le idee altrui e altrimenti cerca di rendere difficile la vita alla propria vittima designata, la frustrata altro non é che l'estensione della frustrazione del frustrato. Doppiamente frustrato perché tenta di nascondersi nelle sembianze altrui per far credere di, mentre invece l'unico credo che pervade é quello di un  poveruomo. Si riguardi, lo dico seriamente, la vita é breve, magari in un altro racconto gli consiglierò di bersi un Cynar!)


Quanto è vicina la Cina?


Quanto spaventa il mercato globale il Dragone Cinese?
Quanto è vicina la Cina? Sul finire di dicembre dello scorso anno, la nota agenzia di rating Fitch ha dichiarato che la connessione economica Africa-Cina è divenuta un importante fattore nella storia di crescita dell’Africa sub-sahariana.
Negli ultimi quindici anni la penetrazione della Cina nel continente ha in effetti assunto dimensioni stupefacenti. L’Africa, che oggi più che mai rappresenta uno scenario sensibile nel gioco di ridefinizione delle simmetrie globali di potere, ha assistito all’affermazione della solida posizione della Cina nel campo commerciale e degli investimenti. Tanto da diventare un attore in grado di controbilanciare gli interessi geostrategici ed economici dei tradizionali partner occidentali sul continente. 

Tra gli elementi che influenzano la politica africana cinese, ve ne sono alcuni di ordine strategico ed economico ed altri di ordine politico e diplomatico. La strategia che ha guidato l’avvicinamento cinese al continente africano combina oggi elementi di un nostalgico idealismo con stralci di pragmatismo, nel tentativo di bilanciare i crescenti interessi di Pechino con la più tradizionale politica di valorizzazione del legame storico-politico tra le due parti.

Dopo il fallimento del Washington consesus, la gran parte delle economie africane ha guardato alla Cina. Tanto che oggi si parla piuttosto di Pechino consensus, con riferimento all’atteggiamento promosso dalla Cina di valorizzazione del multilateralismo, del consenso e della coesistenza pacifica.

Oggi la Cina è la seconda fonte più significativa di importazioni per l’Africa (dopo l’Europa), e il suo terzo mercato per le esportazioni (di seguito, ancora ad Europa e Stati Uniti). Anche se nel corso del 2011 il volume degli scambi con l’Impero di Mezzo ha risentito della crisi finanziaria internazionale, è dal 2009 che la Cina è divenuta per la prima volta il partner commerciale di punta dell’Africa, riuscendo a scalzare gli Stati Uniti. Con la graduale ripresa di respiro dell’economia globale, poi, anche il commercio internazionale tra Cina ed Africa riacquisira un ritmo sostenuto. Nel 2010 gli scambi hanno raggiunto quota 115 miliardi di dollari e nel 2011, pur scontando la crisi hanno superato 162 miliardi di dollari. Un trend destinato a non arrestarsi, visto che Pechino ha favorito la conclusione di accordi di libero scambio con 45 Paesi africani.

Nel complesso, nel corso degli ultimi dieci anni le esportazioni africane verso la Cina – in larga parte petrolio e materie minerarie – sono aumentate di tre volte, raggiungendo i 430 miliardi di dollari alla fine del 2011. In modo particolare, le esportazioni angolane verso l’Impero di Mezzo hanno rappresentato il 31,3% della quota di PIL di Luanda.

Al momento la bilancia commerciale pende a favore dei Paesi africani, anche se esistono significative eccezioni. Su tutte la Nigeria, il Kenya e il Cameroun. Un dato che riconferma il peso della Cina come gigante del settore manifatturiero. Nel corso del 2011, il 60% dei prodotti tessili importati sul continente è giunto proprio dal colosso asiatico.

Oltre il dato commerciale, è la crescente penetrazione finanziaria della Cina in Africa a suscitare interesse. Gli investimenti cinesi all’estero hanno assunto nel loro complesso dimensioni significative (circa 7 miliardi di dollari nel 2005), come risultato del lancio della strategia di “going out” presentata dall’establishment cinese nel 2001. Le quote più significative si dirigono ancora verso Hong Kong, Stati Uniti ed Europa. Ma di recente gli investimenti cinesi hanno guardato anche all’America Latina e all’Africa. Un riorientamento che dice molto delle necessità strategiche di Pechino: approvvigionamento energetico e individuazione di nuovi sbocchi commerciali.

Tuttavia gli investimenti diretti esteri della Cina in Africa rappresentano ancora una quota molto bassa – solo il 3% del totale – spalmata su pochi Paesi: Sudafrica, Angola, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo. Il dato significativo è in effetti rappresentato dal crescente peso delle grandi banche cinesi. I numeri parlano di quote di prestito di gran lunga superiori ai livelli di investimento diretto.

Attraverso la diversificazione degli strumenti e delle fonti, la finanza cinese sta impostando il ritmo del coinvolgimento della Cina nel continente. Al tradizionale meccanismo “oil for infrastructure” negoziato “in segreto” tra Pechino ed il governo destinatario dei fondi, si sono aggiunte nuove forme di intervento e nuovi attori. Un processo che si sta sviluppando di pari passo con l’evoluzione istituzionale del settore finanziario cinese.
Con la riforma del sistema finanziario cinese a partire dalla metà degli anni ’90, si è provveduto alla separazione della gestione della politica monetaria da quella del credito. La principale innovazione ha visto la distinzione tra banche commerciali e banche di interesse nazionale (policy banks) e il progressivo aumento delle possibilità di coinvolgimento all’estero.

Oggi lo spettro delle istituzioni finanziarie cinesi che operano in Africa comprende istituzioni legate direttamente alle direzioni governative e una crescente presenza di banche private. Gli istituti che presentano i legami più stretti con Pechino, come la China Development Bank e la Export-Import Bank of China (Chexim), sono coinvolti in progetti convenzionali di finanziamento e operano secondo i parametri governativi. Si pensi al China Africa Development Fund. Le banche commerciali e altri istituti finanziari privati, invece, operano sotto licenze statali, ma non rispondono formalmente alle direttive di Pechino.

La China Exim Bank, tradizionalmente la banca più coinvolta in Africa, è una delle tre banche di interesse nazionale istituite nel 1995, responsabile della promozione delle politiche industriali di Stato (in particolare progetti infrastrutturali), del commercio internazionale e della diplomazia economica. Si consideri che Fitch ha stimato che tra il 2001 ed il 2011 i prestiti della Exim Bank in Africa hanno raggiunto i 98,2 miliardi di dollari, superando le cifre stanziate dalla Banca Mondiale nell’arco dello stesso periodo di tempo.

Ma è dall’ottobre del 2007, quando il mondo degli investimenti ha visto l’acquisizione di una quota del 20% della South Africàs Standard Bank da parte della Industrial and Commercial Bank of China (ICBC) – istituto statale di credito commerciale – che si sono poste le basi per una nuova fase di coinvolgimento della Cina.
Una scelta indubbiamente strategica quella del colosso cinese. La Standard Bank è un partner attraente per la ICBC, perchè opera in 18 Paesi africani. Del resto, anche per la Standard Bank, la ICBC rappresenta un ancoraggio interessante.

L’alleanza con la ICBC, la principale state owned enterprise cinese, consentirà alla banca sudafricana di accrescere la propria posizione sul territorio africano e di acquisire una fetta di business significativa. Sul fronte bancario cinese, si può dire di aver assistito ai primi approcci verso una strategia in fase di consolidamento per i mercati emergenti: quella dell’individuazione e del collegamento alla banca più grande e sofisticata con ramificazioni oltre confine. L’ancoraggio a mercati poco affidabili e conosciuti è assicurato.

Un’altra importante evoluzione è arrivata dal forum sulla cooperazione afro-cinese tenutosi in Egitto nel 2009. La Cina ha annunciato di voler offrire sostegno alle istituzioni finanziarie cinesi attraverso l’erogazione di un prestito speciale di 1 miliardo di dollari destinato al finanziamento del business africano di piccola e media dimensione. Un momento significativo nella politica di Pechino, che adesso incoraggia il passaggio dall’interlocutore Stato al sostegno diretto alla piccola e media impresa radicata sul territorio. Le implicazioni dell’esperienza del Paese asiatico nel settore finanziario africano sono numerose. L’ingresso della finanza cinese sull’onda della crisi finanziaria globale può essere pensato nel contesto di una più spiccata accelerata verso l’internazionalizzazione del settore bancario cinese.

La Cina ha dimostrato di voler giocare un ruolo decisivo nella finanza internazionale, proponendo alternative al dollaro nelle transazioni internazionali. In Africa, dove si inizia a guardare ad est, ma dove il commercio è ancora dominato dal dollaro US (ad eccezione dell’Africa francofona), il possibile passaggio allo yuan potrebbe affermarsi come evoluzione naturale se i trend negli scambi rimangono attestati su questi livelli. 

Forse la Cina conta sui nuovi mercati emergenti per cambiare le regole del gioco della finanza globale?


2012/12/01

Cosa cambia per la Palestina oggi?



Ha vinto la Palestina, era ora. Pensate che il voto del Palazzo di Vetro abbia un valore solo simbolico, o potrebbe avere anche effetti concreti? Il punto di vista di Israele e indubbiamente la prossima e immediata reazione potrebbero condizionare i prossimi scenari in una guerra solo di nervi fra due entità con differente peso in una regione geografica abituata a clima caldo tutto l’anno e non soltanto per motivi geografici? 

Il riconoscimento ha diverse implicazioni pratiche che metteno in imbarazzo Israele e disturberanno il funzionamento delle diverse agenzie delle Nazioni Unite. Nonostante le premesse, le promesse e le paure e nemmeno a sorpresa Netanyahu non l’ha presa bene. Il primo ministro israeliano, oltre a ringraziare i paesi che si sono espressi contro appoggiando Israele in una guerra di nervi più che di armi ha annunciato la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania. 

E ti pareva. Niente di nuovo all’orizzonte, lo scenario nella regione non cambia affatto e ne cambierà in un prossimo futuro perchè in effetti la Palestina non viene ammesso al club riservato dei Paesi membri ma solo come osservatore dell’ONU, guardare non parlare e probabilmente nuppure toccare la realtà anche se qualche volta riguarderà decisioni prese contro il proprio Paese. In concreto per la Palestina cambia veramente poco. 

L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Ron Prosor aggiunge come corollario alle rimostranze Israeliane che “Abbas preferisce i simboli alla realtà. Preferisce volare a New York invece di venire a Gerusalemme per negoziare“ mentre Limes spiega perché l’ammissione all’ONU è una vittoria simbolica, ma non rappresenta una soluzione, la Palestina, non ha amici all’ONU, infatti se escludiamo la Bulgaria non può contare su Stati amici come Israele, non altrettanto importanti, ricordiamoci che  la gran parte del mondo arabo usa la questione palestinese come diversivo per distrarre la popolazione dai problemi di legittimità interni o per acquisire popolarità a buon mercato. 

E sempre la Palestina non è in grado di minacciare militarmente l’esistenza di Israele; sarebbe sufficiente andarsi a contare le vittime palestinesi in tutti i conflitti ufficiali e ufficiosi fra le due compagini per comprendere come la forza militare di Israele, vicino forse scomodo per il piccolo neonato Paese nello scacchiere mediorientale è costantemente superiore a quella palestinese, in grado di colpire obiettivi e mietere un numero di vite maggiore di quello delle vittime israeliane. 

Semmai la spaccatura tra le due maggiori fazioni del movimento palestinese, Fatah e Hamas, si è indubbiamente amplificata negli anni, giungendo dal 2006 ad assumere anche geograficamente il carattere di una spartizione, una Fatah “governa” a Ramallah, dove risiede il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Abu Mazen, e in tutta la Cisgiordania mentre Hamas ha il predominio sulla Striscia di Gaza. Piccole e insignificanti soddisfazioni per un Paese che invece dovrebbe cercare di unire le forze per avere maggiori possibilità di far valere la propria voce in un ambito dove gli appoggi sono in prevalenza americani nei confronti dell’unico Stato non islamico.

Con questo punto di vista e le suddette circostanze viene difficile pensare che il riconoscimento dell’Onu possa avere qualche effetto sulla soluzione della questione palestinese. Costruisce certamente un precedente, porterà a un isolamento di Israele nel breve periodo, probabilmente anche sotto il profilo diplomatico ma se questo porterà l’ANP a perdere i soldi delle tasse raccolti da Israele e probabilmente anche quegli aiuti occidentali che hanno permesso a Fatah di arricchirsi e istituzionalizzarsi al potere bisogna considerare che la Palestina dovrà inventarsi un nuovo sistema per finanziare la politica e il funzionamento dello Stato partendo da nuovi sistemi e azioni senza per questo disturbare più di tanto lo scomodo vicino. 

Perchè ora come ora la Palestina ha un minimo di riconoscimento in sede ONU e non può più permettersi di condurre campagne infinite di terrorismo senza la certezza di farla franca ancora una volta. Ora che esiste è obbligata a rispettare le stesse regole che Israele rispetta in seno alla stessa organizzazione mondiale di cui entrambe con diversi titoli fa nno parte. La Palestina potrebbe sfruttare il suo nuovo status per denunciare Israele al Tribunale penale internazionale o alla Corte internazionale di giustizia, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite è vero ma da adesso in poi anche Israele potrà fare altrettanto e la Palestina dovrà subirne le conseguenze e prendersi la propria fetta di responsabilità.

Sappiamo bene che gli argomenti di diritto internazionale non hanno particolare influenza sulle decisioni dello Stato ebraico. L’eventuale sospensione degli aiuti occidentali potrebbe avere effetti indesiderati per gli Usa e l’Europa, dovendo affrontare in casa propria il peso delle lobbies ebraiche che detengono il potere e la ricchezza di entrambe le regioni goepolitiche, inoltre si assisterebbe all’aumento della popolarità di Hamas, con maggiori ingerenze da parte di finanziatori con abiti differenti tendenti al bianco e religione non apprezzata in quell’ambito, non sicuramente dopo i fatti dell’11/9 ne in quelli recenti finanziari con recrudescenza dell’instabilità, aumento dell’indebitamento finanziario e esposizione nei confronti delle nuove potenza arabe importanti, Qatar in primis seguito a ruota da Abu Dhabi. 

Il riconoscimento ottenuto all’Onu rappresenta l;eredità di Abu Mazen al popolo palestinese ma non scuote le fondamenta della questione israelo-palestinese. 
La soluzione di questa passa per Washington e per le maggiori capitali mediorientali, non per il Palazzo di Vetro di New York. L’Europa infine non ha perso l’occasione di dimostrare la mancanza di una politica estera unitaria, la dimostrazione di una totale mancanza di coesione l’abbiamo sperimentata con nessun accordo preliminare, con posizioni contrarie della Germania e l’astensione di Londra, l’approvazione della Francia scontato e quello dell’Italia a sorpresa, l’Italia che ospita sul proprio territorio la maggiore comunità ebraica d’Europa. 

A qualcuno verrà sicuramente a memoria che ben tremila delegati affollano il parlamento di Bruxelles, a nessuno è venuto in mente che questo atteggiamento non piace ai cittadini che essi rappresentano che a tutti chiedono coesione e sicurezza, sicurezza messa in pericolo non già da un voto che forse aveva anche ragione di esistere, intendo con un risultato potivo per la Palestina, ma dalla partecipazione in ordine sparso delle delegazioni e l’espressione del voto ancora più inaspettato e inconcepibile. Evidente che l’Unione Europea non possiede quell’unità e quella volontà politica necessarie alla proiezione di una identità e di una personalità sulla scena mondiale. Il tempo in cui i Paesi europei avevano una visione comune sembra ormai lontanissimo.

E l’America? Dopo la vittoria di Obama e del pericolo immediato per tutta l’economia mondiale che essa rappresenta, dobbiamo evidentemente assistere a dei successi che non intaccano minimamente la granitica consapevolezza del gigante americano, sappiamo benissimo che per gli americani gli israeliani sono abitanti di un Paese lontano, loro sono semmai presi dalle vicende interne. E poco importa se al momento non hanno pensato al futuro dei loro figli, un futuro per altro richiamato proprio da Obama nel suo discorso di re-insediamento. 

Potrebbe essere un errore di campo fatale perché non c’è futuro per un mondo insicuro come quello disegnato da Obama in questi ultimi quattro anni questione araba compresa. Gli arabi, anzi il mondo islamico rappresenta la spina nel fianco di qualsiasi amministrazione americana degli ultimi 40 anni di storia, ricordiamoci di Monaco 1972. La vittoria di Obama rappresenta un pericolo per il mondo civile, e la decisione sulla Palestina pur con il voto contrario degli americani contribuirà a rendere ancora più insicuro il futuro di una regione abitata da quasi ventisei milioni di individui agitati da sentimento di odio nei confronti di un solo unico Paese e dei suoi alleati. 

Aleggia un’ombra sul futuro mondiale basta dare una occhiata alle agenzie arabe e persiane e alla loro malcelata soddisfazione. Non potevano sperare di meglio, anche i regimi islamici totalitari vecchi e nuovi (Iran, Egitto e Tunisia) sanno che non avranno nulla da temere da quel presidente neppure quando si astiene dal votare contro Israele e a favore della Palestina perchè alla fine a loro della Palestina non interessa poi molto. 

Cosa cambia ora in Medio Oriente? Dipende da alcune cose. La prima e forse più importante questione che risentirà di questa rielezione di Obama è la vicenda del nucleare iraniano. Se sono vere le voci che vogliono contatti diretti tra Iran e USA prepariamoci a un durissimo braccio di ferro tra Gerusalemme e Washington. Israele, come ha ribadito Netanyahu, non permetterà all’Iran di dotarsi di armi nucleari dietro al paravento dell’uso civile. Al contrario, Obama sembra credere alla favoletta del nucleare ad uso civile ed è tentato di trattare con gli Ayatollah. Un attacco israeliano alle centrai nucleari iraniane, già rinviato più volte e persino interrotto in una occasione, potrebbe scombinare i piani iraniani e americani. Lo vedremo presto, molto presto credo.

E per la Palestina riesploderanno le polemiche degli ultimi mesi in tutta la loro virulenza. C’è da giurare che Obama tornerà alla carica per spingere verso un accordo tra arabi e israeliani. Solo che l’accordo che vogliono gli arabi non è proprio un accordo nel vero senso della parola, che prevede due parti e due posizioni diverse, loro pretendono semplicemente di imporre a Israele le loro volontà. 

Ora però la questione potrebbe cambiare con Obama che ha quattro anni davanti a se con l’impossibilità di ricandidarsi probabilmente smetterà di essere “simpatico”. Potrebbe finalmente alzare la voce, e porre la questione sul piatto del contenzioso iraniano. Tenere buono Israele con l’Iran in cambio di un supporto per la questione palestinese. Il problema però è che per Israele la questione palestinese non è affatto di vitale importanza come invece lo è la vicenda del nucleare iraniano. 

Sappiamo che gli assetti geopolitici in Medio Oriente sono a rischio ogni giorno, non esistono accordi alla luce del sole, tutto avviene nelle stanze buie delle rispettive cancellerie e nei centri di controllo, l’ordine di colpire gli iraniani potrebbe partire in ogni momento mentre scrivo questo pezzo e cogliere impreparati tutti i Paesi coinvolti in un senso o nell’altro in questo scenario con un alto pericolo esplosivo. 

Guardiamo tutti a Obama  che sposta l’asse del proprio interesse verso Ankara con un’occhio al Cairo. Credo, anzi ne sono certo che altro non siano che goffi tentativi di accontentare quelle potenze e distrarre l’occhio attento della diplomazia non statunitense da altre e sottili questioni guarda caso tutte legate al petrolio e suoi derivati. Perchè diciamocelo seriamente, l’Unione Europea non ha ancora imparato la lezione e non ha diversificato le proprie fonti energetiche per rendersi indipendenti dal mondo arabo, in primo luogo l’Italia, che, con il voto a favore della Palestina ha evidenziato ancora il proprio interesse verso l’oro nero che, sempre per caso, è saldamente nelle mani di quelle stesse popolazioni a maggioranza mussulmana come i palestinesi. 

Cosa cambia per la Palestina oggi? Tutto e niente, dipende dai punti di vista. Di certo oggi il riconoscimento dello Stato di Palestina passa obbligatoriamente per il riconoscimento da parte palestinese di Israele come Stato ebraico. Stiamo a vedere la prossima mossa di chi sarà e quali saranno i coinvolgimenti dei vari Paesi nello scacchiere internazionale. Forse contrariamente alla regola, in questo caso "Tutti i mali verranno per nuocere?"


2012/11/26

Apparenze e realtà


Ho scritto un testo su un noto forum, non mi concentrerò sul forum, si trattava solo di un mezzo per affermare un mio punto di vista, evidenziare un pensiero assillante, eppure volevo essere breve, volevo riassumere alcuni concetti, confrontarli, sentirli miei e allo stesso tempo negarne la paternità, serviva a dare un significato ai questi pensieri, a quello che osservo e che leggo, agli attaggiamenti della gente virtuale che mi circonda, forte dell’essere invisibile e quindi temeraria.


Nulla è come sembra, nulla è come appare perché nulla è reale? La realtà è soggettiva, e pertanto nulla è come appare (come sembra) perché siamo noi a dare l'interpretazione alla nostra realtà che cambierà da soggetto a soggetto! Se nulla è reale e se tutto appare diverso a ognuno, a questo punto nulla appare allo stesso modo a tutti!. Se la realtà non esiste, ogni cosa, ogni singola cosa è soggettiva, e qui si spiegano i diversi ragionamenti da persona a persona, le opinioni che non collimano, e le infinite discussioni per avere ragione.

È allora tutta una questione di apparenza, a qualcuno puo' sembrare semplicemente apparenza, a qualcuno  e spero tanti, contenuti.
I contenuti del sito principale in primo luogo e di del forum forum in seconda fase.
Che messaggio sublimale scaturisce da questo sito?
Che vuole significare?
Gli Italiani? popolo di santi, poeti e navigatori, o meglio: popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori.
Gli italiani che viaggiano, gli italiani che emigrano e quelli che tornano, gli italiani che sognano di partire ma che non partono mai, gli italiani che vorrebbero e non possono e quelli che possono ma non vogliono.

Siamo tutti italiani, figli dello stesso virtuale uomo preistorico che ha preso possesso dello stivale italico dichiarandolo proprio, da lui, virtualmente, siamo arrivati noi.
E noi, in barba alla sua conquista quest'Italia vogliamo lasciarla perchè ormai stiamo male, ce la sentiamo stretta, non più a misura d'uomo, che dico? non più a misura d'italiano.
E quando partiamo e colonizziamo, diventiamo imprenditori di successo, professionisti, c'inventiamo mestieri che nemmeno sognavamo potessero esistere, diventiamo gente che conta a cui nessuno puo' dir nulla, tanto di cappello signori, sono italiani.

E poi che succede, si va su un forum e tutti a pianger miseria, a parlare di umiltà di lavoro nero, di lavoro dignitoso.
Il successo non è più per noi ma se altri ne dispongono è motivo d'invidia, non un modello da seguire ma un cattivo esempio da additare.

Ma siete proprio sicuri che debba essere davvero cosi'?


2012/11/25

Arroganza e Democrazia

Il termine democrazia deriva dal greco δμος (démos): popolo e κράτος (cràtos): potere, e etimologicamente significa governo del popolo.
Il concetto di democrazia non è cristallizzato in una sola versione o in un'unica concreta traduzione, ma può trovare ed ha trovato la sua espressione storica in diverse espressioni ed applicazioni, tutte caratterizzate per altro dalla ricerca di una modalità capace di dare al popolo la potestà effettiva di governare. Questa la definizione. Ineccepibile salvo che per un dettaglio, non si parla infatti di una parte del popolo ma di tutto il popolo altrimenti una citazione l’avremmo evidenziata. Nulla.
Quindi la democrazia non è il governo di una parte del popolo ma di tutto il popolo.
Approfondiamo il concetto.
Scorrendo le pagine dei vari siti web che trattano l’argomento, scopriamo che le forme di democrazia sono molteplici. Si continua a utilizzare il termine democrazia però anche quando democrazia non è più.
Perchè?
Perchè la Democrazia inventata dai Greci era di tipo diretto, quindi rendeva merito al nome, il popolo, tutto, governava, poteva esercitare il potere di decidere delle cose che riguardavano la comunità, la città di Athene in quel caso.
Mi si dirà che nella Grecia antica la popolazione era costituita da meno individui di quanti sono ai giorni nostri. A quel tempo mettere d’accordo 20/30,000 individui era relativamente semplice, può essere che non si riunissero tutti insieme nello stesso anfiteatro a discutere, come sembrerebbe certo che alla vita politica non partecipassero ne gli schiavi e neppure le donne e naturalmente i giovani sotto un determinata età. Pertanto alla fine il numero di cittadini che costituivano l’ossatura della democrazia erano sufficientemente contenibili nell’agorà, nella piazza a cui il termine fa riferimento.
Non voglio entrare nel merito delle altre formule di democrazia e nemmeno soffermarmi sull’organizzazione di quella diretta, l’espressione della volontà del popolo e la forma per esprimerla e farla valere nelle decisioni importanti.

Vorrei invece analizzare il contesto democratico dei giorni nostri dove una massa di individui, con un minimo del 50%+1 impone le proprie scelte alla rimanente massa del 50%-1 e non accetta alcuna ingerenza ne controproposta da parte dell’altrui schieramento.
Mi direte che non corrisponde alla verità perchè ci sono i rappresentanti della maggioranza e della minoranza che amministrano la cosa comune, quindi la democrazia e decidono secondo il volere del popolo.

Non è affatto vero.
È un’infame menzogna.
Vi spiego perchè.

Nell’antica Grecia il popolo non governava attraverso la domocrazia, in effetti non governava affatto, il popolo si limitava a discuterne nella piazza, detta agorà e il suo potere e decisioni venivano utilizzate dai rappresentanti dell’assemblea del popolo e messi in pratica.
La democrazia non era una forma di governo ma esclusivamente una forma simbolica per indicare il potere detenuto dal popolo. Vorrei aggiungere che il termine democrazia non fu utilizzato per indicare la volontà del popolo,  pare trattarsi invece di una espressione dispregiativa utilizzata dagli avversari del sistema di governo pericleo. Infatti kratos, più che il concetto di governo (designato da archìa) rappresentava quello di "forza materiale" e, quindi, "democrazia" voleva dire, pressappoco, "dittatura del popolo". Il popolo sovrano, e solo esso, dettava le regole ai propri rappresentanti affinché fossero eseguite. Il popolo forniva le linee guida di governabilità e impartiva gli ordini necessari.

Leggo su un sito che ne tratta in modo esauriente che i sostenitori del regime ateniese utilizzavano comunque altri termini per indicare come una condizione di parità fosse necessaria al buon funzionamento di un sistema politico: "isonomia" (ovvero eguaglianza delle leggi per tutti i cittadini) e "isegoria" (eguale diritto di ogni cittadino a prendere parola nell'assemblea). Peraltro, a queste forme di eguaglianza si legavano i principi di parresìa (libertà di parola) ed eleutherìa (libertà in genere).
Forme di equaglianza, diritto, libertà anche di parola.
Comunque la si rigiri la frittata arriviamo alla stessa soluzione: i più forti governano a scapito dei più deboli senza lasciar loro il diritto di espressione.
Non parliamo ovviamente dell’antica Grecia ma dei giorni nostri e, in particolare, giusto per lavare i panni sporchi in famiglia, del nostro parlamento e dei politici che, ahinoi, abbiamo eletto a rappresentarci.
Dove sono stati generati costoro? Da dove deriva il potere che noi cittadini siamo stati capaci di concedere questi individui ora che sentiamo il bisogno e desiderio di toglierglielo?
Sarebbe un lungo discorso da affrontare, lo riassuno a grandi linee.

Il primo parlamento democraticamente eletto e’ del 930 d.c. in Islanda, seguito a breve distanza da una simile organizzazione dei nativi americani, quale grande esempio abbiamo ricevuto, e in premio l’uomo bianco è quasi riuscito anche a sterminare quel popolo, degno esempio di una forma di governo che noi, poveretti uomini bianchi, non siamo mai stati capaci di applicare, islandesi esclusi naturalmente. E arriviamo alla rivoluzione francese e poi via via passando da varie e alternate fasi ai giorni nostri. La forma di democrazia, si ostinano a chiamarla tale, però non deriva dall’originale utilizzata nell’antica Grecia ma da una fomula di trasformazione che trasferiva il potere diretto e indiretto dal popolo ai suoi rappresentanti anche non eletti ma nominati da un esecutivo solo apparentemente nominato dal popolo. Che assurdità potreste farmi notare. Esatto assurdità e siamo stati noi elettori a concedere loro il diritto di sottrarci la possibilità di scegliere quali dovevano essere i nostri rappresentanti. Di fatto siamo governati da qualcuno che il popolo non ha eletto ne voluto, con leggi e programmi che il popolo non vuole ne gradisce e costretti a pagare tasse per spese che compensino spese che nessuno di noi ha mai autorizzato.

Ma che razza di democrazia sarebbe questa? Allora era meglio quando c’era il Re, almeno sapevamo benissimo chi fosse il respondabile del nostro malumore, il bersaglio preferito del nostro astio, la cartina tornasole della situazione economico-finanziaria italiana. Così com’è ora con uno stuolo di politici che non riescono a scollarsi dalla poltrona ricevuta in regalo, non più in prestito, in regalo perchè una volta presa non se ne vanno più, vedere una luce seppur flebile alla fine del tunnel diventa un miraggio.
Pertanto anche le parole di un certo Monti sulla vicina fine del tunnel sembrano messe li apposta per confondere o illudere l’italiano che forse dalla democrazia, la democrazia salvatrice, non si era mai usciti.

Io dissento, mai entrati volevate dire?

Un po’ di storia. Durante i lavori dell'Assemblea Costituente Piero Calamandrei affermò che nel "popolo dei morti", ossia nell'eccezionale tributo di vite umane pagato alla seconda guerra mondiale, si doveva scorgere la più importante fonte di legittimazione della rinata democrazia italiana ed europea. Analizzando questa prospettiva, qualcuno intravvide l’evidenza che il passaggio alla Repubblica fu uno svolgimento storico più corale, e anche più contraddittorio, di quello solitamente prospettato dalla tradizione che accentua il ruolo preminente della resistenza armata, tralasciando, nella transizione alla democrazia, la violenza dei bombardamenti angloamericani, a lungo taciuta nel rispetto del paradigma della "guerra giusta", e sui suoi effetti politici di breve e lungo periodo.

Perchè tacere, per quale motivo il popolo non doveva sapere di quello che pure succedeva al nostro vicino di casa, nelle città della nostra regione dove italiani e nonostante tutto, morivano ancora in nome di una guerra che non è mai stata nostra. Quale poteva essere l’equazione affinchè l’italiano medio potesse affermare che era stato salvato dalla politica? La politica e la democrazia non esistono, siamo noi entrambe, sono l’estensione di un pensiero di trasformismo filosofico che ci porta verso uno status di maniacale masochismo tale da farci eleggere gli aguzzini e poi criticarli per giustificare il malumore, chiedere a gran voce al grande puffo in cima al colle di rimuovere i cattivi e poi torniamo alle urne per rieleggere non già i partiti che sono solo delle scatole con etichette che di volta in volta vengono sostituite per dare l’impressione che tutto cambi, no, noi rieleggiamo gli stessi aguzzini che nella precedente lagislatura si sono resi complici dei furbi e dei ladri, dei disonesti e dei razziatori della cosa pubblica a loro esclusivo vantaggio e in totale disprezzo del cittadino elettore.
Ma quale democrazia è questa, qui si parla di arroganza della politica, una politica che non ci rappresenta più da almeno 50 anni. Non sono solo in questa tesi, altri e più titolati di me filosofi e uomini di scienza e cultura, l’hanno abbracciata prima di me.
Di che si tratta? Quale tesi?

La mia posizione riguardo la frase infelice di Calamandrei nonchè l’affermazione non è in totale sintonia. Primo non è chiaro per quale motivo il passaggio alla Repubblica possa sembrare un evento corale, storico siamo d’accordo ma corale? Sappiamo benissimo che il referendum costituzionale del 2 giugno 1946 fu fortemente voluto dagli inglesi e americani anche se non dichiararono mai apertamente la richiesta, si impegnarono assiduamente affinchè fosse istituito. Poi si volle giustificarlo con la volontà degli italiani di decidere sul loro futuro mentre sappiamo benissimo che non fu assolutamente così. Il gruppo dei Monarchici, a quel tempo ancora forti e compatti, attribuì al referendum brogli e manovre dimostrate anche se nessuna vera prova fu fornita, ci fu qualche episodio dubbio, anche quelle schede già barrate pro repubblica ritrovate in un campo alla periferia di Roma, non furono però giudicate sufficienti altrimenti avrebbe dovuto essere invalidato. C'era però qualcosa di più di semplici supposizioni: ci furono dei ricorsi, il governo non attese l'esito del ricorso e dichiarò la vittoria per la Repubblica in tutta fretta, nessuna coralità dunque ma il disegno egemone di chi accarezzava già l’idea di una democrazia esclusivamente nel nome ma non nei fatti.

Sappiamo comunque che che la casa regnante italiana era invisa sia a gran parte del ceto politico uscito dalla Resistenza - la questione dell'appoggio di Vittorio Emanuele II al fascismo non si poteva risolvere così, in amicizia, con una semplice successione - sia a molti degli Alleati e sappiamo quanto la Gran Bretagna fosse diventata particolarmente ostile ai Savoia. Tutto ma non coralità e nemmeno democrazia ma arroganza, l’arroganza di chi sapeva, aveva già in mente un piano per rodere la sovranità del popolo italiano e portarlo a essere succube in casa propria di una casta politica arrogante. I fatti di questi ultimi mesi non fanno che supportare questa tesi.

Al popolo italiano hanno lasciato solo gli occhi per piangere. I diritti sociali sono annullati, e quelli costituzionali soppiantati col governo tecnico. La sovranità e' un'aspirazione. Un anno con Mario Monti e' stato terribile: e' morta la democrazia in nome dell’arroganza e per questo decine di milioni di uomini e donne che hanno paura del domani e avvertono il vuoto attorno. Maledici il mondo, in casi così. E in effetti e' globale il terrorismo economico che ha distrutto le capacità decisionali degli Stati. Oggi siamo governati da poteri irresponsabili, ci comandano centrali finanziarie che decidono decimando ogni forma democratica. Ad opporsi dovrebbero essere i popoli; ma sono annichiliti nella protesta e rischiano di diventare strumento di violenze come quelle che si sono registrate in questi giorni. Poliziotti contro studenti, poveri contro poveri; a far da mazzieri i Black block e da cospiratore quel gruppo Bilderberg al quale Monti non si vergogna di presenziare. La protesta sociale ormai divampa. I governi, a partire da quello italiano, infliggono mazzate che tolgono il respiro a chiunque tenta di sopravvivere; non c'e' spazio per sperare nel futuro finché non arriva una classe dirigente capace di dire basta agli impostori che ci impongono il loro credo, il dogma della loro finanza indistruttibile.

Che rapporto intercorre tra la cosiddetta libertà degli antichi e la libertà dei moderni? L’unico modo di intendersi quando si parla di democrazia è davvero quello di considerarla come un insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure? È lecito esportare la democrazia? Il nostro è veramente il secolo della fine delle ideologie? Dove finisce la democrazia e inizia l’arroganza politca del prendere tutto e lasciare solo briciole? Per quale motivo siamo costretti a prendere tutto ciò che l’arroganza della politica vuole venderci anche  acaro prezzo e non siamo capaci di ribellarci per respingere al mittente le richieste?